Nel ridurre ad esecuzione questo mio
primo tipografico divisamento, non infimo
per avventura fra i varii che vidersi imma-
ginati a’ di nostri, era immancabile che
nascesse in me l’altro d’intitolarlo a Voi,
distintissimo Signore, dal quale riconosco i
maggiori incoraggiamenti a non essere ve-
nuto meno nel pormi a tentare, per combi-
nazione di circostanze, un sentiero per me
affato nuovo; ed alla cui riverita Famiglia
mi volle la mia buona ventura particolar-
mente vincolato.
A dir vero, io m’era proposto incomin-
ciare la presente Raccolta da un’ Opera
che più davvicino toccasse la scienza del
Commercio, che con tanto lustro professate;
ma le difficoltà che mi si fecero incontro, non
volendo io offerirvi cosa totalmente indegna
di Voi e del mio assunto, mi persuasero in-
vece a principiar da questo Crattato di Storia
Naturale, soprastando pel momento a quella,
o per dir meglio a quelle, giacchè più d’una
saranno, in cui potrà il Commerciante rin-
venire materia di non ispregevole soccorso.
Che se, all’ aggradimento di si doveroso
e sincero mio tributo, vi fosse per avventura
d’ostacolo la natural vostra modestia, fate
che vi determini a superarlo il pensiero che,
concedendomi Voi di fregiare del vostro nome
l’attuale impresa, sarammi ciò per certo di
felice augurio che non sia per mancare ad
essa qualche parte di quella prospera sorte,
che tanto meritamente vi arride.
Alla innata gentilezza, universalmente nota del
Sig. Giuseppe Dottor Gautieri, Ispettor Generale dei
Boschi, cultore valentissimo di tutta quanta la Storia
naturale, e all’ amicizia vera, di cui egli mi ha onorato
mai sempre, mi professo debitore d’uno squisito favore,
il quale non può se non aggiungere il massimo pregio
alla presente edizione, qualunque essa sia per riuscire.
Fatto conscio dell’ impresa, a cui erami accinto poco
stante, di recare in italiano, a comun beneficio della
studiosa Gioventù della nostra Penisola, la undecima
edizione tedesca originale dell’ Opera applauditissima del
Professore Blumenbach di Gottinga. – handbuch der
naturgeschichte – pubblicatasi l’anno scorso, ne porse
egli notizia, tanto all’ Autore, quanto al celeberrimo di
lui Collega Professore Gausmann, i quali amendue si
[[IV]] compiacquero, ciascuno dal proprio canto, di favoreggiare il
mio lavoro, partecipando a lui, che tosto me le passò
in originale, un buon numero di emende, correzioni
ed aggiunte, tutte interessantissime, inchiuse nella lettera
diretta dal primo al prelodato Sig. Ispettor Generale
Gautieri in data 26 marzo 1826, qui giunta a stampa
già cominciata, ma del cui contenuto aorci creduto
commettere una ommissione imperdonabile, se non avessi
fatto uso a tempo & luogo, citandone in ogni caso,
soprattutto a riguardo del Sig. Gausmann, la fonte.
Canto mi faccio qui ora legge d’annunciare, perchè
ogni competente singola parte di pubblico plauso non
abbia a cadere se non in vantaggio di chi propriamente
ne ha il merito; & perchè la mia riconoscenza a chi
giovonuni nell’ opera, sia, per me, com’ è giusto,
testificata pubblicamente a chi si conviene.
dottor claro giuseppe malacarne
Scopo della Storia Naturale, considerata in
complesso, si è la conoscenza più o meno
perfetta di quanto in riguardo nostro spetta
naturalmente ad ogni maniera di corpi, tanto
organizzati come inorganici, che riscontrinsi
sul globo terracqueo, o sulla Terra che abi-
tiamo. Sembra che ciò possa bastare a quali-
ficarla una scienza vastissima, senza il biso-
gno d’ingigantirla oltre misura inchiudendovi
anche, come alcuni pure vorrebbono, tutto
ciò che può dirsi sull’Universo, sulle Stelle
fisse, su i Pianeti, sulle Comete, sulle Nebu-
losità e simili altre cose, estrinseche affatto al
Pianeta nostro, e senza ingombrarla abusiva-
mente attribuendole eziandio, come altret-
tanti oggetti di sua spettanza, tutte le produ-
zioni dell’ arti, sul fondamento, vero bensì,
ma illusorio quanto alla conclusione che si
vorrebbe trarne, che di nulla siano capaci le
[Seite II] arti se non ne pigliano da taluno de’ corpi
che la natura offre loro spontanea, la materia
prima e le prime mosse, mentre siamo d’av-
viso che chi così adoperasse non ischiverebbe
poi facilmente la taccia, che taluno gli affib-
bierebbe, d’attentarsi a travolgere affatto il
senso che si è infino ad ora attribuito alle
parole. Il pretendere che la Storia Naturale
sia di per sè sola la scienza universale, o la
scienza delle scienze, sarebbe in certo modo
un prendere la Natura stessa per la semplice
storia delle cose naturali, o per lo meno un
confonderla coll’ Universale Fisiologia, colla
Filosofia naturale o colla Fisica generale, le
attribuzioni delle quali, mediante l’Astrono-
mia, spingonsi molto oltre a’ confini che sem-
pre assegnaronsi da’ Terminologisti alla Storia
Naturale precisamente detta. Quand’ anche
accordisi senza difficoltà, diremo con Bory
de S.t Vincent (Dictionnaire Classique d’Hi-
stoire Naturelle, Paris, Tomo VIII, articolo
Histoire Naturelle a pag. 244 e segg.), che
l’Uomo, la più perfetta delle Creature, al
pari dell’ impercettibile Lichene, che la smi-
surata Balena, al pari del Chiozzo più esile,
e che la più erta ed elevata Catena di mon-
tagne, al pari del granellino d’arena, formi-
[Seite III] no altrettanti argomenti di positiva spettanza
della Storia Naturale, perchè poi impacciarci
a volere senza ragion sostenere che quanto
v’ ha mai di mirabile, di sublime, d’incon-
cepibile ne’ Cieli, nell’ Etere e nello spazio,
tutto indistintamente abbia ad esserne sempre
scopo? Gl’ innumerevoli corpi mondiali che
abbellano il firmamento, e i rispettivi loro
fenomeni, non altrimenti che tutti quanti i
fenomeni meteorologici, e quelli non meno
sorprendenti, che offre in complesso il mare,
hanno ciascuno la propria loro nicchia in
altre scienze che, si può dire, nulla hanno
che fare colla semplice Storia Naturale presa
nel senso limitato in cui intendiamo di pi-
gliarla noi. Così agli Astronomi, i quali sono
pure, tra gli scienziati, quelli che ottengono
le più slanciate risultanze che potesse mai lu-
singarsi d’attingere lo spirito umano, non è
mai caduto in pensiero di pretendere che la
esatta conoscenza d’un musco, d’un liche-
ne, d’un ragno o d’altro insetto, dovess’ es-
sere di loro ispezione pel motivo che, per
essere la Terra nostra che li produce, un Pia-
neta, tutto ciò che la riguarda ha necessaria-
mente da ritenersi come facente parte della
storia de’ Pianeti, e quindi come attenente
[Seite IV] alla storia delle cose del firmamento, e per
conseguenza come speciale attribuzione del-
l’Astronomia. Potremo pertanto a tutto buon
dritto dire, col precitato Bory de S.t Vincent,
che il Sole, le Comete, i segni del Zodiaco, le
Stelle, i Pianeti, le Costellazioni diverse e in-
somma tutto ciò che nell’ immensità degli spa-
zii ruota al di là della nostra atmosfera, tutto
è fuori del grembo della Storia Naturale, a
quel modo medesimo che l’Elefante e il So-
rice, il Passero e la Sardella stanno affatto
fuori del grembo dell’ Astronomia. Al tem-
po stesso sarà pure per noi facoltativo il ri-
tenere che l’arrampicarsi su per gli alberi,
ch’ è proprio d’alcuni quadrupedi, il volar
per l’aria, ch’ è proprio de’ volatili, il nuo-
tare per l’acque, ch’ è proprio de’ pesci, non
sono ragioni sufficienti per obbligarci a con-
fondere la meccanica, l’aerostatica, l’idro-
statica, e perfino, come alcuni intendereb-
bono, la matematica e la metafisica, colla
Storia Naturale, cui qui ci piace d’assegnare
unicamente lo scopo limitatissimo di versare
sugli enti creati che la Natura offre a’ nostri
sensi, o sulla Terra nostra, o nell’ aria che re-
spiriamo, o nell’ acque che colla persona fre-
quentiamo. Ed essendosi osservato che ca-
[Seite V] dauno di questi enti, o cadauna di queste
creature, possiede una serie di caratteri, dei
quali alcuni sono o individualmente suoi pro-
prii, o non gli appartengono se non in co-
mune con altri individui affatto simili a lui,
mentre altri ne diversificano più o meno ne-
gli enti diversi o nelle creature di diversa na-
tura, e mercè di essi ogni singolo indivi-
duo può precisamente qualificarsi tale quale
egli è, diessi perciò studio da’ Naturalisti a
rilevare con attenzione la somma delle rasso-
miglianze e delle dissomiglianze che risultano
appunto tra ente ed ente, tra creatura e crea-
tura, in forza di così fatti caratteri distintivi
o di tali note caratteristiche, collo scopo di
stabilirne sistemi, ordinazioni, classificazioni
o metodi di distribuzione atti ad agevolarne
la individuale ricognizione in un modo, che
possibilmente riesca più o meno conforme a
quell’ andamento progressivo che sembra l’Au-
tore della natura avere stabilito ed osservato
in tutta quanta la grande opera della Crea-
zione.
Tre grandi e marcatissime modificazioni
dell’ esistenza, o tre modi d’essere distintis-
simi, e cadenti tosto sott’ occhi in tutti quanti
i corpi della natura, indussero gli uomini
[Seite VI] fino da’ tempi più rimoti, a distinguerli in ge-
nerale, come distinguonsi anche tuttavia, dal
semplice aspetto loro complessivo, o abito
totale, ne’ così detti tre Regni della Natura, a
quel modo che accenna eziandio il testo che
qui ora offriamo volgarizzato agli studiosi,
al §. 4.°, vale a dire: in corpi minerali affatto
inorganici i quali, formatisi unicamente in
via d’aggregazione, nè vivono nè sentono;
in corpi organizzati vegetabili i quali vivono
bensì, ma non sentono, e in corpi organiz-
zati animali che sono costituiti in modo da
vivere ad un tempo e sentire. Da ciò scorgesi
patente già di per sè la distribuzione effettiva-
mente primaria de’ corpi tutti in corpi orga-
nizzati od organici, ed in corpi inorganici o
mancanti d’ogni maniera d’organizzazione
o d’organismo, mentre si può francamente
asseverare non esservi esempio alcuno d’in-
dividuo inorganico o minerale che, anche da
un idiota, possa scambiarsi mai, tampoco a
prima giunta, per un individuo organizzato ed
attenente al Regno vegetabile, e molto meno
poi al Regno animale, comunque negar non
si sappia che dannosi alcuni minerali i quali,
posti in certe determinate circostanze, mo-
strano, soprattutto in grazia della nuova for-
[Seite VII] ma che pigliano, qualche illusoria tendenza
ad una tal quale vegetazione. Ma non si può
già dire che decisa del pari sia poi la linea
di demarcazione che ne’ corpi organizzati se-
para il Regno vegetabile dal Regno animale,
da che havvene alcuni, perciò appunto deno-
minati Zoofiti o piante-animali, il collocamen-
to de’ quali nell’ uno, piuttosto che nell’ altro
di que’ due Regni, potrebb’ essere oggetto di
ardua controversia, e che converrebbe forse
meglio di appartare formandone un Regno
isolato o una divisione indipendente, come
potrebbe farsi eziandio, e forse dovrebbesi,
della Luce, del Fuoco o Calorico, della Elet-
tricità, del Magnetismo, de’ Gas, dell’ Acque, e
insomma di tutti que’ corpi, o di tutte quelle
sostanze naturali, alle quali in alcuni Trat-
tali generali della Storia Naturale, come nel
presente di Blumenbach, non è stato asse-
gnato il posto competente.
Considerata dentro a così fatti limiti, la
Storia Naturale formerà pur sempre una delle
più vaste scienze che attraggansi l’ingegno
umano, anche senza confonderla colla Natura
stessa e anche senza impacciarsi di trovare
le vere cause finali e di determinare con po-
sitività il cui bono degli oggetti, delle cose,
[Seite VIII] delle forme, e de’ fenomeni quasi infiniti che
essa ci presenta, e che ne costituiscono pro-
priamente l’ampio dominio.
L’utilità dello studio di questa scienza con-
siste, più che altro, nel possente ajuto che por-
ge desso all’ umana sapienza per debellare una
selva d’assurdi pregiudizii invalsa troppo in
addietro nel volgo ignaro, e per mettere sem-
pre più in chiara luce la pura e nuda verità
in tutto ciò ch’ è di sua competenza.
Noi non siamo d’avviso che la Storia Na-
turale abbia effettivamente esistito fino dai
tempi più antichi, e giudicando dall’ opere
che ce ne rimangono, tenghiamo Aristotile
pel primo che meriti ora da noi il nome di
Naturalista, perchè all’ epoca sua abbracciò
a un tratto, e con molto criterio espose, tutte
quante le cognizioni, quali ch’ esse si fossero,
assai limitate, sconnesse, disperse e disordinate,
che aveansi in complesso intorno a’ corpi na-
turali d’ogni maniera. Prima di lui non ab-
biam dati per riconoscere alcuno come tale, e
dopo di lui fino a Plinio, che poi abusò della
scienza non sua inceppandola di innumere-
voli pregiudizii e d’una faraggine indicibile
di turpi assurdità, non sappiamo che siavi
stato nell’ antichità nè pure un solo filosofo
[Seite IX] che tutta la professasse, sebbene taluni siansi
plausibilmente occupati di qualche speciale
ramo della medesima, come fecero Dioscoride
e Teofrasto a riguardo delle sostanze vegeta-
bili, e altre parti isolate.
Realmente si potrebbe però sostenere ora
qui che la Storia Naturale mai non meritossi
davvero il nome di scienza, se non a’ nostri
tempi, ne’ quali il sommo Linneo, poi Buffon,
quindi una folla quasi innumerevole di veri
Naturalisti, sorti qua e là, ne piantarono sta-
bili le fondamenta, e ne promossero lo stu-
dio e i progressi al segno che ora veggiamo.
Tanta è oggimai divenuta la vastità di que-
sta scienza, anche sgombra, come accennam-
mo, da tutto ciò che non ne forma una parte
essenziale, ma però consideratone tutte quante
le sostanziali diramazioni, da renderne quasi
assolutamente inconciliabile quind’ innanzi in
un solo uomo l’universale possesso. Come
in fatto rendersi espertissimo a un tratto nella
Orittognosia, nella Cristallografia, nella Geo-
logia e nella Geognosia che insieme costitui-
scono la Mineralogia, omettendone anche la
Docimasia, la Metallurgia ed altre così fat-
te applicazioni; nella intiera Botanica, anche
non tenendone a calcolo le applicazioni, come
[Seite X] a dire la Materia medica, la Materia tintoria
e simili, ma inchiudendovi bensì la Fisiologia
vegetabile resa al presente indispensabile af-
fatto; nella Mammologia, o storia naturale
de’ Mammiferi; nella Ornitologia, o storia
naturale degli Uccelli; nella Erpetologia, o
storia naturale de’ Rettili; nella Ictiologia, o
storia naturale de’ Pesci; nella Malacologia,
o vogliam dirla Conchigliologia, o storia na-
turale de’ Molluschi abitanti ne’ nicchj, nelle
conchiglie ec.; nella Entomologia, o storia
naturale degl’ Insetti; nella Elmintologia, o
storia naturale de’ Vermi, e in altre così fatte
parziali scienze che, in massa riunite ed ag-
giuntevi l’Anatomia comparata e la Fisiolo-
gia animale, imprescindibili al dì d’oggi, for-
mano la Zoologia?
Ma se è innegabile, come lo è realmente, la
poco meno che illimitata latitudine di questa
scienza, al pari della difficoltà somma che un
uomo solo possa ora riuscire a possederla
universalmente tutta quanta, non è perciò
che abbiasi al tutto ad abbandonarne lo stu-
dio, che anzi merita a’ tempi nostri d’essere,
specialmente tra noi, che troppo poco ancora
il coltiviamo, protetto e spinto a tutto potere,
anche a riguardo della pubblica utilità che
[Seite XI] può derivarne; e a tale effetto sarà forza il
procacciarci, ove aere proprio nol si possa,
e non abbiasene, da fonti straniere, libri
atti, non diremo ad insegnar tutta minuta-
mente la Storia Naturale, ma bensì a met-
tere i vogliosi in sulla via di trasceglierne
poi, per dedicarvisi, quella parte che meglio
allo speciale genio loro studioso s’affaccia.
Oculatissimo sempre nelle cose tutte che
mirano al pubblico vantaggio, l’Imperiale
Regio Governo che ci regge, amministra e
protegge, mostrò palmarmente già da un pez-
zo d’essersi avveduto del preciso bisogno in
cui queste fortunate Provincie Austriache
d’Italia urgevano d’un libro appunto di tem-
pra tale od analoga, quando fornì i mezzi
di pubblicare e di diffondere in conto eco-
nomico un mio lavoro, tratto per superiore
eccitamento da un ben più compendioso testo
originale Tedesco pure allora uscito alla luce
nella Capitale dell’ Impero, e che fu poi stam-
pato co’ torchi di quest’ Imp. Reg. Tipografia
col titolo di ‘„Rudimenti di Storia Naturale
considerata dal canto della utilità delle pro-
duzioni naturali nella vita sociale, Parte I.a
Regno animale 1820, Parte II.a Regno ve-
getabile 1821, e Parte III.a Regno mine-
[Seite XII] rale 1822”’; se non che lo scopo stesso, che
a quel lavoro precisamente assegnavasi allora,
d’aver da servire nella istituzione primor-
diale de’ fanciulli, più che ad altro, a crescere
in essi possibilmente le idee, diremo così, eco-
nomiche, abituandoli nel tempo stesso ad ap-
prezzare e a valutare in modo conveniente una
parte di que’ tanti nomi, nella semplice vita
sociale inusitati, che la Storia Naturale non può
scansarsi di proporre e d’ammettere a norma
delle occorrenze, impedì che l’opera avesse a
riuscir contessuta di principii scientifici, e
quindi la tolse all’ uso che, altramente costitui-
ta, avrebbesi potuto farne in una istruzione
più innoltrata e più decisamente scientifica,
sottraendoci così al bisogno, pur sempre tra
noi persistente, d’un libro che valga ad instra-
dare la gioventù nello studio di tutta quanta
quella scienza importantissima, e a fornirle
lumi sufficienti onde discernerne le parti sin-
gole, a versar di proposito sulle quali può
l’animo d’ogni studioso giovine essere più
naturalmente inclinato e ben disposto.
Opportuno ho poi giudicato, non senza il
consiglio di persone in materia autorevolis-
sime, tornare, per porci in grado di ovviare
nel miglior modo per noi possibile ad un
[Seite XIII] tale bisogno, la ultimamente alle mani per-
venutami undecima edizione originale del-
l’opera intitolata: ‘„Handbuch der Natur-
geschichte von Jos. Fried. Blumenbach. Göt-
tingen. 1825”’ e penetrato dalla nobiltà e
dalla inoppugnabile ragionevolezza dello sco-
po che credetti in me plausibilissimo, mi ac-
cinsi, non solo a tradurla esattissimamente,
come importava il rispetto sommo che pro-
fesso da gran tempo al benemerito Autore,
ma a farla per così dire al tutto nostra, e a
corredarla di note ed aggiunte tali da non
lasciare, nello stato attuale della Scienza, mal
soddisfatto desiderio alcuno, in chi almeno
s’accontenti di conoscere con qualche preci-
sione le più importanti generalità della Sto-
ria Naturale, e quanto di più marcato e salien-
te emerge tratto tratto nello studio universale
della medesima.
Messomi all’ impresa, volli religiosamente
conservare perfino la breve prefazione pre-
messa dall’ Autore a quest’ edizione undecima
del suo libro, tutto che la materia trattatavi
per la massima parte riesca di competenza
della filosofìa della lingua tedesca, e quindi
non inchiuda per noi altro interesse fuorché
quello che possiam prendere ad una così bella
[Seite XIV] e colta lingua originaria, o lingua madre vi-
vente, e solo arbitrai non conservando del
pari nella presente mia traduzione quel trop-
po inutilmente conciso e agevolmente trascu-
rabile segno ✥ con cui egli ha usato in testa
delle singole specie animali di notar, quan-
do occorre, ch’ esse rinvengonsi indigene an-
che in Germania, e ho prediletto di marcare
distesamente nel testo una cosi fatta circo-
stanza.
L’edizione che serve di testo all’ attuale
traduzione è corredata di due tavole, una delle
quali contiene la figura d’alcuni vermi inte-
stinali del corpo umano, dell’ Ascaris vermi-
cularis (Ascaride vermicolare), dell’ Ascaris
lumbricoides (Ascaride lumbricoide), del
Tricocephalus dispar (Tricocefalo dispari),
della testa e della coda della Taenia solium
(Tenia solio, altre volte Taenia cucurbitina
e precisamente il Verme solitario), dell’ estre-
mità inferiore della Taenia vulgaris (Tenia
volgare), della parte anteriore del Lumbricus
terrester (Lombrico terrestre, o Verme della
terra), del pene stiliforme dell’ Helix arbu-
stomm (Elice degli arbusti, o Lumaca degli
arbusti) e simili, d’un tronco con tre po-
lipi pennicilliformi della Tubularia sultana
[Seite XV] (Tubularia sultana), d’una Hydra viridis
(Idra verde, specie di polipo a braccia), di
un tronco con sopravi dodici Brachionus ana-
statica (Brachione anastatico, sorta di polipo
a mazzetti), d’una Furcularia rotatoria (Fur-
cularia rotatoria, altre volte Rotifero), e d’un
animaletto spermatico umano, ossia del Chaos
spermaticum (Caos spermatico); mentre l’al-
tra racchiude venti diverse forme cristalline
osservate ne’ minerali; e queste due tavole si
ommettono, la prima come non assolutamente
necessaria, e la seconda come troppo poca
cosa in confronto de’ progressi che ha in oggi
fatto la Cristallografia.
Pensando poi che sia tempo oggimai d’aver
anche la nostra lingua disposta in modo da
dare un nome a qualsivoglia naturale produ-
zione, ho voluto ingegnarmi di fare da per
tutto in modo che il primo proposto nome
per ogni genere e per ogni specie sia o effetti-
vamente italiano, o almeno in qualche modo
italianizzato, non però senz’ aggiungervi pos-
sibilmente sempre la sinonimia sistematica
prima in lingua latina, poi in francese, quin-
di in tedesco, e finalmente in lingua inglese.
A raccomandare per ultimo quest’ Opera
nel modo il più degno, farò che mi basti qui
[Seite XVI] il soggiugnere che, oltre alle undici edizioni
originali fattene dall’ Autore, che sempre ad
ogni volta le migliorò, fu dessa anche reite-
ratamente tradotta in quasi tutte le lingue
colte, la sola nostra eccettuata, e che tale
n’è il merito riconosciuto, che anche pre-
sentemente il solo testo tollerato per i corsi
di Storia Naturale tanto nelle II. RR. Uni-
versità di Pavia e di Padova, quanto anche
ne’ Licei, consiste essenzialmente nella tradu-
zione dell’ edizione sesta fattane in lingua
francese da Soulange Artaud, e pubblicata
in Metz nell’ anno 1803 in due volumi in 8.°
Possa questo mio lavoro essere accolto dai
Giovani italiani studiosi della Storia Natu-
rale con gradimento pari alla mia buona
volontà di giovar loro.
Milano 1.° Maggio 1826. C. Malacarne
Presento qui ora con tanto maggiore confidenza
agli studiosi della Storia naturale la undecima edi-
zione di questo mio Manuale, in quanto che, ristam-
pato già ben dieci altre volte, e tradotto in parec-
chie lingue, si può dire che il Pubblico siaselo
oggimai al tutto appropriato; nè penso abbia ad
esser bisogno di asserire ch’ esso a questa volta,
come già l’altre, ricomparisca vistosamente arric-
chito d’aggiunte molto importanti, e accommodato
a’ progressi che hanno in questi ultimi tempi fatto
le scienze naturali, quando dichiaro a onor del
vero, che, soprattutto a riguardo della parte sua mi-
neralogica, assai debbo alla bontà con cui i miei
ottimi Amici e carissimi Colleghi, i Signori Consi-
gliere Aulico Stromeyer juniore, e Professore
Haussmann mi fecero parte delle tante loro cogni-
zioni.
Mi sono altrove occupato di proposito della
distinzione de’ generi, ne’ quali i corpi naturali
sono da distribuirsi, e delle specie in que’ generi
[Seite XVIII] racchiusene; ora, poiché nello studio della Minera-
logia anche i corpi inorganici distribuisconsi in ge-
neri ed in ispecie, così trovo di dover prevenire
i miei Leggitori ch’ io in questa parte convengo pie-
namente d’opinione co’ più filosofici mineralogisti
della Germania; di modo che, se mi varrò in una
parte di quest’ opera mia dell’ espressioni generi e
specie nel senso in cui desse sono state accettate,
non avverrà poi che in un’ altra parte della mede-
sima io mi serva di tali espressioni in senso inverso,
come effettivamente non ricusarono pur testè di pra-
ticare molti Scrittori tedeschi di Zoologia e di Bo-
tanica.
Non mi curerò d’investigare chi sia stato il pri-
mo ad invertire così fattamente le idee e i segni o
vocaboli ch’ erano destinati ad esprimerle, ma so
bene aver egli, con questo attacco intentato all’ idio-
ma nostro (Tedesco), quem penes arbitrium est, et
jus, et norma loquendi, arrischiatone troppo il con-
cetto presso all’ altre nazioni colte, e so bene anzi
per lo contrario che tutt’ altro era ragionevolmente
da aspettarsi fuorch’ egli trovasse in Germania
imitatori. Basti infrattanto che i più de’ filosofici in-
dagatori della Natura, e i più distinti fra i nostri
Filosofi naturalisti, attenutisi per lo migliore al
motto verba valent sicut numi, non siansi lasciati
traviare da un così strano mal esempio. Io poi nel
mio particolare intendo di qui addurre dell’ essermi
[Seite XIX] in ciò conschierato piuttosto cogli antichi, che non
aderire a quegli innovatori, le seguenti ragioni:
1.a Ogni Naturalista tedesco sa, cred’ io, per
poco che sia esperto della propria favella (e chi
per caso nol sapesse, può quando che sia accertar-
sene nel Dizionario dell’ Adelung), come il primo
e fondamentale significato della parola Geschlecht
(Genere) si è ‘„anologia delle diverse specie
(Gattungen) d’una data cosa, d’un oggetto deter-
minato”’ e tale è appunto il proprio e vero senso
di quel vocabolo, come fino dall’ infanzia abbia-
mo dovuto imparare. Nell’ applicazione poi della
Metodologia alla Storia Naturale ci fu ulterior-
mente insegnato che la Natura produce le Specie
(Gattungen), e che è cura del Sistematico il riportar
queste specie (Gattungen), a seconda delle rasso-
miglianze che hanno comuni, o delle loro analogie,
fra i generi (Geschlechter).
2.a È pure noto e universalmente manifesto
che per lo contrario il vocabolo tedesco Gattung
(specie) deriva dal verbo sich gatten (accoppiarsi,
appajarsi, congiungersi), e siccome soltanto nello
stato naturale di libertà gli animali d’una determi-
nata specie riescono, generalmente parlando, a con-
giungersi l’un coll’ altro a dovere e fruttuosamente,
perciò è di per sè chiaro e patente che il vocabolo
specie, nel senso che qui si ha in mira, non può
esprimersi meglio, nè più propriamente, nè con mag-
[Seite XX] gior convenienza in tedesco, che col predetto voca-
bolo Gattung.
3.a Che poi la omonimia del vocabolo tedesco
Geschlecht, che tanto vuol dir genere, come sesso,
possa nell’ uso cagionar confusione od errore, ciò
realmente non è da temersi più di quello che suc-
ceda del latino genus, che, come dalla gramma-
tica, fin nella nostra infanzia imparammo, vien
preso esso pure in questo medesimo doppio senso,
indicando anche il sesso degli animali che si sa po-
ter essere generis masculini, o generis feminini.
4.a Quand’ anche poi quel primo Novatore,
di cui femmo pur testè menzione, avesse sul serio
inteso di dover nudrire un così fatto timore, tant’ e
tanto sarebbe per avventura stato meno male che
egli avesse proposto da surrogarsi al troppo scrupo-
leggiato Geschlecht un vocabolo al tutto nuovo, di
sua propria creazione e possibilmente appropriato,
di quello che arbitrarsi di stravolgere la lingua
patria, cangiando affatto il senso stabilito di tale
vocabolo, sul fondamento del quale suol dirsi ugual-
mente bene in tedesco, per cagion d’esempio, Men-
schen Geschlecht come in latino Genus humanum;
mentre, come disse sopra analogo soggetto il nostro
Lichtenberg ‘„il concepire qualche ipotesi, e il pro-
porla al mondo come propria opinione, è di spet-
tanza d’un Autore, e niuno può contestargliene il
diritto; non già così della lingua che appartiene al-
[Seite XXI] l’intiera nazione, e sulla quale non può esser lecito
a chicchessia d’arbitrare a capriccio”’.
Lo stesso ben giusto riguardo ad una tale impre-
scrittibile proprietà della Nazione ho voluto usare
eziandio, relativamente a’ nomi tedeschi delle di-
verse sostanze naturali, e quindi mi sono fatto
legge sempre di valermi de’ nomi più generalmente
adottati e più universalmente intesi, senz’ abbadar
mai a’ solecismi introdottisi in qualche Provincia.
Così, per cagion d’esempio, invece d’ammettere il
nome Molle (Salamandra) comunissimo in que-
sti miei paesi (Gottinga), ho preferito l’altro Molch
come più universalmente noto e ricevuto, e così an-
cora, in iscambio del vocabolo Kobelt (Cobalto)
invalso in uso comune nell’ Erzgebirge, nè quello
di Kobold invalso altrove in Germania, ho creduto
dover accordare la preferenza all’ altro Kobalt co-
me da più lungo tempo fra di noi adottato, e come
sussistente tal quale in più altre lingue, tanto vive
che morte, e così via discorrendo.
Ben diverso è il caso de’ nomi artificiali e triviali
che di proprio arbitrio sogliono adottarsi da molti
de’ nostri più recenti sistematici nella descrizione
degli oggetti naturali per indicarne il genere e la
specie. Per quanto in realtà sia giusto e ragio-
nevole il conservare anche in tali casi possibilmente
i nomi che, per designar quegli oggetti, sono già stati
una volta a bastanza universalmente ammessi ed
[Seite XXII] accettati, si danno però circostanze nelle quali
riesce ancora più giusto e ragionevole il ritenere
un nome già prima trascelto, sebbene racchiuda per
avventura una idea del tutto erronea, a malgrado
d? un altro più esatto che siane stato proposto. E
però mi sono voluto prevalere io medesimo, almeno
quelle pochissime volte che mi è paruto indispen-
sabile, di una così fatta in sè accordabile libertà,
ma che per l’effettivo abuso che in oggi se ne fa,
non lascia di rendere, troppo più che non sarebbe,
malagevole e nojoso lo studio della Storia Naturale.
Così, a cagione d’esempio, mi è piaciuto di ridonare
all’ Armadillo il suo indigeno nome di Tatou uni-
versalmente noto, e per ben lungo tempo ammesso
ed accettato da’ più classici Zoologisti, e il volli in
vista di oppormi allo strano abbaglio con cui a
questo animale quasi affatto destituto di pelo era
stato apposto il nome tedesco di Rauchfuss (Dasipo-
Dasypus); nome sotto il quale gli antichi Greci as-
sai plausibilmente e affatto secondo natura, aveano
designato il genere delle lepri a zampe vellute o pe-
lose (Rauchfüssige). Per consimile motivo ho prefe-
rito d’usare, onde indicare la bella Nefrite della
Nuova Zelanda, il nome suo indigeno di Punam-
mustein (Pietra di Punammu), sotto cui essa ci è
stata trasportata fino dagli Antipodi, e sotto il
quale la conoscemmo per la prima volta, piuttosto
che ammettere l’altro nome più recentemente pro-
[Seite XXIII] postone di Beilstein (Pietra d’accette, o pietra da
scuri); giacchè, sebbene io in fatto abbia veduto tan-
to in questo nostro Museo Accademico, quanto in
quelli di Londra, ricchissimi di oggetti curiosi pro-
vegnenti dalla Nuova Zelanda, la grande molti-
tudine d’asce, di marre, di mazze, o mazzafru-
sti (cassetétes), e d’altri arnesi che quegli isolani
appunto con tale pietra si fanno, non mi venne
però mai fatto di scorgerne formata un’ accetta, o
una scure. – Così pure volli denominare Vampiro
o Suggisangue (Blutsauger) quella specie di Pipi-
strello che effettivamente usa succhiare il sangue dei
Mammali dormienti, a malgrado che Linneo ab-
bia applicato quel nome al così detto Cane volante,
il quale dacchè mondo è mondo non succhiò mai
sangue, ma vive invece unicamente di frutta. Però
molti altri nomi volgari o triviali ancora, i quali
appena sarebbero ora da tollerarsi per l’indica-
zione delle sorta o delle varietà, ho creduto bene
di dover conservare, unicamente allo scopo di non
aggravare di troppo e senza decisa necessità, il peso
della Nomenclatura e delle Sinonimie agli studiosi.
Nè è tampoco senza ragionevoli motivi che os-
serverannosi nel corso di questa mia Opera, scritti
in modo diverso da quello che praticasi abitual-
mente alcuni nomi ben conosciuti di oggetti natu-
rali. Che se per esempio io ho preferito di scrivere
Tofus piuttosto che Tophus, ciò proviene dal non
[Seite XXIV] essere questo nome d’origine greca; e se scrivo Ma-
nacanit, invece di Menacanit, il faccio perchè Ma-
nakan, località ove quel minerale rinvennesi da
prima, è scritto appunto con a, e non con e, ed io
non amo di contravvenire alla norma stabilita per
la nostra lingua (Tedesca) dal sig. Consigliere di
Legazione Hennicke colle seguenti parole: ‘„Ogni
qualunque vocabolo, e molto più poi ogni qualun-
que nome proprio, deve scriversi precisamente in
quella forma, secondo la quale usa scriverlo la lin-
gua d’onde deriva.’
Nel Regno animale ho pensato di dover far sem-
pre precedere ad ogni altro nome il nome latino
della specie che si ha in vista, e ciò perchè occor-
rono a centinaja le specie esotiche, non aventi alcun
nome costantemente stabilito e noto in tedesco.
Perfettamente a rovescio poi ho creduto di dover
praticare a riguardo del Regno minerale, a motivo
soprattutto che in quello i nomi tedeschi sono bene
spesso i più universalmente conosciuti, e anzi talora
sono stati tali quali adottati anche nell’ altre lin-
gue colte.
Nel percorrere il Regno animale, ebbi anche cura
di far precedere il segno ? a tutte quante le specie
che ne esistono nella nostra Germania, ma ho sti-
mato bene di ommettere questa speciale indicazione
trattando del Regno minerale, perchè un cosi fatto
segno, già superfluo per que’ minerali che sono esi-
[Seite XXV] stenti, disseminati o diffusi quasi per ogni dove, sa-
rebbe riuscito al tutto insufficiente per quegli altri
non pochi che anche in Germania appartengono,
come la Boracite, esclusivamente ad una determi-
nata e assai limitata località.
I disegni d’oggetti spettanti alla Storia Natu-
rale, che in correlazione al presente mio Manuale
vanno escendo mano mano alla luce per puntate,
si riferiscono alle più recenti edizioni di quello, e
gli servono di più conveniente dichiarazione.
Gottinga. Febbrajo 1825. G.F. Blumenbach
indicante lo speciale uso de’ diversi caratteri
minuscoli che si sono adoperasi nella presente
opera.
Tutti quanti i corpi che riscontransi sulla super-
ficie del globo nostro terracqueo o nelle viscere
del medesimo, sogliono offrircisi allo sguardo, o sot-
to l’aspetto medesimo e colle stesse qualità ch’ essi
aveano nel primo loro uscir dalle mani del Crea-
tore, e che presero poscia per effetto libero, spon-
taneo ed esclusivo delle forze proprie della natura,
o veramente con quell’ altre forme, alterazioni e
modificazioni che l’uomo o gli animali diversi con
determinato scopo, o anche il semplice caso, pos-
sono loro nel tratto successivo aver fatto subire.
Fondasi appunto su questa diversità la notissima
distribuzione generale di que’ corpi tutti, in corpi
naturali (naturalia), e in corpi modificati dall’ ar-
[Seite 2] te o artificiali (artefacta), i primi tra’ quali costi-
tuiscono il soggetto della Storia naturale e sono po-
sitivamente quelli a’ quali nessun umano artificio
abbia infino ad ora fatto subire cangiamento essen-
ziale o mutazione rimarchevole, in conseguenza di
che poi saranno da ritenersi come artificiali, arte-
fatti o artificialmente elaborati, modificati o tra-
sformati tutti quegli altri corpi, già prima naturali,
che l’uomo1 con proprie viste avrà assoggettato a
qualche preparazione o a qualche operazione ca-
pace di mutarne in qualche modo l’aspetto o d’al-
terarne essenzialmente la forma.
Annotazione I.a Ritengo che non faccia mestieri di
rammentar qui che tale idea di essenzialità, di cosa
fatta con uno scopo determinato o con progetto, delle
quali mi sono nel concreto caso giovato, attesa la mol-
tiplicità di considerazioni, giusta le quali possono essere
valutate, e la moltiplicità di modificazioni onde sono
suscettibili, non sono mai se non relative; mentre altri-
menti intendendo, un Mulo o anche un Caraibo, in forza
della sua testa artificialmente difformata, e simili altre
cose, che effettivamente nol sono, potrebbero sotto qual-
che riguardo volersi connumerare fra i corpi naturali
artificiosamente modificati, o fra gli oggetti artefatti.
II.a Accade qualche volta che alcune produzioni na-
turali s’assomigliano così fattamente a produzioni del-
l’arte, che riesce difficilissimo il distinguere se all’ una
o all’ altra di tali grandi divisioni debbansi ascrivere.
Così è avvenuto, per esempio, circa all’ indumento della
Piscina mirabile di Baja, su cui disparate tanto furono
le opinioni che, mentre alcuni sostenevano esser desso
una incrostazione calcarea mano a mano depositatavi
da quelle acque, altri pretendevano che fosse stata una
intonacatura artificiale spalmatavi sopra per progetto
mercè di un cemento preparato (Vedi. Götting. gel.
Anzeigen 1731, pag. 188).
Ogni singolo corpo od ogni singola produzione
naturale è suscettibile di presentare differenze in
vista 1.° della sua origine, 2.° del suo modo di cre-
scere e 3.° della particolare struttura sua. E di fatto
gli uni di que’ corpi sono costantemente prodotti,
generati o derivanti immediatamente da altri corpi
della medesima loro specie e aventi il loro aspetto
e la loro conformazione medesima; di modo che
l’idea della loro esistenza attuale non può a meno
di farci supporre l’esistenza successiva, in serie con-
tinuata fino all’ epoca della prima Creazione1, di
[Seite 4] altri corpi simili a loro, e a’ quali dessi vanno de-
bitori dell’ esser loro.
Certi altri di que’ corpi naturali assumono per
entro a sè diverse materie estranee in via d’ali-
mento, di cibo o di nutrimento, se ne assumono
in propria sostanza alcune parti, ne separano ed
evacuano le superflue, e col mezzo d’una così fatta
alternazione d’operazioni, e della continua rinno-
vazione che loro ne deriva, promuovon essi il pro-
prio loro progressivo incremento dal di dentro, co-
me suol dirsi per intussuscepzione (Intussusceptio-
Expansio), ossia per l’appropriazione continuata
di materie ingeste.
Le due qui sopra citate proprietà poi presup-
pongono necessariamente in questa sorte di corpi
naturali una particolar costruzione, o una confor-
mazione speciale, in forza di cui siano essi costi-
tuiti in caso non solo di nutrirsi, come s’ è detto,
assumendo alimenti per entro a sè, e assimilando-
seli in propria sostanza, ma ben anche di produr
col tempo altre creature della stessa loro specie,
ed è perciò che, onde riescano essi appunto capaci
di conseguire lo scopo di loro propria conserva-
[Seite 5] zione, e quello eziandio della riproduzione della
specie, scorgonsi forniti i corpi loro di vasi, con-
dotti, canali, organi o visceri opportunamente in-
sieme collegati, e provveduti delle occorrenti forze
vitali o di vitalità, col soccorso de’ quali possono
a dovere effettuarsi l’assunzione de’ cibi, la loro
assimilazione, le diverse secrezioni degli umori o
sughi, e anche, venuto che siane il tempo, la ri-
produzione della specie.
Tutto ciò manca onninamente a’ minerali che
costituiscono, come si accennò, l’altra grande divi-
sione de’ corpi naturali, e de’ quali si può dire che,
invece di nascere, si formano, e invece di crescere,
si aumentano mano mano di mole o di volume,
mentre in essi non ha luogo mai alcuna sorte di
nutrizione, ma si aumentano unicamente mercè del-
l’accumulazione, o dell’ addizione ab extra o dal di
fuori, di particelle omogenee, o come usa dirsi per
juxtaposizione (aggregatio-juxtapositio); addizio-
ne o accumulazione di parti che procede con leg-
gi propriamente fìsiche (Meccanico-chimiche),
sicchè in questi non è da aspettarsi di scorger mai
traccia alcuna, nè d’originaria organizzazione, nè di
vitalità1. Ed è appunto perciò che, chiamandosi
[Seite 6] quest’ ultimi corpi inorganici o non organizzati, ri-
serbasi a que’ primi il nome di corpi organici, o
corpi organizzati.
Per altro i corpi organizzati ammettono anche
fra essi una doppia distinzione dipendentemente
dalla diversa maniera che serbano nell’ assumere
il loro alimento.
Alcuni di essi col mezzo degli innumerabili fila-
menti vascolari, che hanno infissi nella parte infe-
riore del loro individuo, assorbono macchinalmente
un suco nutritivo semplicissimo, senza che appa-
risca concorrere in ciò dal canto loro alcun movi-
mento di spontaneità.
Altri invece sogliono avere per lo più alla estre-
ma parte anterior superiore del corpo loro un’ a-
pertura principale ordinariamente semplice, che
mette ad una ampia interna cavità membranacea,
nella quale essi, spintivi dal senso della fame,
mercè di un movimento volontario introducono il
loro cibo che può essere d’indole diversissima.
Que’ primi corpi diconsi vegetabili o piante, e
questi ultimi denominami animali.
Annotazione. Sono d’avviso che la locomotività (Lo-
comotivitas), ossia l’attitudine a cangiar di luogo, non
sia bastevole come carattere su cui distinguere gli animali
dalle piante, atteso che hannovi molti vegetabili, come
[Seite 7] per cagion d’esempio, le lenti d’acqua comuni (die ge-
meinen Wasserlinsen), che non avendo radice ferma-
mente abbarbicata al terreno, possono benissimo in certe
stagioni cangiar di luogo, e talora cadere al fondo, e
poi tornare a galla d’acqua, e cosi via discorrendo,
e atteso che d’altra parte si danno generi interi d’ani-
mali acquatici, come i coralli, le madrepore e molte
conchiglie, che di per sè, preso che abbiano un po-
sto, non sono più oltre capaci di cangiarlo.
In conseguenza d’una così fatta semplicissima
distinzione de’ corpi naturali in corpi organizzati
e in corpi inorganici, e poi di nuovo de’ corpi or-
ganizzati fra di loro, ne nacque la nota divisione di
tutte le produzioni naturali ne’ tre così detti grandi
Regni della Natura, l’uno de’ quali comprende tutti
gli animali, e dicesi regno animale, mentre il se-
condo, che racchiude tutte le piante, dicesi regno ve-
getabile, e mentre il terzo, destinato ad inchiudere
tutti indistintamente i corpi inorganici o non orga-
nizzati, e contenente tutti i minerali e i fossili, di-
cesi regno minerale.
Quindi appariscono gli animali dover essere corpi
organizzati, vivificati o viventi ed animati, i quali
in grazia della facoltà ch’ è loro compartita di muo-
versi più o meno liberamente, possono di per sè
stessi cercare il sommamente vario loro cibo o nu-
trimento, e per la via della bocca recarselo nello
stomaco o nel ventricolo.
I vegetabili o le piante poi vengono così ad es-
sere corpi organizzati viventi anch’ essi, ma non
animati, i quali per mezzo delle loro radici, senza
però che vi concorra alcun movimento spontaneo
evidente, assorbono o succhiano da’ corpi circonvi-
cini un suco o un fluido semplice ed omogeneo e
adattato alla speciale loro costituzione che serve
ad essi di nutrimento.
Finalmente i minerali1 sono corpi naturali inor-
ganici o non organizzati e non viventi, che desti-
tuti come sono al tutto d’ogni sorte di forze vitali,
non possono aver altra origine, nè formarsi altra-
mente che per effetto delle leggi fisiche (Mecca-
nico-chimiche) d’attrazione, d’aggregazione e di
forza plastica.
Annotazione. Due obbiezioni opposero singolarmente
in questi ultimi tempi alcuni Scienziati alla qui da noi
riproposta distribuzione generale de’ corpi naturali in
tre grandi regni, ed è dovere il farcene carico per po-
terle valutar come meritano.
Alcuni per esempio, benchè riconoscano una decisa
soluzione di continuità tra i corpi organizzati ed i corpi
inorganici, non ammettono poi del pari che sussista
una linea di demarcazione ben decisa tra gli animali,
ed i vegetabili.
Altri per lo contrario interpretando a modo loro, e del
tutto arbitrariamente la prediletta loro metafora d’una
tal quale necessaria graduazione o catena non isconti-
nuata degli esseri, e quasi pensando che la natura non
possa mai procedere per salti, e quindi non si pieghi
ad alcuna determinata divisione de’ suoi prodotti, hanno
opinato che non sia da ammettersi in verun conto una
tale distribuzione in regni.
Riguardo alla prima delle testè enunciate obbiezioni
si può tosto francamente rispondere che, parlando
così in generale, non si dovrebbe dimenticar mai, sic-
come pur troppo si suol fare quando trattasi di oggetti
d’esperienza, essere di gran lunga più agevol cosa il ri-
conoscere tali oggetti per quello ch’ essi in fatto sono, e
così il distinguerli e differenziarli dagli altri, di quello
che non riesca il rinvenire, definire ed esporre i carat-
teri speciali o le note caratteristiche che li contraddi-
stinguono e li differenziano1.
Pertanto è forza convenire che dicea benissimo Lin-
neo di non aver potuto ancora, fino al momento in cui
stava scrivendo, rinvenire un carattere che valesse a dif-
ferenziare con precisione l’Uomo dalla Scimmia ‘„Nul-
lum characterem hactenus eruere potui, unde Homo
a Simia internoscatur„’. Io mi lusingo per altro d’es-
sermi messo a portata di dare nell’Opera presente tali
caratteri esterni particolari all’Uomo, che al lume di
quelli si potrà quind’ innanzi distinguerlo in un modo
assolutamente non equivoco e che non lascerà dubbio
alcuno, non solo da tutti gli altri Mammalio Poppanti,
ma ben anche dalla stessa Scimmia, la quale più d’ogni
altro gli rassomiglia; sebbene io reputo che, ancorchè
mancasse il soccorso di tali caratteri, troppo difficile e
anzi affatto impossibile sarebbe che un Naturalista qua-
lunque, per poco esperto ch’ ei fosse, potesse in pra-
tica trovarsi imbarazzato a distinguere un uomo da una
Scimmia. Rifletterò d’altronde che se egli è vero, come
lo è in fatto, che alcuni esseri appartenenti a classi
affatto differenti, affettano talora fra essi una singolare,
straordinaria, e qualche volta perfino abbagliante ras-
somiglianza, ciò non ostante all’ ombra di questa somma
rassomiglianza non sparisce e non si distrugge mai quella
tale marcatissima differenza che ne caratterizza essen-
zialmente le diverse classi; di modo che non si potrà
a meno di ritenere come tra loro differenti quegli esseri
[Seite 11] medesimi, anche non guardandoli che per questo solo
loro verso. Così, per cagion d’esempio, noi usiamo di-
videre gli animali assai naturalmente in animali a san-
gue caldo, e in animali a sangue freddo, e poi collo-
chiamo i mammali fra i primi e gl’ insetti fra i secondi,
a malgrado che niuno ignori trovarsi continuamente le
Api, che pur sono insetti, nel loro alveare involte in
un grado di calore senza confronto maggiore di quello
che possa mai dimostrare durante il sonno invernale il
Porco spino, che è pure un animale a sangue caldo e
un mammale. Inoltre hannovi nella classe de’ Mollu-
schi alcuni generi, com’ è quello delle Seppie, che sono
differentissimi dagli altri animali compresi in questa
medesima classe, e che mostrano invece un’ abbagliante
rassomiglianza co’ Pesci, eppure, ad onta di una così
fatta somma rassomiglianza, non vi sarà al certo chi
voglia pretendere che abbiasi a demolire ed atter-
rare il muro divisorio che in fatto esiste tra la classe
de’ Molluschi e quella de’ Pesci. – Come mai vorreb-
besi poi confondere il regno animale col regno vegeta-
bile, per ciò solo che in certe piante rinvennesi una qual-
che parziale, momentanea e affatto accidentale rassomi-
glianza con qualche animale? I singolari ed in vero
strani movimenti di alcune sorta di Mimose o Sensitive
e dell’ Hedysarum gyrans, possono e debbono real-
mente considerarsi bensì come degni di tutta la nostra
ammirazione, ma non è perciò che quelle piante mede-
sime abbiano a riputarsi possedere quel carattere di
animalità che abbiamo superiormente definito ed espo-
sto. La rassomiglianza che affettano i Polipi a braccia
[Seite 12] (Hydra), e i Polipi ramosi (Brachionus) con alcuni
vegetabili, non porta quella impronta precisa di vege-
tabilità che esponemmo poc’ anzi, e se vorremo stu-
diar l’argomento colla dovuta diligenza ed attenzio-
ne, non tarderemo gran fatto a riconoscere che que’
Polipi, o come suol dirsi que’ Zoofiti, sono decisamente
animali, giacchè in modo analogo a quello usitato dal-
l’Uomo e dall’ Ostrica, quando la fame li travaglia,
essi trasportano mercè di un movimento affatto volon-
tario o spontaneo, alla propria bocca il nutrimento che
loro conviene; operazione che di certo niuno ha veduto
mai praticarsi da qualsivoglia pianta, almeno durante
l’epoca della Creazione attuale, cioè di quella Creazione
della quale principalmente noi ci accingiamo ora ad
esaminare colle possibili maggiori brevità e precisione
le svariatissime produzioni d’ogni maniera.
Si potrà del pari, ove così piaccia, rispondere alla
seconda propostaci obbiezione contro la generalmente
ammessa divisione de’ corpi naturali ne’ tre grandi regni
indicati, quella cioè che appoggiasi alla metafora gra-
tuita, affatto arbitraria ed insussistente, della progres-
sione graduata degli esseri in forma di catena, o di
serie non iscontinuata, e per provarvici, comincieremo
dall’ avvertire che tutte queste blandite immagini d’una
fantastica catena naturale degli esseri, d’una scala, o
d’una rete continua, sono tutt’ al più da valutarsi, quali
sono in fatto, come mezzi utili alla Metodologia onde
facilitare la intelligenza delle cose che spongonsi rela-
tive allo studio della Storia naturale, in quanto che
servono a stabilire e fondare quello che usiamo deno-
[Seite 13] minare Sistema naturale, nel quale tutti gli esseri, o
tutte per meglio dire le terrene cose create vengon ad
essere di mano in mano classificate e chiaramente di-
stribuite, appunto in ragione delle rispettive loro più
marcate analogie o rassomiglianze, dell’ abito loro com-
plessivo, e come suol dirsi, delle rispettive maggiori
loro affinità quindi derivanti, sotto certi determinati,
ristretti e precisi punti di vista, che giovano senza dub-
bio moltissimo a rischiarar meglio le masse nella mente
ancor debole de’ principianti; ma pretender poi di far
entrare, come hanno già tentato alcuni pochi Fisico-
teologi, tali idee affatto metaforiche, o tali arbitrarie
immagini, nel gran piano che la Providenza aveasi pre-
fisso nell’ atto della Creazione, e vanamente affaccen-
darsi a voler trovare la perfezione e l’ordine della Crea-
zione in una simile graduata progressione degli esseri,
sul semplice esposto fondamento, com’ essi dicono, che
la Natura non procede mai per salti, ciò ci sembra
tesi non solo ultroneamente temeraria e condannabile,
ma in sè stessa assurda e affatto insostenibile in faccia
di chi abbia dose bastante di senno e di ragionevolez-
za.1 Basta in fatto l’esaminare soltanto ben da vicino
gli sforzi con tanta sollecitudine e con tanto abuso d’in-
gegno adoperati onde stabilire una così fatta catena,
scala o serie graduata fra le terrene create cose, per
rimanere tosto convinti che, se da un canto le intiere
masse di creature aventi una configurazione consimile
[Seite 14] sono concorse a formar generi composti d’innumere-
voli specie (precipuamente nelle classi degl’ Insetti, e dei
Vermi, ma però talora anche nel regno vegetabile), per
lo contrario altre di tali creature dovettero rimaner-
sene quasi affatto isolate, a motivo che, per essere do-
tate d’una conformazione distinta e particolare loro
propria, senza manifesto sforzo non poteron mai es-
sere introdotte e collocate in quella così fatta pretesa
scala naturale degli esseri. Così è per esempio di tutta
quanta la classe degli Uccelli, e così è pure delle Te-
stuggini o Tartarughe, delle Seppie delle quali ho
già fatto menzione, e di molte altre produzioni na-
turali ancora. Ma v’ è anche di peggio, mentre si danno
animali, come sono per esempio i Cocci o Gallinsetti
(il Kermes, la Cocciniglia e la Lacca) de’ quali i ma-
schi e le femmine sono così diversamente conformati,
che assolutamente non sarebbe possibile il non sepa-
rarli affatto gli uni dalle altre per farli entrare in detta
scala graduata, nella quale poi gl’ individui maschi
verrebbero ad essere collocati a grandissima distanza
dagl’ individui femmine, quando così gli uni, come le
altre, vi fossero stati disposti a norma delle diver-
sissime forme sessuali loro proprie rispettivamente. –
Aggiungasi poi che quella pretesa scala, o quella im-
maginaria catena degli esseri, porta già seco natural-
mente tali lacune e tali interruzioni, da non potersi
così di leggieri superar con un salto; e qui farò che
un esempio mi basti per tutti, accennando soltanto la
lacuna, che sempre sarebbevi inevitabile, tra i corpi or-
ganizzati e i minerali.
Difettosissima pertanto sarà al tutto da riputarsi sem-
pre ogni qualunque fantastica idea di catena, di scala,
di serie continua de’ corpi naturali, come insussistente
ed assurda sarà da ritenersi la temeraria tesi di quei
Fisico-teologi i quali sostennero che, se un anello solo
di tale loro immaginaria catena per caso venisse a fran-
gersi, la grand’ opera della Creazione ne rimarrebbe
interrotta, e più non potrebbe proceder oltre. Giac-
chè, a quel modo che si potè in tutta quanta la esten-
sione di qualche grande isola distruggere le intiere spe-
cie di animali, com’ è accaduto de’ Lupi nella Gran Bret-
tagna, senza che perciò in que’ paesi la Creazione abbia
sofferto uno scapito sensibile, giova credere che altre
creature potranno del pari sparire affatto coll’ andar
del tempo da una delle parti del globo nostro, e forse
anche da tutta quanta la Terra, come pare che sia
oggimai avvenuto di specie intiere d’animali (il Dudu
(Didus ineptus), il Mastodonte ec.), senza tema che per
la sensibile lacuna (hiatus), che ne risulterebbe in
detta catena, l’eternamente tranquillo procedere della
Creazione sia per soffrirne mai, non che una totale so-
spensione, ma nè tampoco la più lieve perturbazione1.
Parlando in massima ogni qualunque corpo orga-
nizzato non può non essere prodotto, o non essere
stato generato da un corpo organizzato simile a
lui e già preesistente1. Si conserva poi desso, e cre-
sce gradatamente mercè della proprietà che ha di
potersi nutrire; e questa medesima proprietà, che
esso esercita durante tutta la vita, è quella che gli
impartisce anche la facoltà di procreare altri indi-
vidui simili a lui, di riprodursi o come suol dirsi,
di moltiplicare la propria specie, quando sia per-
venuto ad un certo determinalo stato di maturità.
La Previdenza nell’ atto stesso in cui prescrisse
ai corpi organizzati l’esercizio regolare, metodico
e periodico delle qui sopra enumerate importan-
tissime operazioni, ha saputo metterli anche a
portata di effettuarle mediante la loro particola-
re organizzazione, e col soccorso delle forze vi-
tali, che a questa medesima particolare loro or-
ganizzazione sono essenzialmente attaccate ed ine-
[Seite 23] renti. E di fatto sono appunto queste forze vitali
quelle che compartiscono agli organi la loro irrita-
bilità, o la suscettibilità che hanno di risentire l’ur-
to o l’impressione degli stimoli (Stimuli), e quei
principii di movimento, senza de’ quali non sarebbe
possibile farsi un’ idea adequata nè di nutrizione,
nè d’incremento, nè dell’ azione e reazione reci-
proca delle parti sul loro complesso, e viceversa
del tutt’ insieme sulle singole parti1, cooperanti
alla conservazione d’ogni essere organizzato.
A fine di poter spiegare l’origine prossima o la
formazione de’ corpi organizzati trovarono alcuni
Naturalisti, anche de’ più moderni, comoda ed a
proposito la ipotesi della Evoluzione; cioè prete-
sero che nè un uomo, nè un animale qualunque, nè
un vegetabile, possano dirsi con precisione gene-
rati, mentre in realtà essi esistevano già fino dalla
prima Creazione come germi preformati ne’ fluidi,
nel liquore seminale, ossia nello sperma de’ loro
Autori2, e che le differenti generazioni siano per
[Seite 24] così dire incassate le une nelle altre, di modo che,
attivate successivamente per mezzo del giuoco della
fecondazione, esse vengano poi di mano in mano,
vale a dire l’una dopo l’altra, nell’ ordine presta-
bilito alla luce del giorno.
Questa ipotesi della evoluzione o dello svilup-
pamento sarà però sempre costantemente combat-
tuta da tutti coloro che usano ragionare spregiu-
dicatamente e senza prevenzione, e chicchessia può
farsene a beneplacito un’ idea adequata e darle
quel peso ch’ essa si merita, calcolando l’immensa-
mente prodigioso dispendio che importa un così
fatto apparato soprannaturale ed ultrafisico (iper-
fisico)1, e quella moltiplicazione affatto inutile di
[Seite 25] forze fisiche1, che opponesi diametralmente a tutte
le leggi dello studio filosofico della Natura, e con-
siderando tutte quelle innumerabili Creazioni, che
caderebbero affatto senza scopo in tanti di quei
pretesi germi preformati che sono condannati a
perire inutilmente e senza effetto per mancanza di
sviluppamento, e tanto più che detta opinione
viene eziandio combattuta vittoriosamente da di-
versi raziocinii fondati sull’ esperienza.
Annotazione. I più zelanti e più famosi settatori della
ipotesi dell’ evoluzione, concordano tutti nel dire, che
i germi preformati sono contenuti nell’ ovaja materna,
ove vengono poi risvegliati ed eccitati allo sviluppa-
mento per opera dello sperma paterno nell’ atto della
fecondazione, e quindi risulterebbe quella funzione che
denominasi concezione o concepimento, non in altro con-
sistere se non se nello svegliamento del germe ivi gia-
centesi immerso in profondo sonno; risvegliamento che
vi occasionerebbe il sopravvenirvi dello sperma maschi-
le. Sarebbe dunque forza ammettere prima d’ogni altra
cosa in quello sperma la concorrenza di una forza ec-
citante, irritante o stimolante, e se ciò è, come av-
vien’ egli poi che le tante volte i figli rassomigliano sol-
tanto al padre? Ma si è per esperienza rilevato che
alcune cagne, state a piccoli frapposti intervalli coperte
da più cani di razza diversa l’un dopo l’altro, met-
[Seite 26] tono poi alla luce del giorno a tempo debito varii ca-
gnolini, cadauno de’ quali mostra manifeste rassomi-
glianze con quello di que’ cani che effettivamente gli
fu padre; d’altronde si sa oggimai quasi da tutti, che
due razze differenti d’uomini, come a dire un bianco
con una negra, o un negro con una bianca, generano
sempre insieme i così detti mulatti, i quali costitui-
scono tra essi una razza intermedia, e si sa del pari
che quando una specie, sia d’animali, ossia di vege-
tabili, viene fecondata da un individuo di specie af-
fatto diversa, ne risultano poi que’ che diconsi bastar-
di, i quali in qualche loro parte sfoggiano le sem-
bianze paterne, mentre tengono nel resto le forme ma-
terne. – Questi sono pur fatti avverati e da non po-
tersi rivocare in dubbio, e anzi gli stessi partigiani
della evoluzione ne sono, loro malgrado, forzati a con-
fessare che il seme maschile, oltre a questa sua prima
forza eccitante o stimolante, una diversa ne possegga
formativa; e ciò per ispiegar come quel seme mede-
simo abbia virtù di contribuire, almeno in parte, la
propria forma al germe che, giusta il parer loro, pree-
sisteva già bello e formato negli organi della genera-
zione materni. Sarebbero pertanto da considerarsi nello
sperma maschile due sorte di forze, vale a dire: 1.° la
forza eccitante, 2.° la forza formativa; se non che an-
che qui si potrebbe obbiettare che, inducendo arti-
ficialmente alcune specie di corpi organizzati a gene-
rare specie bastarde pel corso di parecchie generazioni,
si può giugnere a trasformare del tutto una specie nel-
l’ altra; così succede, per cagion d’esempio, che fecon-
[Seite 27] dando una specie vegetabile col polline maschile d’una
specie diversa, si riesce ad ottenere semi atti a produrne
poi nuove specie bastarde e feconde, durante la infio-
rescenza delle quali se le parti femminili ne siano ulte-
riormente fecondate col polline maschile stesso onde
esse derivano, se ne otterranno semi che daranno altre
nuove piante bastarde di seconda generazione, pur
sempre feconde, ma con questa diversità che, se le
piante bastarde di prima generazione potevano dirsi
a un dipresso intermedie fra le due specie diverse onde
erano state in prima mano generate, e conservavano
quasi tanto delle forme paterne, quanto delle materne,
invece quelle di seconda generazione parteciperanno
già più delle forme paterne che delle materne, e quando
questa fecondazione artificiale, instituendo una così fatta
sperienza, fu ripetuta ancora per la terza e per la quarta
volta, se n’ebbero alla perfine nuove piante nelle quali
la primitiva forma materna, al tutto obliterata e scom-
parsa, avea dato luogo quasi compiutamente alla forma
paterna. Possono in questo proposito consultarsi util-
mente le ingegnose sperienze di Kölreuter riportate
sotto l’indicazione di ‘„Trasformazione completa d’una
specie vegetabile in un’ altra specie„’ al §. 24 pag. 51
della terza Continuazione della di lui opera ‘„Nachricht
von einigen das Geschlecht der Pflanzen betreffenden
Versuchen„’. Risulta dunque da quanto qui ora esponem-
mo, che la idea d’una pretesa preformazione del germe nel
seno materno, e la conservazione di quello fino da’ pri-
mordii della Creazione, è ben lunge dal conciliare tutti
i punti della questione, se alla perfine occorre poi che
[Seite 28] questo germe ceda alla forza formativa dello sperma ma-
schile, il quale propriamente, volendo attenerci al-
l’ipotesi della evoluzione o dello sviluppamento, non
avrebbe dovuto altrimenti cooperare alla produzione di
detto germe alla luce del giorno, se non soltanto in virtù
della sua propria forza eccitante.
Di gran lunga meglio accordasi in somma colla
nostra intelligenza, e riesce anche ad un tempo
più conforme alle regole adottate di filosofare
nello studio della Natura1, il trarre, piuttosto che
da altro fonte qualunque, la spiegazione dell’ ori-
gine prossima, o della immediata produzione dei
corpi organizzati, dalla formazione successiva-
mente continuata (Epigenesis2) della materia pro-
lifica o generativa, di per sè grezza da principio
ed informe, ma suscettibile di organizzazione od
organizzabile mercè della concorrenza di certe de-
terminate circostanze promoventi.
Solo è qui da osservarsi che, siccome si può
considerare, ed è anzi stata già considerata, questa
formazione successiva sotto differenti punti di vi-
sta1, perciò rendesi necessario l’ingegnarci di deter-
minarla in modo tale ch’ essa venga il meglio e il
più naturalmente che sia fattibile, a corrispondere
all’ idea che ci siamo fatta de’ corpi organizzati, e
ai fenomeni che ci presenta l’atto stesso della loro
produzione o della loro origine prossima.
Un cosi fatto scopo, quello cioè di determinare
o di chiarire possibilmente l’essenza di questa for-
mazione successivamente continuata in modo che
corrisponda naturalmente all’ idea che abbiamo
de’ corpi organizzati, e che soddisfaccia, o appari-
sca bastevole alla spiegazione de’ fenomeni della
generazione, tosto per mio avviso attingerebbesi,
[Seite 30] ove soltanto si volesse supporre che la materia ge-
nerativa, ammessa già dagli antichi, di per sè
stessa informe, grezza ed inorganica, ma pure su-
scettibile di divenire organizzata ogni qualvolta,
convenientemente elaborata, giunga in certo deter-
minato tempo, e sotto la concorrenza d’alcune cir-
costanze speciali, al luogo di sua destinazione, di-
venga appunto allora capace di risentire l’effetto
d’una tal quale vitalità sui generis, che si può a be-
neplacito qualificare col nome di forza generatri-
ce, di forza formativa, di tendenza generativa o
di conato formativo (Nisus formativus), la quale
vi operi sopra con efficacia e conformemente allo
scopo della generazione; forza o conato che in
tanto viene soprattutto a distinguersi da ogni qua-
lunque altra forza formativa d’indole puramente
meccanica, com’ è, per esempio, quella che nel re-
gno inorganico cagiona le cristallizzazioni1, e altri
[Seite 31] fenomeni consimili, in quanto che, i corpi orga-
nizzati e le singole loro parti essendo destinati a
tante funzioni fra loro diversissime, essa debb’ es-
ser tale da compartire alla materia generativa e su-
scettibile d’organizzazione, come s’è detto, altret-
tante modificazioni di forme, quante appunto allo
scopo speciale di cadauna di quelle funzioni, e an-
che di tutte simultaneamente, se ne possano richie-
dere. Per tal modo, vale a dire mercè della riu-
nione a un tratto delle forze meccaniche generali
col qui ora definito conato formativo, avente per
iscopo la generazione, e atto ad indurre ne’ corpi
organizzati e nelle singole parti loro quelle mo-
dificazioni di forme che occorrono al consegui-
mento di questo importantissimo scopo1, vengono
a mettersi in giuoco permanente da prima, cioè
fin dall’ atto stesso del concepimento, la forma-
zione successiva, poi la nutrizione che conserva
la creatura o l’ente organizzato durante tutto il
[Seite 32] corso di vita assegnatogli, e finalmente anche la
riproduzione che, almeno in quanto essa può
aver luogo ne’ singoli casi, tende a risarcire o a
riparare le perdite, alle quali l’individuo orga-
nizzato abbia a quando a quando per avventura
soggiaciuto.1
Annotazione I.a Si può discernere benissimo o con
molta evidenza una tale formazione successiva di no-
velli corpi organizzati in quelli tra essi che combinano
con un volume a bastanza vistoso, la facoltà di crescere
rapidamente e che, mercè della somma finezza della
loro compage riuscendo semitrasparenti o transluci-
di, illuminati che siano a dovere, concedono che col
soccorso della lente si possa esaminarne la conforma-
zione interiore. Corpi di tal fatta sono, per esempio,
nel regno vegetabile parecchi Musei acquatici semplici,
e tra gli altri la Conferva delle fontane (Conferva fon-
tinalis – Ceramium caespitosum Roth), che suol ripro-
dursi sul bel principio della primavera, e nel regno ani-
male, fra gli animali apparentemente privi di sangue,
o per meglio dire a sangue bianco, le Idre, ossiano i
polipi a braccia, e fra quelli a sangue caldo, il pollo
od il pulcino al momento di sua prima comparsa nel-
l’ uovo fecondato e covato, e ne’ primordii del suo svi-
luppamento, che va poi di giorno in giorno e visibil-
mente facendosi sempre maggiore; onde hassi un lu-
[Seite 33] minoso esempio di formazione successivamente conti-
nuata.
II.a Potremmo, anche senza incorrere la taccia d’aver
trascurato cosa di troppa importanza, esimerci, a quel
che pare, dal qui rammentare che realmente in sè stesse
le espressioni di conato formativo, forza generatrice
o tendenza generativa, come accade eziandio delle de-
nominazioni attribuite a qualsivoglia altra forza vitale,
non spiegano e non significano nulla propriamente,
ma che sono desse unicamente destinate a qualificare
quella forza, quella tendenza particolare o quel conato
che riunisce e combina in sè il principio meccanico con
quell’ altro principio teleologico, o suscettibile di modifi-
cazioni conformi al determinato fine della generazione.
Per altro, riputando che anche il ripetere all’ occorrenza
le cose alquanto astruse possa non esserci ascritto a
colpa, soggiugneremo in questo medesimo proposito ul-
teriormente che, sebbene l’esperienza ci somministri
frequentissime e costanti prove dell’ esistenza ed atti-
vità di questa forza o di un tale conato, pure la causa
ond’ esso effettivamente derivi, al pari di tutte l’al-
tre cause ammesse delle differenti forze naturali, ri-
mane ancora per noi, in tutto il rigor del senso, una
qualità occulta (Qualitas occulta). Ciò però non debbe
in conto alcuno distoglierci dal cercare di conoscerne
e d’investigarne sempre meglio gli effetti col soccorso
delle osservazioni, e dallo studiarci di ridurli a leggi
generali.
La predetta forza generatrice (o se meglio così ci
piaccia, quel conato generativo), operando deter-
minatamente, e conformemente allo scopo della
generazione, sopra certe date sostanze, o materie
suscettibili di risentirne l’effetto e di divenirne
sostanze o materie organizzate, in progresso di
tempo serve poi anche a conservare la forma e
l’abito (Forma, et Habitus) ugualmente determi-
nati di tutte le singole distinte specie (Species)
de’ corpi organizzati; ed è pur dessa che man-
tiene ne’ corpi aventi sesso quella differenza ses-
suale, cui mediante gl’ individui maschi si distinguo-
no dagl’ individui femmine d’una specie medesima.
Può però talora la forza generativa deviare in
differenti maniere dalla sua propria, metodica e
determinata direzione, a quel modo medesimo che
dalla ordinaria abituale sua direzione può deviare
qualunque altra forza vitale che sia turbata nella
sua azione, o che venga comunque modificata per
la concorrenza di circostanze accidentali straor-
dinarie1.
Da tali deviazioni provengono appunto, non fa-
cendoci qui carico di quelle occasionate da infer-
mità, le quali non spettano in conto alcuno alla
Storia naturale, ma sono più che altro d’ingerenza
del medico e del patologo, 1.° i Mostri, che sono
Corpi organizzati di forme affatto contro natura1,
così svisate ab origine per effetto d’una violenta
perturbazione di quel medesimo conato formativo,
che presiedevane alla produzione; 2.° gli Erma-
froditi, o Androgini, che sono corpi organizzati,
in uno o più individui de’ quali rincontrinsi in-
sieme collegati i caratteri sessuali di maschio e di
femmina, che in generale sogliono essere portati da
due diversi individui; 3.° i Bastardi, che sono il
risultato del congiungimento riuscito fecondo di
due creature, non solo di sesso, ma di specie af-
fatto diverse; 4.° finalmente le Razze, e le Varietà,
che sono consorzii d’individui d’una medesima
specie, portanti gli effetti più o meno marcati ed
evidenti d’una progressiva o successivamente con-
[Seite 36] tinuata degenerazione occasionala dall’ influenza
di cause moltiplici.
Intendiamo per Mostro o per Mostruosità, una
qualunque marcata ed evidente difformità contro
natura riportata da un individuo fin dalla nascita
nella conformazione delle parti esterne più grandi
del corpo. Per quanto varie possano essere tali dif-
formità, i Mostri che ne risultano, possono però
ridursi tutti alle seguenti quattro divisioni gene-
rali1, cioè: 1.° Mostri che hanno qualche loro
membro dotato di una conformazione speciale e
contraria a quella che avrebbe dovuto avere natu-
ralmente (Fabrica aliena); 2.° Mostri che hanno
alcuni membri trasposti, scollocati o non natural-
mente situati (Situs mutatus); sono questi i più
rari di tutti i Mostri, stando alla definizione che
abbiamo pur testè data de’ vocaboli Mostro o Mo-
struosità, poichè d’altronde accade bene spesso
che nello sparare cadaveri d’uomini, che pur
parevano costituiti a dovere, vi si riscontrino al-
cuni de’ loro visceri situati in un modo del tutto
[Seite 37] contrario all’ ordine che, generalmente parlando,
la Natura in ciò suol tenere; 3.° Mostri a’ quali
mancano affatto alcune membra intere, e che
diconsi Mostri per difetto (Monstra per defec-
tum); sono questi i più istruttivi di tutti i Mo-
stri; 4.° Mostri che hanno membra soprannume-
rarie, ossia che hanno un maggior numero di
membri di quello che naturalmente dovrebbero
avere, e che diconsi Mostri per eccesso (Monstra
per excessum); sono questi i più comuni e i più
frequenti di tutte le maniere di Mostri, e sono a
bastanza frequenti anche fra gli animali selvatici
e non addimesticati, come per esempio, tra i Le-
pri. Talora poi questa sorte di mostruosità riscon-
trasi anche ereditaria, come ne fanno prova le in-
tiere famiglie di Sexdigitarii fra gli uomini, e come
scorgesi anche ne’ polli aventi talora cinque ed
anche sei dita.
Annotazione. Ci piace di far qui riflettere come la
marcata rassomiglianza, che si riscontra fra tante mo-
struosità, dimostri che anche le stesse deviazioni di que-
sto conato generativo seguono pur sempre certe de-
terminate leggi; tanto più che non riesce poi così facile
il conciliare il principio de’ settatori della evoluzione,
i quali pretendono che i germi di tali Mostri fossero
del pari, appunto come Mostri, preesistenti o prefor-
mati tal quali fino dalla prima Creazione, col fatto posi-
tivo e notorio che gli animali da noi addimesticati,
non altrimenti che le piante da noi ne’ nostri orti o
[Seite 38] giardini coltivate, sono molto più soggetti a così fatte
difformità, di quello che non sogliano esserlo finché vi-
vono o vegetano abbandonati a sè medesimi in istato di
piena libertà. Ella è cosa di fatto che, per esempio, tra
i porci domestici i Mostri sono comunissimi, mentre si
può dire che non se n’incontri quasi nemmeno uno fra
i porci selvatici, i cinghiali ec.
Ermafroditi o Androgini, in stretto senso, diconsi
quegli individui organizzati, ne’ quali quelle parti
o quegli organi sessuali che sono destinati a distin-
guere i maschi dalle femmine di una specie mede-
sima, trovansi più o meno manifestamente riuniti
in un modo contrario affatto al metodo dalla Na-
tura in generale osservato. Riscontransi talvolta
esempi di così fatti ermafroditi veri anche fra gli
animali a sangue caldo, e specialmente nel be-
stiame cornuto e in quello da lana, come tra’ bo-
vini, tralle capre e tralle pecore, ma non se
n’ebbe in fino ad ora esempio mai in individui
umani.
Questo ci sembra il luogo di far cenno d’una
speciale deviazione del conato generativo, che non
di rado succede, per esempio, quando certe fun-
zioni corporali o certi caratteri, proprii esclusiva-
mente di un sesso, si manifestano anche in indivi-
dui appartenenti all’ altro sesso. Così avviene che
le cervette e le caprette hanno talvolta la testa
[Seite 39] fornita di palchi o di corna come i rispettivi ma-
schi; così accade eziandio che qualche pavona, o
qualche fagiana, assumano coll’ innoltrarsi nell’ età
penne simili a quelle delle quali sogliono per l’or-
dinario far pompa esclusiva i rispettivi loro ma-
schi, e così ancora si danno uomini, ed anche altri
poppanti o mammali maschi, che fanno per le
mammelle loro il latte come le loro femmine, e
così via discorrendo1.
Talvolta finalmente gli individui di un sesso
determinato quantunque a bastanza ben fatti, e
conformati e costituiti d’altronde a dovere, pure
in tutte le loro proporzioni di figura e di forme
manifestano più o meno l’abito totale che spet-
terebbe agl’ individui dell’ altro sesso. Così accade
che alcuni uomini dimostrino quasi le forme stes-
se, quella stessa morbidezza o delicatezza di parti
esteriori relative all’ abito totale del corpo, che son
proprie delle femmine, e così si danno per lo con-
trario le così dette Virago, e simili2.
Un individuo femmina di una data specie, ve-
nendo fecondato da un individuo maschio di spe-
cie diversa, suol produrre i così detti Bastardi, o
vogliam dire Muli, la conformazione de’ quali par-
tecipa di quella d’amendue i loro parenti1.
Ma siccome l’esercizio delle proprie funzioni
ne’ corpi organizzati, e segnatamente negli animali,
(esercizio che ben si scorge di quanta importanza
sia per l’andamento progressivo della Creazione),
dipende al tutto dalla data loro speciale confor-
mazione, così la Natura dovette saggiamente a tale
[Seite 41] determinata conformazione provvedere con due
apposite leggi, la prima delle quali si è che assai
di rado succeda il caso che individui di specie di-
verse si frammischino o s’accoppiino l’uno col-
l’ altro; ed effettivamente si può con certezza as-
severare che, almeno parlando d’animali a sangue
rosso e caldo, quando sieno lasciati in istato di
libertà e abbandonati a sè medesimi, mai non si
è dato esempio che s’accoppiino insieme individui
appartenenti a due specie tra loro essenzialmente
diverse. La seconda di quelle leggi poi consiste in
ciò che, parlando in generale, i bastardi o i muli
(individui ibridi) riescano sterili, o almeno ben di
rado siano in situazione di poter riprodurre la pro-
pria specie, e non è se non una eccezione assai
poco frequente a questa seconda legge, il caso
rarissimo che i muli o i bastardi risultanti dall’ ac-
coppiamento de’ Fanelli (Linottes de’ Francesi –
Fringilla cannalina) co’ Calderugi (Sérins dei
Francesi – Fringilla carduelis) riescano fecondi.
È però molto più facile l’ottener che le piante spe-
cificamente diverse producano individui ibridi, o
bastardi, suscettibili d’essere fecondati ulterior-
mente; ma quanto a’ pretesi bastardi o muli pro-
vegnenti dall’ accoppiamento delle vacche co’ ca-
valli o cogli asini, de’ conigli colle galline, od
anche degli uomini col bestiame domestico e con
differenti altri animali, noi crediamo di potere
[Seite 42] asseverantemente e senza tema d’errore giudicare
ch’ essi non hanno oggimai più bisogno d’essere
formalmente rifutati1.
Annotazione. Appunto sulla preesposta notoria e co-
stante osservazione che in istato di piena libertà tali
qui enumerate creature, o individui animali, non so-
gliono accoppiarsi mai se non con individui, bensì di-
versi di sesso, ma sempre della medesima specie loro,
consiste naturalissimamente il perchè abbiasi da tra-
[Seite 43] durre in lingua tedesca per Gattung e non altrimenti,
il vocabolo latino Species, del che, coll’ aggiunta di molte
altre cose più, parlossi a bastanza diffusamente nella
prefazione.
Diconsi finalmente Razze e Varietà (Varietates)
quelle tali deviazioni, che una continuata e quasi
insensibile degenerazione venga col tratto succes-
sivo ad aver cagionato nella specifica conforma-
zione originaria degli individui spettanti ad una
qualunque determinata specie particolare di corpi
organizzati.
Il vocabolo razza però in senso strettissimo
porta seco l’idea d’una nota caratteristica, occasio-
nata dalla successiva degenerazione, e che diviene
indispensabilmente ereditaria mediante la propaga-
zione, come per cagion d’esempio succede quando
gli uomini bianchi, accoppiandosi con donne ne-
gre, o viceversa le donne bianche con uomini ne-
gri, ne emergono figli mulatti (Mulâtres), oppure
quando emergono i meticci (Metis) dall’ accoppia-
mento d’uomini bianchi con donne indiane occi-
dentali, americane, o viceversa. Ma questo carattere
di eredità non è del pari una conseguenza neces-
saria per rispetto alle semplici varietà; lo che scor-
gesi, per esempio, quando talora si veggono proce-
der figli aventi occhi neri dall’ accoppiamento di
[Seite 44] padre biondo dagli ocelli azzurri, con donne brune
dagli occhi castani, e viceversa1.
Annotazione. Occorre qui di osservare che, quando
certi caratteri derivanti da degenerazione si sono pro-
pagati per una lunga serie di generazioni, spesse volte
diventa molto difficile il determinare se que’ corpi me-
desimi, così degenerati, appartengano semplicemente alla
razza d’onde provengono, oppure se costituiscano spe-
cie originariamente differenti, e che, per decidere in
tal caso la questione, non vi sono altre regole appli-
cabili fuorchè quelle che sono tratte dall’ analogia, giac-
chè quelle che Ray e Buffon hanno suggerito per gui-
darci a determinare il carattere delle specie, desumen-
dolo dalla facoltà che tali corpi debbono avere di ge-
nerar prole feconda, sono ben tutt’ altro che sicure,
infallibili e sufficienti.
E realmente, non contando che queste regole mede-
sime non sono applicabili ad un gran numero di ani-
mali e di vegetabili, che possono riprodursi senza ne-
cessità che vi concorra la copula o l’accoppiamento,
vi sono ancora molti altri casi ne’ quali alcune insor-
montabili difficoltà impediscono di farne l’applicazione.
Chi sarà mai, per esempio, che voglia decidere se gli
[Seite 45] Elefanti dell’ Asia e quelli dell’ Affrica propriamente
appartengano alla medesima specie? E anche quando
siamo dall’ esperienza istrutti, come sull’ accoppiamento
del Cavallo coll’ Asina, o viceversa dell’ Asino colla Ca-
valla, vorremo noi risguardar come regola generale il
risultato più comune, oppur quello che offresi di gran
lunga più di rado? I Muli per l’ordinario sono ste-
rili, ed è rarissimo che siansi trovati capaci di ripro-
dursi, e se volessimo assumere come regola generale
quest’ ultimo caso, del quale appena si ha o si crede
d’aver qualche rarissimo esempio, bisognerebbe che
cominciassimo dal considerar il Cavallo e l’Asino come
individui, o tutt’ al più come varietà, di una specie
medesima, mentre che, e per tutta la conformazione
de’ corpi loro, e particolare poi per l’interna struttura,
e per la costruzione differentissima de’ loro organi della
voce, essi differiscono specificamente l’uno dall’ altro,
niente meno di quello che il Leone differisca dal Gatto;
ma riferendoci all’ analogia, ci vediamo obbligati a con-
siderarli come due specie differenti, ed è appunto in
conseguenza di questo principio d’analogia che siamo
tratti del pari a considerar gli Elefanti dell’ Asia e quelli
dell’ Affrica come appartenenti a due diverse specie,
poichè i loro denti molari ci dimostrano una differenza
marcatissima ed evidente, che non è possibile di con-
siderar come un semplice effetto di degenerazione.
Fra le varie e moltiplici cause di una così fatta
degenerazione, sono principalmente da annoverarsi
[Seite 46] l’influenza del clima, e quella de’ diversi alimenti,
o comunque, della speciale indole di materie as-
sunte a motivo di nutrizione, alle quali, in ri-
guardo degli uomini e degli animali, è poi anche
da aggiugnersi l’altra derivante dal vario loro te-
nor di vita.
Un clima freddo, per esempio, debbe remorare
ed arrestar l’incremento o la crescita de’ corpi
organizzati, ed è perciò che i Groenlandesi, i Lap-
poni e simili, come anche i loro animali e le piante
loro, riescono generalmente raggruppati e di pic-
cola statura. Questo medesimo clima poi suole per
l’ordinario impartire, tanto agli uomini, quanto ai
vegetabili, su i quali influisce, un colore inclinante
al bianco, e quindi deriva che per lo più gli abi-
tanti del Nord hanno la pelle, e come dicesi, la
carnagione bianca, e quindi è ancora, che osser-
vansi molti animali a sangue caldo, indigeni dei
paesi più freddi, avere per anomalia il pelo e le
piume o le penne d’un mirabile e bellissimo co-
lor bianco, e così pure che le moltissime piante di
que’ paesi medesimi producono del pari per ano-
malia fiori bianchissimi. I così detti Creoli (les
Créoles) al contrario, vale a dire, gli uomini bian-
chi nati nell’ Indie orientali o nell’ Indie occiden-
tali da parenti Europei, portano il più delle volte
impresso nelle loro forme, non meno che nel co-
lore della loro carnagione, il carattere manifesto,
[Seite 47] o l’impronta marcatissima della meridionale pa-
tria loro.
Non occorre già qui occuparci di proposito in
grandi sminuzzamenti a riguardo dell’ altre cause
di degenerazione che abbiamo poc’ anzi enume-
rato. I nostri animali domestici1, le nostre grana-
glie o le nostre biade, le nostre frutta, le nostre
piante oleracee o di cucina, e in fine la specie no-
stra medesima, ci dimostrano a bastanza fino a
qual punto la differenza del vitto o del tenor di
vita, e la differenza di cultura e di nutrimento pos-
sano a poco a poco ed insensibilmente alterare la
conformazione, il colorito e la intiera costituzio-
ne individuale de’ corpi organizzati.
Le variate circostanze possono però in moltis-
simi casi modificare tutte queste differenti cause
di degenerazione. Desse unisconsi bene spesso e
si combinano, ajutandosi reciprocamente, a ren-
dere tale degenerazione più rapida e più forte, e
talvolta succede anzi ch’ esse si compensino a vi-
cenda l’una coll’ altra, in modo che la degenera-
zione ne viene ritardata. Quindi risulta che non
convien mai precipitare il nostro giudizio, ove
trattisi di fare applicazione delle cause di dege-
nerazione, o delle circostanze che possono indurvi
variazione, a’ casi particolari.
Annotazione I.a Sarà qui opportuno osservare che an-
che sotto la Linea Equinoziale vi sono paesi estremamente
freddi, come accade, per cagion d’esempio, nell’ isola Su-
matra e anche in altri luoghi, mentre d’altra parte
la estrema Siberia in qualche sua località produce buon
numero di piante proprie de’ paesi caldi, le quali non
possono vegetare, nè molto meno riprodursi, in alcune
regioni d’Europa che di quella sono assai più meri-
dionali.
II.a Sta bene eziandio il notare come l’effetto in-
dividuale ch’ esercitano alcuni climi sopra i corpi or-
ganizzati, e soprattutto su quelli che appartengono al
regno animale, è veramente strano, mirabile e degno
di speciale considerazione. Così accade per esempio, che
nella Siria i Gatti, i Conigli e le Capre hanno il pelo
lunghissimo e candidissimo, che nell’ isola di Corsica
i Cani ed i Cavalli riescono bene spesso di mantello
tigrato, o riescono macchiati in un modo particolare
e proprio quasi unicamente di quel paese, e che nella
Guinea gli Uomini, i Cani ed i Polli diventano coll’ an-
dar del tempo tutti negri, come il sono gli Uomini
nativi di quel suolo.
La nutrizione de’ corpi organizzati si effettua
in differenti maniere. Le piante per esempio, as-
sorbono quel nutrimento che più loro conviene,
per la via delle radici che trovansi situate alla
parte infima del loro fusto; mentre per lo contra-
rio, gli animali hanno, al dir di Boerhaave, le loro
[Seite 49] radici nell’ interno del loro corpo, vale a dire
nello stomaco e nelle intestina, nell’ interna su-
perficie de’ quali organi effettivamente esistono
infiniti tenuissimi vasellini assorbenti, destinati
a succhiare la porzione fluida più nutritiva de’ cibi
introdottivi, a un dipresso in quella guisa mede-
sima che fanno le radici de’ vegetabili, e la tra-
sportano poi, per mezzo del torrente della circo-
lazione, alle diverse parti del corpo che hanno
soggiaciuto a qualche perdita, affinchè abbia que-
sta ad essere opportunamente risarcita e com-
pensata.
La trascelta e succhiata porzione nutritiva degli
alimenti viene poscia assimilata alla sostanza me-
desima di tali corpi organizzati animali, mediante
un particolare processo ch’ è forse uno de’ più mi-
rabili che occorra di osservare nella loro econo-
mia; il superfluo in alcuno di essi si dissipa per
evaporazione, e in quegli animali che non usano
cibi così semplici, come quelli che servono alla
nutrizione delle piante, il superfluo della loro nu-
trizione viene poi evacuato per le vie convenienti
ed appositamente dalla Natura fornite.
L’incremento o la crescita de’ corpi organizzati
è l’effetto ordinario o la conseguenza della loro
nutrizione. La maggior parte di essi giugne assai
[Seite 50] presto, e sempre più o meno in un periodo pre-
stabilito in ogni singola specie, a quell’ estremo
massimo incremento di cui sono capaci, ma pure
vi sono alcuni alberi, come a dire il così detto
Pino dell’ isola Norfolk (Columnia pinifolia –
Araucaria excelsa), il Cavolo palma (Areca ole-
racea), il Baobab (Adansonia digitata) e simili;
vi sono alcune altre piante, come a dire il Rotang
(Calamus rotang), e vi sono perfino alcune specie
di animali, come a dire molte Tenie (Taenia),
Coccodrilli (Lacerta crocodilus) e i grandi Ser-
penti acquatici, de’ quali non ci è lecito determi-
nare se, e a quale età, cessino rispettivamente di
crescere, e quale sia l’estremo limite di grandezza
e di lunghezza a cui pervengono abitualmente.
A questa medesima proprietà di crescere, che
posseggono i corpi organizzati, appartiene eziandio
la forza di riproduzione, ossia la facoltà che hanno,
qual più qual meno, di poter riprodurre alcune
loro parti, ossia quella proprietà veramente sin-
golare e maravigliosa, in grazia della quale le
parti del loro corpo mutilate, od anche intiera-
mente perdute, vengono riparate o risarcite, e ri-
tornano o si riproducono naturalmente di per sè
stesse, e senza il soccorso d’alcun umano artificio.
Costituisce questa così fatta forza o proprietà,
[Seite 51] uno de’ maggiori benefizii che la Natura abbia
conceduto ad una tale classe di corpi, percioc-
chè essa preserva dalla morte e conserva gli
animali, non meno che i vegetabili, in mille dif-
ficili circostanze, nelle quali per caso avvenga
che i loro corpi siano feriti o mutilati; e quindi
è che questa facoltà stessa, non altrimenti che
la nutrizione, viene riputata come uno de’ più
preziosi caratteri, in grazia de’ quali i corpi orga-
nizzati, usciti in certo tal qual modo dalle mani
stesse del Creatore, sono molto più stimati ed ap-
prezzati, di quello che nol siano quegli automi che
i più esperti meccanici abbiano saputo costruire,
i quali mai non posseggono la facoltà di compar-
tire alle opere loro la forza di risarcire le loro,
molle o i loro ordigni, e di ristabilire le loro
ruote quando sono mancanti, sfalsate, rotte o
consumate; mentre per lo contrario l’Artefice
Eterno ha saputo benissimo compartire una tale
proprietà, in qual più in qual meno, agli animali
e alle piante.
Molti fra i corpi organizzati perdono ad una
certa epoca determinata e prefissa alcune parti del
corpo loro, le quali rinascono poi, si riformano o
si riproducono dopo qualche tempo; i Cervi, per
esempio, depongono i loro palchi o le loro corna
ramose, gli Uccelli perdono le piume, i Serpenti e
i Bruchi perdono la pelle, i Granchii perdono la
[Seite 52] loro armatura, le piante abbandonano le loro fo-
glie, e così via discorrendo, e queste perdite si
riparano poi entro un determinato periodo di
tempo. Potrebbesi non senza buon fondamento
contraddistinguere una proprietà di tal fatta col
nome di forza di riproduzione comune o meto-
dica, riserbando quello adattatissimo di riprodu-
zione straordinaria o non metodica per indicar
l’altra di cui qui intendiamo precisamente di ra-
gionare, e che deriva da quella facoltà, in grazia
della quale le ferite de’ corpi organizzati, e soprat-
tutto quelle che sono fatte agli animali, si cica-
trizzano, si saldano e guariscono, le fratture si
rimettono e si rassodano, e talvolta anche le parti
perdute o mutilate si riproducono di bel nuovo.
L’uomo e gli animali che hanno seco lui qualche
analogia, non posseggono se non limitatissima una
così fatta forza di riproduzione straordinaria; ma
la Natura ha voluto concederne una veramente
singolare e maravigliosa a parecchi animali a san-
gue freddo, e segnatamente alle Salamandre acqua-
tiche, a’ Granchii, alle Lumache, a’ Lombrici o
Vermi della terra, agli Anemoni di mare (Actinia),
alle così dette Stelle di mare (Asterias), ed a’ Po-
lipi muniti di braccia (Hydra).
Annotazione. Riferirò in proposito, che anni sono
aveva io estirpato ad una Salamandra acquatica della
specie maggiore (Lacerta lacustris), che pure tutta-
[Seite 53] via conservo presso di me nello spirito di vino, quasi
intieramente un occhio, facendone uscir fuori tutti gli
umori, e tagliandone via netto, pe’ quattro quinti, le
vuotate membrane; eppure in meno di dieci mesi un
nuovo bulbo perfetto e fornito di nuova cornea, di
nuova pupilla, di nuova lente cristallina ec. ec., ne
fu riprodotto, di modo che altra differenza più non ri-
conosceasi tra l’occhio recentemente riprodotto e l’al-
tro sano ed intatto, fuorchè il nuovo non era ancora
a quell’ epoca pervenuto se non a metà circa della gran-
dezza dell’ antico. (Veggasi a pag. 47 dell’ opera Göt-
ting. gel. Anz. pel 1785).
Quando i corpi organizzati sono una volta per-
venuti allo stato di loro perfetta maturità mercè
della nutrizione, e dell’ incremento che ne deriva,
acquistano allora la facoltà di generare individui
simili a loro, ossia di riprodurre la propria specie
(§. 5), e questa loro facoltà può in essi esercitarsi
in maniere molto diverse, da che, parlando in ge-
nerale, talora ogni singolo individuo è abile di per
sè solo a generare individui simili a lui, mentre
in altri casi, per ottenere l’effetto della riprodu-
zione della specie, riesce indispensabile l’accop-
piamento o il concorso di due individui di quella
specie medesima, ma di sesso diverso. Tutte le
differenze particolari che occorrono osservabili, o
che esistono in questi due modi principali di pro-
[Seite 54] pagazione della specie, possono in ultima analisi
ridursi e comprendersi ne’ quattro seguenti capi:
1.° Un individuo isolato può riprodursi o
propagare la propria specie in una maniera sem-
plicissima, e senza il bisogno che preceda alcuna
fecondazione, tanto col mezzo della propria di-
visione in parti, come succede di parecchi anima-
letti infusorii1 e de’ polipi a mazzetti (Hydra Bra-
chionus)2, quanto eziandio a quell’ altro modo che
scorgesi nella Conferva de’ fonti (Conferva fontina-
lis), nella quale l’antica pianticina filamentosa, ad
alcuna delle sue estremità si gonfia in un botton-
cino, in un globetto o in una specie di gemma
sferoidale, che poscia cadendone si trasforma a
poco a poco in altro di que’ filamenti, ond’ era
originariamente costituita la pianta madre, e onde
essa gemma è nata.
2.° Ogni singolo individuo può pure ripro-
dursi o propagare la specie sua in un’ altra ma-
niera quando, vero Ermafrodito, portando sul
proprio corpo ambedue gli organi sessuali di ma-
schio e di femmina, può adoperarsi efficacemente
alla generazione, facendola precedere dall’ atto es-
senziale della fecondazione, che tutto compiesi nel
[Seite 55] proprio corpo, se è un animale, mercè dello spar-
gimento del seme maschile sulle uova femminine,
e se è un vegetabile, mediante che sia preceduta
l’irrorazione de’ granellini o delle future sementi
femminine col polline o col pulviscolo maschile;
e appunto di tale maniera sogliono propagarsi per
la maggior parte i vegetabili, come fra gli animali
a quanto pare, i molluschi di molti nicchii o di
molte conchiglie.
3.° Talora succede che i due sessi trovinsi,
come si disse nell’ articolo precedente, riuniti in un
individuo medesimo, di modo che effettivamen-
te ogni singolo individuo è un vero Androgino
o Ermafrodito, ma niuno di quegli individui è
poi capace di fecondarsi da per sè solo, e sem-
pre occorre che due individui concorrano insieme
per fecondarsi e rimanerne reciprocamente fe-
condati l’uno dall’ altro. Questa singolare organiz-
zazione o naturale disposizione, se così piace me-
glio chiamarla, non riscontrasi però se non molto
di rado, e anzi soltanto in alcune pochissime spe-
cie animali, come sarebbe a dire, nei così detti
Lombrici, o Vermi di terra, (Lumbricus terrester),
in molti Lumaconi (Limax), e in alcune Lumache
terrestri (Helix), con pochissimi altri esempii.
4.° Finalmente altre volte i due organi ses-
suali, maschile e femminino, esistono distinti ca-
dauno esclusivamente sopra un individuo diffe-
[Seite 56] rente, di modo che uno di questi individui,
essendo fornito d’ovaja e delle rimanenti parti
proprie del sesso femminino, e l’altro posse-
dendo gli organi maschili ed essendo provveduto
di seme o di sperma fecondatore, quando con-
giungonsi insieme danno opera alle generazione,
che è quanto dire alla riproduzione della specie.
Di tal fatta sono, per cagion d’esempio, tutti gli
animali a sangue caldo e molti eziandio di quelli
che appartengono ad altre classi, e tali sono pure
alcuni vegetabili, come a dire le Palme (Palma),
il Luppulo (Humulus luppulus), e la maggior
parte de’ Musci (Musci).
Parecchi animali spettanti a quest’ ultima se-
zione depongono le uova, nelle quali l’animaletto
non riscontrasi perfetto e intieramente formato
se non dopo che l’uovo sia stato fecondato, e ta-
lora anche covato fuori del corpo della madre, e
gli animali di tal fatta distinguonsi poi colla spe-
ciale denominazione di animali ovipari (Ovipara);
ma molti altri ve n’ ha che conservano l’uovo, o
le uova nella loro matrice, finchè il racchiusovi ani-
maletto sia perfettamente formato e sviluppato, e
come tale possa poi a suo tempo uscire alla luce
del giorno, liberandosi da tutto ciò che nell’ uovo
ritenevalo imprigionato, e questi tali diconsi ani-
mali vivipari (Vivipara).
Annotazione. Quae actu animal pariunt, vivipara di-
[Seite 57] cuntur: quae potentia, ovipara. Harvey. – Che però non
sia da riguardarsi come di grandissima importanza la
qui accennata differenza degli animali in vivipari ed ovi-
pari, il dimostrano manifestamente gli esempii di quei
pidocchi, o piuttosto moscherini (Aphis – Puceron
de’ Francesi), che malamente diceansi un tempo Gor-
goglioni, e de’ Polipi delle tubularie (Tubularia –
Polypes á panache de’ Francesi), che riproduconsi
or come ovipari ed ora come vivipari, a norma della
diversa stagione in cui sbucciano o vengono alla luce,
e il provano ben anche parecchi Serpenti che, quan-
tunque in fatto depongano per l’ordinario le uova, pure
nell’ uova loro appena deposte trovasi l’animaletto con-
tenutovi già bello e formato e perfetto. Volendolo, po-
tremmo eziandio, in certo modo, sotto quest’ ultimo punto
di vista paragonare a tali Serpenti quelle piante nelle
sementi delle quali, quando sono mature, trovasi rae-
chiuso un germe o un embrione di pianticina già verde
come accade, per esempio, di osservare nelle Fave della
Ninfea nelumbo (Nymphaea nelumbo) che sono vol-
garmente conosciute sotto il nome di Fave d’Egitto.
Quando poi i corpi organizzati hanno percorso
la carriera ch’ era stata loro assegnata e prefinita,
ossia quando hanno durato e vissuto per un certo
determinato periodo di tempo, ogni specie di forza
vitale, venendo meno in essi a poco a poco, fini-
sce coll’ abbandonarli del tutto sicch’ essi peri-
scono o muojono. Pochissimi sono però quelli ai
[Seite 58] quali sia dato di pervenire precisamente a quel
termine che la Natura ha fissato per corso rego-
lare della vita loro; mille accidenti, mille circo-
stanze concorrono ad abbreviarne la durata, e li
trascinano a morte prima del tempo stabilito. Co-
sì, per cagion d’esempio, si computa che di mille
uomini, soli settant’ otto all’ incirca muojono di
vecchiaja, e fra gli anfibii i più grandi e i più
terribili, come a dire i Coccodrilli (Lacerta cro-
codilus), il Serpe gigante (Boa constrictor) e al-
tri così fatti, si calcola che non ve n’ abbia nep-
pur uno in mille che giunga alla età e alla gran-
dezza a cui potrebbe naturalmente arrivare, ove a
ciò non ostassero le circostanze e gli accidenti
sovraccennati. I corpi degli animali morti, e dei
vegetabili periti, si dissolvono poscia in progresso
ne’ chimici loro elementi o principii per effetto ap-
punto d’una chimica decomposizione, e distrutta
che siane l’organizzazione, la polvere in cui risol-
vonsi, va a perdersi di bel nuovo nel seno di quella
medesima terra che avea loro per l’addietro for-
nito ad un tempo nutrimento e domicilio.
La conformazione degli animali o la loro strut-
tura, è suscettibile di grandissime modificazioni,
e di quasi diremmo, innumerevoli variazioni. Sem-
bra per altro che tutti questi corpi organizzati, pre-
cisamente detti animali, eccettone soltanto alcuni
pochi tra quelli che denominansi infusorii, ab-
biano comune la proprietà d’essere ciascuno for-
niti di una bocca, per mezzo della quale introdu-
cono essi nell’ interno del proprio corpo loro i ci-
bi o gli alimenti opportuni e necessarii al loro so-
stentamento. Differiscono poi essi essenzialmente
dalle piante o da’ corpi organizzati vegetabili, so-
prattutto in questo che, mentre le piante traggo-
no il nutrimento o il sugo nutritizio appropriato,
dalla speciale natura loro, dall’ aria, dall’ acqua o
dalla terra, gli animali, de’ quali imprendiamo
ora a trattare in generale, traggono per lo con-
trario il loro alimento, che può essere indefini-
tamente vario, da’ due regni medesimi de’ corpi
organizzati, e hanno bisogno che il molesto, e
talvolta anche doloroso senso della fame li sti-
moli, li spinga e li sproni ad assumere, portan-
[Seite 61] dolo alla propria loro bocca mercè d’un movi-
mento volontario, quel cibo che rendesi indispen-
sabile alla loro individuale conservazione.
In quegli animali che sogliono generalmente con-
siderarsi come i più perfetti, e che come tali con-
traddistinguonsi appunto dagli altri colla deno-
minazione di animali perfetti, il sugo nutritizio
estratto dalle materie ingeste in forma di cibo,
e separato dall’ altre porzioni meno utili o affatto
superflue, e poscia ridotto in chilo, viene tosto infuso
nel sangue che circola pe’ vasi loro o per le loro
vene ed arterie, ed è quindi trasportato alle varie
parti del corpo ed in quelle scompartito e diviso,
a norma della diversa struttura e della parti-
colare natura degli organi o di tali fra di loro
differentissime parti componenti il corpo mede-
simo dell’ individuo. Il sangue propriamente detto
ne è sempre di colore più o meno rosso, rubi-
condo o vermiglio, ma è soggetto anch’ esso a gran-
dissime variazioni, soprattutto circa al suo calore,
nelle differenti classi di animali denominati ani-
mali a sangue rosso. In alcuni di essi, come per
esempio negli Anfibii e ne’ Pesci, il grado di calore
del sangue riesce quasi uguale o almeno poco dis-
simile da quello che costituisce la temperatura del
mezzo in cui vivono, vale a dire dell’ acqua natu-
[Seite 62] rale, ed è perciò che furono essi denominati ani-
mali a sangue freddo, ma negli altri animali che
diconsi a sangue caldo, come sono i Mammali o i
Poppanti e gli Uccelli, il sangue trovasi dotato di
un grado di calore, poco su poco giù, corrispon-
dente all’ incirca a cento gradi positivi del termo-
metro di Fahrenheit, a + 32, di quello di Reau-
mur, o a + 40 della moderna scala centigrada. Quel
liquore poi, o ben piuttosto quella linfa, che tien
luogo di sangue negli animali che diconsi a san-
gue bianco, come sono i Vermi, gl’ Insetti e i Mol-
luschi, distinguesi soprattutto dal vero sangue, in
ciò che manca affatto di globetti rossi.
Può pertanto il sangue, siccome accennammo,
essere nelle varie specie di animali o bianco, o ros-
so, o freddo, o caldo; ma, comunque esso sia, debbe
sempre in un animale sano essere, diremo così,
impregnato continuamente di una nuova quantità
di quel principio indispensabile alla conservazione
della vita, che dicesi gas ossigeno e che va mano
mano ricavandosi dall’ aria atmosferica o dal-
l’ acqua, e rendesi necessario che in compenso
il sangue medesimo si liberi, espellendolo a nor-
ma del bisogno, da una corrispondente quantità
di carbonio, onde vassi di continuo caricando, e
che n’esce poi in forma d’acido carbonico gasoso.
[Seite 63] Appartiene specialmente alla nobilissima funzione,
che dicesi respirazione, la esecuzione di questo
ammirabile processo vitale, che dura finchè persi-
ste la vita nel laboratorio animale. Gli animali a
sangue rosso e caldo, come i Mammali, e così pure
gli Anfibii e i Rettili, respirano col mezzo de’ pol-
moni; quelli a sangue rosso e freddo, ed in parti-
colare i Pesci, respirano per le branchie, e gli ani-
mali a sangue bianco respirano per mezzo di dif-
ferenti analoghi organismi adattati al bisogno.
Que’ soli animali che respirano col mezzo dei
polmoni, possono emetter voce, e l’Uomo, oltre al
possedimento di una voce articolata concessagli
dalla Natura, ha eziandio lo special dono della lo-
quela o della favella, ch’ egli medesimo ha saputo
inventare, e a cui si è poscia abituata tutta la
di lui specie.
I muscoli, che negli animali a sangue rosso co-
stituiscono ciò che usiamo propriamente denomi-
narne la carne, sono gli organi che servono imme-
diatamente ad eseguirne i movimenti volontarii.
Havvi però un ristretto numero d’animali, la strut-
tura o la conformazione de’ quali, come accade per
esempio, ne’ Polipi, è d’una semplicità che non po-
[Seite 64] trebbe immaginarsi maggiore, e ne’ quali gli organi
destinati al moto non si possono distinguere dal
rimanente della loro sostanza tutt’ affatto gela-
tinosa.
Ciò non ostante si contano nell’ organismo ani-
male alcuni pochi muscoli, sopra de’ quali non
sembra che la volontà eserciti potere alcuno; il
cuore, per cagion d’esempio, è un muscolo di tal
fatta, e batte e pulsa esso continuamente finchè
dura la vita dell’ animale senza stancarsi mai, e
senza mai cagionar senso di dolore, ad onta che
per ogni intervallo d’un ora si computi che nel-
l’Uomo sano e ben costituito, esso eseguisca da
circa 4500 pulsazioni.
Così l’una come l’altra di così fatte due sorta
di muscoli, vale a dire tanto gl’ involontarii, quan-
to eziandio quelli che sono subordinati all’ im-
pero della volontà, hanno ugualmente bisogno
dalla influenza de’ nervi per poter esercitare, ef-
fettuare e produrre i movimenti loro assegnati.
I nervi qui sopra nominati hanno la loro ori-
gine o dal cervello immediatamente o dalla mi-
[Seite 65] dolla allungata, o finalmente dalla midolla spi-
nale, e sembra dalle osservazioni dimostrato quasi
manifestamente, che la somma delle masse di tali
parti diverse, paragonata con quella de’ nervi
che ne derivano, sia in ragione inversa delle forze
intellettuali dell’ animale1; di modo che fra tutti
quanti gli animali, l’Uomo ch’ è dotato di for-
ze intellettuali maggiori di quelle di qualsivoglia
altro animale, si trova avere anche il cervello
più voluminoso in confronto de’ suoi nervi tenuis-
simi e sottilissimi, mentre gli altri animali for-
niti di minore intelligenza che non è la sua, come
per esempio gli Anfibii del nostro clima, hanno
proporzionatamente nervi grossissimi, e cervello
piccolissimo.
Oltre all’ influenza che i nervi mostrano d’eser-
citare sul movimento de’ muscoli, essi hanno an-
che un’ altra importantissima destinazione, ed è
quella di comunicare all’ anima, per mezzo dei
sensi, le impressioni che vanno mano mano facen-
dosi esternamente sul corpo animale vivente. La
natura degli organi de’ sensi differisce moltissimo
nelle diverse classi d’animali; molti di essi ri-
[Seite 66] cevono, per esempio, senza contraddizione, per la
via de’ sensi alcune determinate impressioni, senza
che ci sia dato di poter scoprire in essi gli or-
gani sensorii, de’ quali gli altri animali hanno un
assoluto bisogno per ricevere così fatte impres-
sioni. Analogamente a ciò scorgesi che le così dette
Mosche della carne (Musca vomitoria), come
pure molti altri Insetti, sentono effettivamente gli
odori, ad onta che noi non possiamo vederne di-
stintamente il naso o l’organo dell’ odorato.
Annotazione. Opportuno stimiamo il riflettere qui
che molti hanno voluto restringere in cinque soli il
numero de’ sensi esterni possibili, mentre ad altri anzi
è piaciuto d’accrescerli oltre ad un tale numero. Va-
nini, per esempio, e seco lui molti altri, risguardano
il senso che accompagna il coito come un sesto sen-
so; Giulio Cesare Scaligero pretese che il solletico sotto
le ascelle ne fosse un settimo; Spallanzani amò di con-
siderar come un senso particolare quel tatto finissimo,
in grazia del quale le Nottole volando allo scuro, od
anche espressamente accecate, non urtano mai nei fili
perpendicolari che a bella posta siansi tesi nel loro cam-
mino, e finalmente Darwin qualificò come due sensi
particolari, quello del caldo e quello del freddo.
I nervi ed i muscoli sono soggetti, generalmente
parlando, a stancarsi per la continuazione sover-
chia dell’ esercizio o della loro attività, e quindi
[Seite 67] è, che per risarcirsi o per riparare le perdute forze,
abbisognano di tanto in tanto d’un conveniente
riposo, al che si provvede col sonno. L’uomo, e
seco lui la maggior parte degli animali frugivori,
dormono per l’ordinario durante la notte, ma
molti animali di rapina, il maggior numero dei
Pesci, molti Insetti, ed alcuni Vermi e Molluschi,
usano invece di ritirarsi durante il giorno, va-
cando poi alle differenti loro operazioni in tempo
di notte; ed è appunto perciò che questi ultimi
sogliono denominarsi abitualmente animali not-
turni.
Oltre a questo sonno quotidiano e metodico di
riposo o di ristoro, molti animali vi sono che dor-
mono profondamente durante una gran parte del-
l’ anno, e precisamente ne’ mesi più crudi della sta-
gione invernale, quando cioè non riuscirebbe loro
fattibile di provvedersi il cibo conveniente al pro-
prio loro nutrimento: (ergo in hiemes aliis provi-
sum pabulum, aliis pro cibo somnus, disse con
ragione a questo proposito Plinio). Questi tali
animali si nascondono, quando si fa imminente
l’inverno, in luoghi appartati, sicuri da ogni in-
sidia e poco frequentati dagli uomini, e quando
comincia il freddo, intirizziscono e si addormen-
tano in istato letargico o in un tal quale sopore,
[Seite 68] dal quale più non risorgon poi se non ne’ primi
caldi della successiva primavera; e questo loro so-
pore è così forte che, durante il loro jemale letargo,
essi, benchè siano animali a sangue caldo, con-
servano appena un grado sensibile di calore (Vedi
sopra al §. 23). Anzi le cristalidi di moltissimi In-
setti divengono allora tanto dure e gelate che,
gettandole a terra, vi producono un romore si-
mile affatto a quello che vi cagionerebbe un pezzo
di vetro o un pezzo di ghiaccio, senza che ciò
nuoca menomamente all’ animaletto che vi sta den-
tro assopito.
Non v’ è però tampoco un solo volatile, per
quanto sta a nostra cognizione, che vada soggetto
ad un così fatto sonno d’inverno; ma invece
quasi tutti, o almeno moltissimi degli Anfibii, dor-
mono e diventano letargici durante tutta la fredda
stagione.
Fra le facoltà dell’ anima ve n’hanno parecchie
che la più parte de’ rimanenti animali possiede in
comune cogli uomini, e di tal fatta sono, per cagion
d’esempio, la attitudine a percepire, e l’attenzione
o la potenza d’attendere a quanto va loro mano
mano succedendo; e sono anche in gran numero
gli animali che posseggono manifestamente quel-
l’ altre due facoltà dell’ anima, che denominiamo
[Seite 69] sensi interni, vale a dire la memoria, e la forza
immaginativa o la fantasia.
Alcune facoltà dell’ anima sono però proprie
esclusivamente degli animali, non rimanendone
più oggimai se non debolissime tracce nell’ Uomo.
Queste tali facoltà comprendonsi tutte nelle espres-
sioni di Istinto, o di naturale impulso, che si può
effettivamente riguardare come quasi del tutto
abolito nell’ Uomo, al quale venne, in ampio com-
penso di tale perdita, accordato dalla Providenza
l’esclusivo possedimento della ragione1.
Sotto l’espressione d’Istinto1 è per tanto da
intendersi quella facoltà, di cui godono gli animali
[Seite 71] in generale di potersi sottomettere in forza d’una
interna, innata, involontaria tendenza, spinta, od
impulsione, di per sè e senza il bisogno che sia
preceduta alcuna loro particolare istruzione, a
certe determinate azioni, maneggi, od operazioni
[Seite 72] conformi ad uno scopo prefisso, e tendenti o alla
propria loro individuale conservazione, o alla con-
servazione della specie loro.
Osservazioni senza numero concorrono a dimo-
strarci che gli animali eseguiscono queste impor-
tanti loro operazioni affatto macchinalmente, c
senza che vi abbia parte alcuna precedente rifles-
sione. Così, per cagion d’esempio, succede che il
Criceto o l’Hamster (Marmota cricetus) usa di
romper l’ali agli uccelli morti, prima di mangiarse-
li, e così avviene eziandio che gli uccelli di passata
o di passaggio, comunque tenuti appartati ed al-
levati soli in una stanza, pure venendo l’autunno
sentono il bisogno di migrare ad altre parti, e a
malgrado di tutta la briga che possiam prenderci
che nulla di necessario abbia loro a mancare,
pure si mostrano dessi inquietissimi, agitandosi
continuamente nella loro gabbia o nella loro pri-
gione.
Tra le diverse sorta d’Istinto o d’impulso na-
turale, che gli animali in certe determinate circo-
stanze risentono, la più rimarchevole di tutte è
senza dubbio quella che potrebbesi a buon drit-
to contraddistinguere col nome d’Istinto indu-
strioso o tecnico, o d’Istinto d’industria, ed è
propriamente quella, in grazia della quale moltis-
[Seite 73] simi animali a sangue caldo, e la maggior parte
degl’ Insetti, senza che sia precorsa alcuna istru-
zione relativa, e senz’ alcun esercizio preparato-
rio, sanno con mirabile artificio costruirsi le abi-
tazioni, che meglio loro rispettivamente conven-
gono per soggiornarvi, fabbricarsi i nidi per col-
locarvi in sicurezza la prole loro, formarsi tessuti,
tele e reti, colle quali accalappiare e stringere e
legare le loro prede, ed intraprendere, conducen-
dole a termine, buon numero d’altre opere singo-
lari e di lavori bene spesso anche artificiosissimi.
Nascitur ars ista, non discitur, disse aggiustata-
mente Seneca in analogo proposito; e qui notisi
che per esempio, i bruchi da noi detti volgarmente
Cavalieri o Vermi da seta (Phalaena mori – Bombyx
mori), non possono in conto alcuno supporsi mai
esercitati a far, come suol dirsi, la galetta, o più
precisamente parlando, a formarsi il bozzolo d’un
filo continuo di sottilissima seta, nel quale cia-
scuno di essi si rinserra, perciocchè di tale loro
artificio non è ad essi dato di poter far uso se non
una sola volta durante tutta la vita loro; così che
il primo loro saggio in tale industria è destinato
ad essere nel tempo stesso il loro capo d’opera.
L’Uomo poi, siccome già avvertimmo testè, di-
mostra di non conservare se non pochissime tracce
[Seite 74] di quell’ Istinto, di cui è probabile che, come gli
altri animali, sarà egli pure stato dalla Natura ori-
ginariamente fornito, se ne eccettuiamo soltanto
quel naturale impulso, che porta e spinge l’uno
de’ due sessi verso l’altro, e che sembra decisa-
mente provenire anch’ esso dall’ Istinto. L’Istinto
tecnico gli manca certamente del tutto; ma di tale
apparente mancanza debbe egli tenersi ben larga-
mente, e anzi con grande usura, compensato mercè
dell’ uso ch’ ei può fare della ragione accordatagli
esclusivamente.
Questa ragione, di cui può l’Uomo a suo pro-
fitto disporre, può riguardarsi o come una facoltà
insita e propria esclusivamente dell’ anima umana,
o come un grado elevatissimo di una tal quale fa-
coltà, di cui anche alcuni altri animali possono
tal volta dare alcun lieve segno o qualche debo-
lissimo indicio1, o finalmente come l’effetto di
una particolare direzione di tutte quante le forze
proprie dell’ anima umana. Comunque siasi però,
è sempre fuor di dubbio che una tale facoltà è
all’ Uomo produttrice di sommi e non equivoci
vantaggi sopra tutto il restante del regno animale,
su cui, mercè appunto della ragione, viene egli
a poter esercitare un quasi assoluto dominio.
E per verità, essendo l’uomo dalla Natura de-
[Seite 75] stinato ad abitare qualunque delle regioni del
Globo terracqueo, e dovendo egli nutrirsi di qua-
lunque delle produzioni che i due intieri regni or-
ganizzati possono somministrargli, era necessario
ch’ ei fosse provveduto di qualche facoltà superiore
al semplice e sempre uniforme Istinto tecnico, onde
sono dotati gli altri animali. Che se egli non fosse
stato fornito se non soltanto d’un così fatto Istinto,
chiaramente si scorge che egli non sarebbe asso-
lutamente stato in caso di soddisfare a que’ molti
e svariatissimi bisogni, a’ quali lo sottopone la som-
ma differenza de’ climi, sotto a’ quali ei deve poter
soggiornare, e de’ cibi che lo special luogo di sua
dimora può offerirgli in pronto. Ed è appunto e
precisamente all’ uso della ragione, ch’ egli va de-
bitore della potestà di uniformarsi, per così dire,
e di adattarsi alle varie circostanze, nelle quali è
possibile ch’ egli abbia a trovarsi, e di moltiplicare
e modificare i ripieghi e i mezzi di soddisfazione
de’ proprii bisogni, a misura che questi bisogni me-
desimi si vanno cangiando.
Ciò che può servire a dimostrar quanto questo
solo vantaggio della concessagli ragione, valga a
innalzar l’Uomo al di sopra di tutta la Creazione
animale, si è, più che qualunque altra cosa, ap-
punto quella specie d’impero illimitato e quasi
[Seite 76] assoluto che, come poco sopra accennammo, egli
è in situazione d’esercitare, ed esercita in fatto, so-
pra tutti quanti gli altri animali anche molto più
grandi e più forti di lui. Nè per verità può negarsi
che non sia in pieno arbitrio di lui il dirigere per
fino a piacer suo, e il rivolgere a proprio beneficio
l’Istinto medesimo degli animali, il loro modo di
vivere, la loro economia, e in somma tutte quante
le disposizioni naturali di tutte le creature che gli
stanno dintorno, e ch’ egli non sia felicemente riu-
scito ad ammansare e ad addimesticare gli animali
i più feroci e più formidabili, a domare le più vio-
lente loro passioni, ad allevarli e ad educarli come
meglio gli piacque, obbligandoli benanche talvolta
ad eseguire movimenti mirabili di forza, d’agilità
e di destrezza.
Annotazione. Basterà a pienamente convincerci in ge-
nerale della vera padronanza, che l’Uomo colto e ci-
vilizzato esercita in realtà sovra tutto il resto della Crea-
zione, il ridurci soltanto alla memoria quali immense
alterazioni e quali sorprendenti cambiamenti abbia egli
cagionato, tanto nell’ antico, quanto nel nuovo Continente,
quanti animali e quante piante abbia egli dall’ uno al-
l’ altro trasportato; e ciò facendo, vedremo com’ egli
abbia fornito agli abitatori del Nuovo Mondo il riso,
il caffè, i cavalli, il nostro bestiame domestico, gli
animali utili all’ agricoltura e simili, e come abbiane
egli riportato a noi in ricambio i carciofi, le patate,
i polli d’india, il tabacco ed altri generi moltissimi
[Seite 77] appartenenti a’ due regni organizzati, naturalizzando i
primi nell’ America, e i secondi in questo nostro an-
tico Continente.
Gli animali domestici poi bastano soli a dimo-
strare, nel modo più evidente, questo impero che
la ragione ha procurato all’Uomo sopra tutte le
altre creature. Noi però intendiamo qui di rac-
chiudere sotto l’espressione di animali domestici,
presa nel più stretto senso possibile, quegli ani-
mali a sangue caldo, che l’Uomo ha saputo privare
della natìa libertà, sottomettendosegli allo scopo
che abbiano dessi a servire alla più facile soddi-
sfazione de’ suoi proprii bisogni, o in una parola
perchè servano in ogni possibile modo a’ suoi par-
ticolari disegni. Ma non v’ ha chi non vegga che
in un senso più lato ci sarebbe permesso di ab-
bracciar del pari, in quella espressione medesima
di animali domestici, anche le Api, i Vermi da
seta e, oltre molti altri ancora, i Cocchi, o vogliam
dirli cocci, o le coccole, ossiano i Gallinsetti che
conosciamo sotto il nome di grana di Kermes, di
Cocciniglia, e simili.
Annotazione I.a Si possono considerare gli animali do-
mestici, de’ quali qui femmo parola, pigliandoli in stret-
to senso, sotto tre differenti punti di vista o sotto tre
diversi aspetti. Ve n’ hanno alcuni de’ quali l’Uomo,
[Seite 78] non contento di sottomettersi i singoli individui, è riu-
scito a sottomettersi le intiere specie, togliendole quasi
del tutto allo stato di natura in cui prima viveano;
così avvenne, per cagion d’esempio, alla specie del Ca-
vallo. Altri ve n’ hanno ch’ egli alleva ed educa real-
mente presso di sè e sotto al proprio tetto, ma dei
quali esiste pur tuttavia la razza originaria in istato sel-
vaggio, e di questo tenore sono i Buoi, i Porci, i
Gatti, i Rangiferi, le due specie di Cammelli pro-
prie dell’ antico Continente, e molti volatili, come i
Polli, e anzi tutta la così detta polleria domestica ec.;
altri finalmente ve ne sono ch’ egli non è pervenuto
a domare ed ammansare se non per singoli individui,
ma che non propagano mai la propria specie quando
sono ridotti allo stato di schiavitù, e di tal tempra
sono per esempio, gli Elefanti, ch’ è forza prender sem-
pre ad un per uno, per poscia addimesticarli e alle-
varli in quella guisa che corrisponder possa all’ uso
che l’Uomo ha destinato di farne.
II.a Resta da osservare ulteriormente che gli ani-
mali domestici variano spesso di colore, e che molti
Mammali o Poppanti, i quali sogliono considerarsi come
appunto animali domestici, si distinguono per la coda
che portano penzoloni, e per le orecchie che portano
basse, sebbene poi tali segni non valgano mai a co-
stituire un carattere deciso e costante di servaggio o
di dimestichezza, come il contrario non è sempre una
prova in tutti di naturale salvatichezza (– A riguardo
degli animali domestici, e di molt’ altre cose analo-
ghe a questo proposito, può con vantaggio consultarsi
l’Almanacco di Gotha per l’anno 1796 –).
I sistemi Zoologici sonosi moltiplicati in gran
numero dopo avvenuta la pubblicazione del si-
stema Linneano1, giusta il quale tutto quanto il
regno animale viene distribuito nelle seguenti sei
classi:
Classe I.a Mammiferi, Mammali o Poppanti (Mam-
malia) = Animali a sangue rosso caldo, vivi-
pari, e allattanti la loro prole per un certo in-
tervallo determinato di tempo.
II.a Uccelli (Aves) = Animali a sangue rosso cal-
do, ovipari, e rivestiti di piuma o di penne.
III.a Anfibii (Amphibia) = Animali a sangue rosso
freddo, respiranti col mezzo de’ polmoni.
IV.a Pesci (Pisces) = Animali a sangue rosso
freddo, respiranti non già co’ polmoni propria-
mente detti, ma bensì col mezzo delle Branchie.
V.a Insetti (Insecta) = Animali a sangue bianco
freddo, forniti di Antenne alla testa, e aventi
gli organi del movimento articolati e cornei.
VI.a Vermi (Vermes) = Animali a sangue bianco
freddo, forniti il più delle volte di Tentaculi o
Palpi, invece d’Antenne, e aventi gli organi del
movimento non mai articolati.
NB. Le ultime due Classi, degli Insetti e de’ Ver-
mi, sono però state recentemente da’ Zoologisti
francesi, e soprattutto dal sig. Barone Cuvier,
assai più analogamente alle leggi della natura
suddivise ed ordinate in alcune altre ripartizioni,
delle quali anderò facendomi carico in progres-
so, ne’ luoghi convenienti.
I Mammali, Mammiferi o Poppanti, hanno co-
mune cogli Uccelli il sangue rosso caldo, ma in-
vece d’esser ovipari come questi ultimi, essi sono
vivipari, ch’ è quanto dire partoriscono prole
viva. Il carattere però potissimo, mercè del quale
i Mammali contraddistinguonsi da qualsivoglia al-
tra maniera di animali, e quello anzi da cui trag-
gon eglino una così fatta loro generale e classica
denominazione, consiste essenzialmente nelle pop-
pe o mammelle, onde ne vanno provvedute le fem-
mine, che se ne valgono poi per porgere il latte
alla loro prole, durante un certo periodo di tempo,
a cominciare dall’ epoca in cui è dessa uscita in
luce. Il numero delle mammelle è soggetto a va-
riare, non altrimenti che la loro posizione, nelle
diverse specie di poppanti o mammiferi. Il più
delle volte accade di riscontrare che la femmina
abbia un numero di poppe doppio del numero di
figli ch’ essa suol partorire, e quanto al loro col-
locamento, esse sono sempre poste o sul petto, o
sul ventre, o fra le gambe di dietro, ch’ è quanto
dire, fra le zampe posteriori1.
Il corpo della massima parte de’ mammiferi, se
pur non di tutti quanti (giacchè persino la Ba-
lena (Balaena Mysticetus) ha qua e là i suoi peli,
segnatamente intorno alle labbra a guisa di baffi,
ed è munita di ciglia intorno agli occhi), è guer-
nito di peli, la densità, la robustezza, la lunghezza
ed il color de’ quali varia moltissimo nelle diverse
specie di tali animali; di modo che, mentre negli
uni que’ peli sono ricciuti e crespi al pari della
lana de’ Montoni, delle Pecore, de’ Cani barboni,
in altri riescono irti, rigidi e duri come le setole
del Porco o del Cinghiale, e in altri ancora sono
sodi, grossi, duri e pungenti, quasi spinosi od acu-
leati, come nell’ Istrice o Porco spino, e nel Porco
[Seite 84] riccio (Erinaceus Europaeus). Hannovi alcuni mam-
miferi, in qualche particolare località del corpo
de’ quali il pelo fassi più lungo che altrove, e vi
forma ora la chioma, ora la zazzera, or la cri-
niera ed ora la barba, e ve n’ hanno altri, ne’ quali,
come accade ne’ Cavalli, ne’ Cani e simili, i peli in
certi luoghi riescono disposti con direzione inver-
sa, sebbene siano d’origine assai vicini gli uni
agli altri, lo che forma poi quelle linee che chia-
mansi ordinariamente suture (Näthe), o cuciture
(Suturae). In certuni di essi, come per cagion d’e-
sempio, ne’ Vitelli marini o nelle Foche (Phoca
vitulina), il colore del pelo cangiasi a seconda del-
l’ età, e ve n’ ha eziandio parecchi, ne’ quali il pelo
fassi a cagione d’un intenso freddo (§. 16), sia
che questo operi sovr’ essi in forza dell’ alta posi-
zione verso il Polo, o sia che provenga dal rigore
del freddo invernale tra di noi, ora affatto grigio,
come osservasi negli Scojattoli (Sciurus volgaris),
che per tal modo ci forniscono il vajo, o il così
detto Petit gris, ed ora affatto bianco argentino o
bianco di neve, come osservasi nell’ Armellino
(Mustela erminea), che ci fornisce la preziosa
pelliccia detta appunto Ermellino, e così via di-
scorrendo. Quando però questo così fatto imbian-
chimento del pelo va congiunto con pupille rosse,
e con occhi impazienti della luce diurna, come ac-
cade ne’ così detti Albinos, i quali pure apparten-
[Seite 85] gono all’ umana specie nostra, e come osservasi
anche talora in altre specie d’animali a sangue
rosso caldo, ciò suol esser sempre l’effetto d’una
debolezza individuale assolutamente morbosa.
La dimora o il luogo di domicilio, assegnato
dalla Natura alle varie specie di mammiferi, varia
anch’ esso moltissimo, veggendosi a bastanza chia-
ramente come i più di essi vivano sopra terra,
mentre altri, e fra questi, per esempio, le Scim-
mie e gli Scojattoli, vivono quasi sempre su gli al-
beri, mentre alcuni altri, come le Talpe, menano
gran parte di loro vita sotterra, mentre altri an-
cora, come i Castori (Castor biber) e gli Orsi ma-
rini (Phoca ursina), vivono or sopra terra or nel-
l’ acqua indistintamente, e mentre alcuni, come le
Balene, conducono continuamente la vita loro sot-
t’ acqua. – Oltre a ciò, questa maniera d’animali
ha anche assai diversamente conformati i piedi o
le zampe, o comunque, gli organi del moto che ai
piedi o alle zampe corrispondono. Il più di essi è
munito di quattro zampe, mentre l’Uomo non ha
se non due piedi con aggiuntevi due mani, e men-
tre le Scimmie si può dire piuttosto che abbiano
quattro mani, che quattro piedi. Le dita di que’
mammiferi, che vivono promiscuamente nell’ ac-
qua e sopra terra, sono insieme collegate mercè
[Seite 86] d’una pelle membranacea che giova loro moltis-
simo per la natazione. Ne’ Pipistrelli osservasi che
i piedi anteriori hanno le dita lunghissime e sot-
tili, e che le falangi ne sono collegate mediante
una interpostavi molle e delicata membrana ri-
piegata che, quando viene distesa, serve ottima-
mente a foggia d’ali per abilitar l’animale al
volo. I piedi, onde vanno muniti alcuni mammi-
feri acquatici, sono conformati in maniera da po-
ter loro servire a modo di remi, per muoversi nel-
l’ acqua e dirigervisi a piacere, e nelle Balene somi-
glian essi, più che ad altro, alle pinne o alle natatoje
de’ pesci, con questa differenza che le zampe o
natatoje posteriori in esse non hanno ossa, e sono
situate orizzontalmente, invece che le pinne caudali
de’ pesci sono sempre disposte verticalmente. Al-
cuni pochi mammiferi poi (Solidungula) hanno
all’ estremità delle quattro zampe un’ unghia sola
e solida, che dicesi anche corno (le Sabot de’ Fran-
cesi), come per esempio, scorgesi nel Cavallo, e
parecchi altri invece (Bisulca) hanno l’unghia
fessa, come i Bovini. La massima parte de’ mam-
miferi procede o cammina, parlando segnatamente
de’ piè di dietro, soltanto sulle dita o sulle falangi,
ma alcuni ve n’ ha, e fra questi l’Uomo e a imi-
tazione di lui, le Scimmie, gli Orsi, gli Elefanti e
più altri, che procedono abitualmente su tutta
quanta la così detta pianta de’ piedi che esten-
[Seite 87] desi fino all’Astragalo, o fino al così detto cal-
cagno.
Si può dir francamente, che tutti i mammiferi,
ad eccezione soltanto de’ veri Formichieri o Man-
giaformiche (Myrmecophaga), de’ Fatagini o Ma-
nis (Manis) e di alcune Balene (Balaena), sono
in bocca muniti di denti, che distinguonsi in denti
anteriori incisivi1, (Primores s. Incisores), in acu-
minati o canini (Canini s. Laniarii) e in molari,
mascellari o masticatori (Molares), gli ultimi fra
i quali soprattutto riescono variamente conformati
a norma della natura del cibo che suol essere il più
appropriato all’ animale che li porta; così per
esempio osservasi che negli animali carnivori la
corona de’ loro denti molari è conformata a canti
taglienti, che negli erbivori essa riesce superior-
mente larga ed appianata con alcune sinuosità
scolpitevi per entro, e che in quegli altri mammi-
[Seite 88] feri che usano, come fa l’Uomo, nutrirsi delle
produzioni spettanti così all’ uno come all’ altro
de’ due regni organizzati, la corona de’ loro denti
molari suol essere nel bel mezzo incavata o con-
cava, e aver rotondati non meno i canti vivi che
gli angoli solidi.
Hannovi eziandio alcuni mammiferi, quali sono
a cagion d’esempio l’Elefante ed il Narvahl, che
sono armati di zanne, o di denti isolati (Dentes
exserti) e sporgenti molto infuori all’ insù, ad uso
di difesa, e altri ancora ve n’ ha, come la così
detta Morsa o il vero Cavallo marino (Triche-
chus rosmarus), che portano zanne consimili di di-
fesa alla bocca, ma rivolte all’ ingiù.
Non si danno specie realmente ruminanti se
non che soltanto fra i mammiferi, e anzi fra que-
sti unicamente negli erbivori, ritenuto che diciamo
ruminanti que’ mammiferi che usano trangugiare
da prima il loro cibo appena leggerissimamente
masticato, rigurgitandolo poscia tratto tratto, per
la via della strozza o dell’ esofago, nella bocca, per
rimasticarlo a dovere, e quindi riinghiottirlo un’ al-
tra volta.
Questi tali ruminanti hanno una dentatura con-
formata e disposta espressamente, perchè serva
loro a dovere nella ruminazione, mentre i loro
[Seite 89] denti molari sono trasversalmente solcali o frasta-
gliati, quasi direbbesi, a foggia d’una sega, e le
loro corone, invece d’esserne situate orizzontal-
mente, ne riescono disposte in una direzione così
fattamente obbliqua, che ne’ denti della mandibola
superiore il lato esterno essendone il più promi-
nente, in quelli della mascella inferiore succede
appunto tutto il contrario, vale a dire che la
parte più interna, o quella che riguarda la lin-
gua, ne sia la porzione più alta o più prominente.
Oltre a questa speciale disposizione della loro den-
tatura, i ruminanti hanno poi ancora la loro man-
dibola inferiore proporzionatamente molto più
stretta che non è la superiore, di modo che la
prima può con tutta facilità muoversi lateralmente
ora a dritta, ed ora a sinistra; la qual cosa viene ad
agevolare mirabilmente questo singolare meccani-
smo animale, siccome scorgesi anche a primo
colpo d’occhio osservando uno di tali animali in
attualità di ruminazione.
Annotazione I.a In que’ ruminanti, che hanno ad un
tempo anche l’unghia fessa, o che sono, come usa dirsi,
fissipedi (Bisulca), osservasi che si combina eziandio
l’altra particolarità d’avere quattro diversi ventricoli,
o per dir meglio un ventricolo manifestamente diviso
in quattro recipienti comunicanti l’un coll’ altro, ma se-
parati e distinti, l’interna struttura ed il meccanismo
de’ quali meritano d’essere avvertiti. I cibi grossamente
[Seite 90] masticati, da prima ingoiati, adunansi in un primo enor-
me stomaco che dicesi il Ventrone (Rumen – Magnus
venter – pe’ Francesi le Double, l’Herbier, la Pan-
se – e pe’ Tedeschi der Pansen, Wanst), il quale è
come un magazzino, in cui que’ cibi inumiditi perseve-
rano a macerarsi alcun poco. Di colà passan essi a poco
a poco, e per piccole porzioni, in un secondo ventricolo,
detto la Cuffia o la Berretta (Reticulum – pe’ Francesi
le Bonnet, le Raseau – e pe’ Tedeschi die Haube, Mütze,
das Garn), ch’ è come un’ appendice del precedente che
li raccoglie, li abbraccia, li comprime e li rispinge
all’ insù in bocca per la via della gola; ivi vengon essi
meglio rimasticati, e conformati in bocconi, e quindi
sono poi di bel nuovo trangugiati, con questa diffe-
renza che nel discendere, senza ripassare pe’ due sto-
machi sovraccennati, sono per mezzo d’un canale par-
ticolare condotti direttamente dalla strozza ad un terzo
ventricolo detto il Centopelli (Echinus – Centipellio
– Omasus – pe’ Francesi le Feuillet, le Pseautier
– e pe’ Tedeschi das Buch, der Psalter, der Blät-
termagen), dal quale passano alla perfine, per esservi
totalmente digeriti, nel quarto detto il Gaglio o l’Abo-
maso (Abomasus – pe’ Francesi la Caillette – e pe’
Tedeschi der Laab, die Ruthe, der Fettmagen),
che più de’ precedenti rassomiglia al ventricolo de’ ri-
manenti mammiferi1.
II.a Parmi di poter dire, senza tema d’emettere una
proposizione condannabile, che rimane pur tuttavia sco-
nosciuto l’uso potissimo della ruminazione, riguardan-
dola in generale a un tratto su tutti gli animali ru-
minanti.
Molti mammiferi, oltre all’ unghie, a’ denti ec.
onde sono forniti, sono anche armati di corna,
o di palchi. In alcune loro specie, e trall’ altre
ne’ Cervi, ne’ Caprioli e simili, le femmine ne vanno
sprovvedute; in talune, come ne’ Rangiferi e nel
genere delle Capre, le femmine sono anch’ esse
armate di corna, sebbene le portino più picciole
de’ maschi loro. Il numero, la forma, il colloca-
mento, e in particolare poi il tessuto delle corna,
variano moltissimo nelle diverse specie di così fatti
animali. Ne’ Bovini, ne’ generi delle Capre e delle
Gazzelle, le corna sono cave o di dentro vuote, ed
involgono alla loro base una prominenza ossea che
è la continuazione dell’ osso frontale; le corna
d’amendue le specie conosciute di Rinoceronte
sono invece solide, piene di dentro, compatte, e
sono piantate immediatamente sulla pelle che cuo-
pre loro il naso; nel genere de’ Cervi sono del
pari solide, compatte e dentro piene, ma la loro
compage è di natura più analoga alle ossa che
tutte le precedenti; desse sono ramose e tra di noi
[Seite 92] prendono il nome distintivo di palchi; ma questi
poi ad ogni anno cascano per far luogo ad altri
che poscia col tempo loro succedono.
Il Podice nella maggior parte de’ mammiferi è
coperto da una coda, che è la continuazione del-
l’ osso denominato Coccige (Coccyx), e questa
coda variamente conformata è destinata nelle di-
verse specie ad usi differenti. In qualche caso,
per esempio, serve essa all’ animale per scacciare
da sè gl’ insetti che lo molestano; in molti così
detti Gatti di mare (Cercopithecus), e in alcuni
altri mammiferi Americani e della Nuova Olanda,
la coda è costituita in modo da servir loro quasi
a foggia d’una mano, su cui possono appoggiarsi
per tenersi eretti, e con cui afferrano gli oggetti,
o s’aggrappano per arrampicarsi al bisogno (Cau-
da prehensilis); il Lepre saltatore (Jaculus di-
pus – Zerboa – la Gerboise de’ Francesi) si
serve della propria, appunto per slanciarsi al sal-
to (Cauda saltatoria), e il Kanguroo si vale della
sua, tanto in propria difesa all’ occorrenza, come
per tenersi in equilibrio stando sui pie’ di die-
tro, ec.
Sono poi anche da rimarcarsi certe borse che,
destinate ad usi speciali e fra loro differenti, scor-
gonsi qua o là attaccate in qualche parte del cor-
po d’alcuni fra gli animali appartenenti a questa
classe medesima de’ mammiferi. Così per esempio,
molte Scimmie (Scimia), alcuni Babbuini (Pa-
pio), diversi de’ così detti Gatti di mare o Cerco-
pitechi (Cercopithecus), e anche l’Hamster (Mar-
mota cricetus), oltre alcuni altri ancora, trovansi
essere muniti di certe tasche o bisacche (The-
sauri – pe’ Francesi Salles) nelle quali ripongono
e conservano le loro provvigioni, e le femmine del-
l’ Opossum (Didelphys marsupialis) tengono le
loro mammelle in una borsa particolare, che por-
tano al ventre e nella quale i loro piccini si spin-
gono per poppare.
Parecchi mammiferi, e fra questi la maggior
parte degli erbivori di maggior mole, non parto-
riscono generalmente se non un figlio solo ad ogni
volta, mentr’ altri per lo contrario ne mettono
alla luce un numero or maggiore ora minore ad
ogni loro parto, siccome veggiamo negli animali
rapaci o da preda, o nelle fiere propriamente dette,
ne’ Porci, Cinghiali ec.
Il feto sta in essi sempre in comunicazione colla
madre, finchè non ne è partorito, per mezzo della
così detta seconda, o secondina (Secundinae), la
quale nelle differenti specie suol essere assai di-
versamente conformata. Nella specie umana, per
esempio, ha dessa più che altro la figura d’una
grande torta o focaccia, e quindi è che ottenne
essa il proprio nome di placenta (Placenta), men-
tre all’ opposto nella più parte degli animali ru-
minanti e fissipedi o ad unghia fessa (Bisulca),
mostrasi divisa in diversi e talora anche in nu-
merosissimi brani, o lacinie che diconsi Cotile-
doni (Cotyledones).
Due sono principalmente i punti di vista, sotto
de’ quali si può soprattutto far calcolo in gene-
rale della importanza degli animali, vale a dire,
o avendo riguardo alla influenza ch’ essi possono
esercitare in grande sulla Economia della Natura
o sul complessivo andamento della Creazione, o
tenendo loro buon conto dell’ immediata utilità
ond’ essi possono riuscire all’ Uomo. Sotto il primo
di tali aspetti gl’ Insetti, e i Vermi o i Molluschi,
come avremo occasione di dimostrare in progresso,
divengono le creature le più importanti di tutte
l’altre, mentre sotto il secondo aspetto, non si può
negare che nol siano i poppanti o mammiferi
[Seite 95] de’ quali stiamo pur ora ragionando, tanto se mi-
risi alla loro grandezza o alla mole loro, quanto
se si calcoli la loro moltiplicità, e la somma di
varietà che ammettono fra di loro. E per ve-
rità non è da porsi in contingenza che questi ul-
timi mercè della varia loro generale conforma-
zione, della più o meno grande attitudine loro
a lasciarsi educare o istruire a norma del biso-
gno, della forza corporale onde sono dotati, e
d’altre consimili loro prerogative, non riescano
effettivamente in mille diverse maniere, per l’uo-
mo, di somma utilità1.
L’Uomo non seppe rinvenir mai in alcun’ al-
tra classe d’animali, compagni così fidati e col-
laboratori così assidui e infaticabili, come in que-
sta, nè v’ ha classe d’animali che siagli riuscita
tanto utile ne’ suoi bisogni immediati, nè di tanto
vantaggio anche per la propria conservazione, co-
me quella de’ mammiferi. – Hannovi in certe lo-
calità del globo nostro terracqueo intiere popola-
[Seite 96] zioni che, non potendo disporre se non se di una
sola specie d’animali mammiferi, con quella sola
riescono mirabilmente a saziar tutti affatto i più
urgenti loro bisogni. Per tal modo il Vitello ma-
rino o la Foca (Phoca vitulina) basta per soddi-
sfare a tutti quanti i bisogni de’ Groenlandesi,
come il Rangifero (Cervus tarandus – pe’ Fran-
cesi la Renne) è, si può dire, il tutto pe’ Lapponi,
pe’ Tongusi, ec., e come la Balena (Balaena my-
sticetus) è del pari il tutto per gli abitanti delle
Isole Aleute.
L’utilità di che i mammiferi sono cagione alla
specie umana, sebbene sia svariatissima ed impor-
tantissima, pure può agevolmente ridursi a’ se-
guenti principali capi: I Cavalli, i Muli, gli Asini, i
Buoi, i Rangiferi, gli Elefanti, i Cammelli, i La-
ma e i Cani, servono all’ Uomo ora per portarlo
sul dorso loro, ora per tradurlo o trascinarlo qua
e là ne’ suoi legni, carri ec., ora per ararne la
terra ch’ ei vuole svegrare o ridurre a coltivazio-
ne, ora per trasportargli dietro gli equipaggi, il
fardello, e insomma le cose più pesanti onde ab-
bisogna, ec. ec.; i Cani lo accompagnano, e gli
servono alla caccia, e gli guardano fedelmente la
casa, mentre, immerso in profondo sonno, ei si ri-
posa; i Gatti, i Porci spini, gl’ Icneumoni, i For-
[Seite 97] michieri o Mangiaformiche, ed altri animali ancora,
gli tengono netto il domicilio da’ Sorci, e da’ mol-
tissimi esseri viventi d’ogni maniera, che senza
ciò gli nuocerebbero; le carni stesse del Bue, del
Montone, del Porco, della Capra, del Cervo, del
Lepre, del Coniglio e simili, servongli di nutri-
mento o di cibo al bisogno, e a quest’ uso mede-
simo importantissimo servongli del pari, all’ occor-
renza, il lardo, l’adipe o lo strutto, il sangue, il
latte, il burro ed il fromaggio, ch’ egli ne va traen-
do: per vestirsi, per coprire le proprie abitazioni
o per farsene tende, e per altri usi simili si vale
egli poi con vantaggio delle pelli, delle pellicce,
dei cuoii o corami, del pelo, della lana o altro di
così fatti animali. Arde egli, per illuminarne la pro-
pria stanza, ora il sego de’ suoi Montoni, or l’olio
di Pesce, ed ora lo spermaceti, detto anche bianco
di Balena1; la pergamena e alcune altre pelli di
animali, di tal fatta appositamente preparate, ser-
vongli ora per scrivervi sopra, ora per la rilega-
tura de’ suoi libri ec. ec.; le arti meccaniche tutte
in somma a gara concorrono a trarre in mille modi
diversi, il più conveniente profitto dalle setole del
porco, da’ crini de’ cavalli, da’ peli e dalle lane di
[Seite 98] gran numero di mammiferi, da’ palchi de’ cervi
dalle corna de’ buoi, insomma dall’ unghie, dagli
artigli, dalle zanne, dall’ avorio, da’ denti, dalle
ossa diverse, compresovi perfino i barbiglioni della
Balena, che diconsi volgarmente osso di Balena, e
ben anche dalle vesciche e dalle budella di cosi
fatti animali; de’ tendini, e dell’ ossa loro si fa la
còlla forte; colle intestina d’alcuni si preparano
corde armoniche da violino ec.; del sangue loro
si fa uso del pari, ora per la preparazione dell’ az-
zurro di Berlino e di qualche altro colore, ora per
purgare lo zucchero nelle raffinerie ed ora a van-
taggio delle tintorie; lo stesso letame loro, e lo stra-
me, servono di ottimo concime alle terre coltivate,
ingrassandole e riscaldandole opportunamente, e
dal pretto loro sterco, unendovi le orine, traesi col-
l’ arte il sale ammoniaco. Finalmente soggiugne-
remo qui ancora, che alcune speciali produzioni
de’ mammiferi sono, nell’ esercizio dell’ arte salu-
tare, riguardate bene spesso quali rimedii efficacis-
simi, come accade del muschio, del castoreo, del
corno di cervo, del latte, e simili altri oggetti.
D’altronde poi molti degli animali spettanti a
questa classe riescono o mediatamente, o imme-
diatamente, nocivi alla specie umana; alcuni car-
nivori, soprattutto del genere de’ Gatti (Felis), ag-
[Seite 99] grediscono l’uomo. Questi istessi animali poi, e seco
loro parecchi altri ancora, come per esempio,
l’Armellino (Mustela erminea), il Martoro (Mu-
stela martes), la Puzzola (Mustela putorius), il
Ghiottone (Ursus gulo), la Lontra (Lutra vulga-
ris), la Balena (Balaena mysticetus), distruggono
molti altri animali che riuscirebbero utili, o vera-
mente danneggiano gli arbusti, gli alberi, i frut-
taii di giardino, le biade e simili, come fanno
il Sorcio campagnolo (Mus arvalis), l’Hamster
(Marmata cricetus), il Lemure (Mus lemmus), il
Cervo (Cervus elaphus), il Lepre (Lepus timi-
dus), il Castoreo (Castor fiber), la Scimmia (Si-
mia sylvanus), l’Elefante (Elephas), il Rinoce-
ronte (Rhinoceros), l’Ippopotamo (Hippopotamus
amphibius) e altri così fatti, o veramente vanno in
traccia de’ commestibili e li rubano, come il Ratto
(Mus rattus), i Sorci o Topi (Mus musculus), le
Nottole (Vespertilio) e simili. Nessun animale di
questa classe, quando sia sano, sembra riuscir mai
velenoso, a meno dell’ Ornitorinco maschio (Or-
nithorhyncus paradoxus) che, irritato, credesi ve-
lenoso co’ pie’ di dietro.
Sonovi parecchi sistemi artificiali (Systemata
artificialia), vale a dire sistemi appoggiati unica-
mente ad alcuni caratteri particolari, che si assu-
[Seite 100] mono come fondamenti di classificazione, e ap-
punto sovra sistemi di così fatta tempra certi
Naturalisti hanno immaginato di poter ordinare
plausibilmente gli animali mammiferi. Così, per
cagion d’esempio, la distribuzione stabilita da
Aristotile è fondata semplicemente sulle differenze
generali che osservansi nelle dita loro e nelle
loro unghie od artigli, e dietro di lui, Ray ed altri
vollero a quel metodo medesimo attenersi, metten-
do a calcolo soprattutto il numero delle dita e cose
simili. Per altro, contenendoci a questo modo, ben
tosto converrà che ci avveggiamo d’essere sforzati
a considerar come del tutto separate, attribuendole
ad Ordini ben distinti, diverse specie sommamente
tra loro affini, come a dire i Formichieri (Myr-
mecophaga) e i Bradipi (Bradypus), unicamente
perchè i primi hanno, in confronto co’ secondi, un
diverso numero di dita alle zampe loro. Linneo in-
vece trasse, più che da altro, da’ denti le basi della
da lui proposta classificazione degli animali mam-
miferi; ma nè meno con questa schivasi il grave
inconveniente di dover consentir talora a separa-
zioni non naturali di specie troppo analoghe l’una
all’ altra, e talora allo strano ravvicinamento di
specie affatto tra di loro disparate1.
In fatto, attenendoci al metodo Linneano, il ge-
nere delle Nottole (Vespertilio) verrebbe a ripar-
tirsi necessariamente almeno in tre sezioni, a mo-
tivo della diversa dentatura propria alle varie sue
specie; le due specie cognite di Rinoceronti attual-
mente viventi (Rhynoceros), sarebbe forza che ri-
manessero cadauna di per sè; mentre per lo con-
trario l’Elefante (Elephas), l’Armadillo (Tatu
– Dasypus novemcinetus L.), e il Fatagino (Ma-
nis tetradactyla), detto anche il Diavoletto di For-
mosa, tuttoché differentissimi, verrebbero a costi-
tuire un genere solo.
Mi sono pertanto ingegnato di proporre un si-
stema di distribuzione de’ mammali che, parlando
almeno in generale, avesse a riuscire più naturale
che nol sono i qui sopra citati, e volli, ciò tentando,
prendere in opportuno calcolo a un tratto l’abito
totale di questi animali, fondando soprattutto
su gli organi del movimento le note caratteristi-
che degli Ordini, a motivo che la disposizione di
tali organi è quella che cade più agevolmente sot-
t’ occhi, e a motivo che la loro conformazione cor-
risponde il più delle volte esattamente al pre-
detto abito totale di questi animali medesimi; ma
siccome due degli Ordini da me stabiliti non si
può scansare che non comprendano specie fra
[Seite 102] loro troppo manifestamente diverse, perciò ho
pensato di suddividerli, a norma della varia lo-
ro dentatura, in alcune famiglie, alle quali ho
attribuito que’ nomi medesimi ond’ erasi ser-
vito Linneo per contraddistinguerne alcuni dei
suoi Ordini, e per tal modo la intiera classe degli
animali mammiferi viene a trovarsi, giusta il mio
metodo, distribuita come segue:
Ordine I.° Bimano (Bimanus) = L’Uomo avente
due mani:
II.° Quadrumani (Quadrumana) = Gli animali
aventi quattro mani, e fra questi le Scimmie
(Simia), i Babbuini (Papio), i Cercopiteci (Cer-
copithecus) e i Lemuri (Lemur):
III.° Chiropteri (Chiroptera) = Mammiferi che
hanno le zampe anteriori collegate mercè di
una pelle membranacea (§. 43), la quale rende
loro questi organi atti a volare, come accade
delle Nottole o de’ Pipistrelli (Vespertilio):
IV.° Digitati o Fissipedi (Digitata) = Mammiferi
aventi alle quattro loro zampe le loro dita libere
o sciolte. – Quest’ Ordine, in ragione delle dif-
ferenze che osservami nella dentatura d’alcuni
gruppi delle specie che vi appartengono, è da
dividersi nelle qui sotto tre diverse famiglie:
A. Ghiri, o Digitati rosicchiatori (Glires) =
aventi i denti simili a quelli de’ Sorci o Topi
(Mus), e di tal fatta sono gli Scojattoli (Sciu-
[Seite 103] rus), i Muscardini (Glis avellanarius), ap-
punto i Topi tutti (Mus oeconomus, sylvati-
cus, amphibius, arvalis, musculus, rattus, lem-
mus, typhlus), le Marmotte (Marmota), i Por-
celletti d’india o Cavia (Savia porcellus, etc.) e
altri consimili, come a dire i Gerboa (Jaculus
jerboa), i Lepri (Lepus), gl’ Istrici o Porci
spini (Hystrix).
B. Fiere, o Digitati carnivori. (Ferae) = Qui
riferisconsi, oltre a tutti i quadrupedi che di-
consi precisamente animali rapaci, da rapina
o da preda, anche quegli altri digitati che
hanno una dentatura analoga alla loro, e quin-
di i Leoni (Felis leo) e affini, i Cani d’ogni
specie e d’ogni razza (Canis familiaris, lupus,
aureus, vulpes, lagopus, hyaena) e altri affini,
gli Orsi (Ursus), gli Ermellini (Mustela ermi-
nea), le Viverre (Viverra), gli Opossum (Di-
delphys marsupialis), gli Erinacei o i Porcel-
letti ricci (Erinaceus europaeus), i Sorci (So-
rex araneus, fodiens, exilis), le Talpe (Talpa
europaea) e altri affini;
C. Bruti, o Digitati sdentati (Bruta) = A’ quali
si riferiscono i mammali digitati ad un tempo,
e sdentati o mancanti almeno di denti incisivi
o di denti anteriori, e di tal fatta sono i Bra-
dipi (Bradypus tridactylus), i Formichieri o
i Tamandua (Myrmecophaga jubata, dida-
[Seite 104] ctyla), i Fatagini (Manis tetradactyla), e gli
Armadilli (Tatu novemcinctus);
V.° Solidunguli, o solipedi (Solidungula) = Come
il Cavallo ec.;
VI.° Bisulci (Bisulca) = Come gli animali ad un-
ghia fessa o ad unghia bifida e ruminanti, quali
sono il Bue (Bos taurus) e altri affini:
VII.° Multunguli o Unguiculati (Multungula) =
Mammali bene spesso di vistosa mole, ma quasi
direbbesi informi o deformi, aventi il corpo
loro esteriormente coperto di setole o di radi
peli, talora anche sottili, e portanti più che due
unghie ad ogni zampa, e di tal fatta sono i Porci
o Cinghiali (Sus Scrofa), mentre effettivamente
hanno dessi sempre quattro unghie ad ogni
zampa, i Tapiri (Tapir americanus), gli Ele-
fanti (Elephas asiaticus, africanus), i Rinoce-
ronti (Rhinoceros asiaticus, africanus), e gl’ Ip-
popotami (Hippopotamus amphibius). – I mam-
mali di quest’ Ordine contraddistinguevansi in
addietro col nome generico di Belve (Belluae), e
comprendono attualmente la maggior parte dei
Pachidermi (Pachydermata) di Cuvier.
VIII.° Palmati, o Palmipedi (Palmata) = Mammiferi
aventi i piedi o le zampe conformate in modo
da poter servir loro alla natazione – Questo
Ordine suddividesi anch’ esso, a motivo della
varia dentatura che nelle diverse sue specie si
[Seite 105] osserva, nelle seguenti tre famiglie analoghe a
quello, nelle quali si considerarono ripartiti an-
che i Digitati.
A. Ghiri, o Palmati rosicchiatori (Glires) =
Tale è il Castoreo (Castor fiber);
B. Fiere, o Palmati voraci o rapaci (Ferae) =
Tali sono la Foca, detta Vitello marino (Phoca
vitulina), e la Lontra (Lutra vulgaris, brasi-
siliensis, marina);
C. Bruti, o Palmati sdentati (Bruta) = E tali
sono l’Ornitorinco (Ornithorhyncus parado-
xus), la Morsa, detta il Cavallo di mare (Tri-
chechus rosmarus), e il Lamentino o Manato,
detto la Vacca marina, (Trichechus manatus).
Quest’ ultimo palmato poi, vale a dire il La-
mentino, è tale da formare opportunissima-
mente la transizione o il passaggio da’ mam-
miferi palmati al seguente nono ed ultimo Or-
dine de’ mammiferi.
IX.° Cetacei (Cetacea) = Ordine che racchiude
tutte le così dette Balene. Questi Cetacei sono
animali a sangue caldo, che altro non hanno di
comune, se non la volgare, troppo impropria ed
affatto incompetente denominazione co’ pesci
che, come s’è detto, sono sempre animali a san-
gue freddo. Il celebre Ray avea già fin da’ suoi
tempi scorta benissimo la naturale colleganza di
questi Cetacei cogli altri mammiferi, quando
[Seite 106] disse: „Cetacea quadrupedum modo pulmoni-
bus respirante coëunt, vivos foetus pariunt, eo-
sdemque lacte alunt, partium denique omnium
internarum structura et usu cum iis conveniunt.
Appartengono precisamente a’ Cetacei il Nar-
vahal (Monodon narhwal), le due diverse vere
Balene (Balaena mysticetus, rostrata), il Fise-
tere (Physeter macrocephalus), e i diversi Del-
fini (Delphinus phocaena Delphis, Orca).
Genere I. Uomo (Homo). Dimorante ritto
su’ due piedi, avente due mani, il mento alquanto
prominente, i denti tutti equabilmente ravvicinati,
e gli incisori della mascella inferiore dritti.
SPECIE 1. ed UNICA. l’uomo (Sapiens1: fr. l’Hom-
me: ted. der Mensch: ing. the Man).
Tra i caratteri esterni, per mezzo de’ quali
l’Uomo distinguesi agevolmente non solo da tutti
quanti i rimanenti animali, ma persino dalle Scim-
mie che più d’ogni altro gli rassomigliano, è prima-
mente da calcolarsi il suo proceder dritto sui piedi,
come ve lo dimostrano disposto singolarmente,
oltre alla intiera sua conformazione e alla stessa
statura sua, le di lui anche, gli ilei e le ossa ischia-
tiche formanti catino, la proporzione che v’ha tra
le di lui gambe e le di lui braccia, e la ampiezza
della pianta de’ suoi piedi; poi è d’aversi in con-
siderazione l’uso liberissimo ch’ ei può fare delle
perfette sue mani; quindi la prominenza che os-
servasi nel suo mento, e finalmente la posizione
[Seite 109] eretta de’ denti incisivi della di lui mascella in-
feriore.
Il sesso femminino di questa nostra specie, ol-
tre alla speciosa forma del seno, che gli è propria
esclusivamente nel fior dell’ età, distinguesi soprat-
tutto per due essenzialissimi caratteri, tanto dal
corrispondentegli sesso maschile, quanto da qual-
sivoglia altra maniera d’animali, e questi carat-
teri sono, una certa perdita periodica di sangue,
che ad ogni mese gli occorre durante un determi-
nato numero d’anni dell’ età sua, e una tal quale
membrana, denominata imene (Hymen) nelle
parti sessuali, non mai rinvenutasi, almeno per
la sua forma e situazione, nelle femmine d’alcun
altra specie d’animali, dalla mancanza o distru-
zion della quale vollesi da taluno, e vorrebbesi
talora, non saprei bene con quanta sicurezza, de-
durre nelle fanciulle un corporale indizio e anzi
una prova di deflorazione, ossia di violata ver-
ginità.
A riguardo delle attitudini, disposizioni o fa-
coltà dell’ anima, è da dirsi che l’Uomo, ove se ne
eccettui soltanto quella naturale impulsione che
ne porta un sesso verso l’altro, a pena conserva
qualche traccia d’istinto (§. 34 e segg.), come nes-
suna affatto poi gliene rimane più d’istinto tecnico
(§. 36). In compenso però di tale difetto, vennegli
riserbato esclusivamente l’uso della ragione (§. 37),
[Seite 110] e possiede egli eziandio il dono, o piuttosto il di
per sè procacciatosi beneficio, della parola o della
favella (Loquela); proprietà che non è in conto
alcuno da confondersi colla semplice voce (Vox)
animale (§. 25), comune non solo agli uomini e
alle bestie quasi tutte, ma anche a’ bambini neo-
nati, e perfino a quelli tra essi ch’ ebbero la di-
sgrazia di nascer muli. Gli è appunto da tali due
sue proprie esclusive prerogative, che deriva alla
specie umana quella assai ben grande esclusiva
sua proprietà, in forza della quale ei sovrasta a
tutta quanta la rimanente Creazione animale, vale
a dire l’attitudine e la potestà di perfezionarsi
(§. 37) di per sè e senza il bisogno d’alcuna coo-
perazione esteriore.
L’Uomo considerato in sè stesso è per verità
un’ assai infelice creatura, inerme, priva d’ogni di-
fesa e soggetta ad un infinito numero di bisogni
d’ogni maniera; non v’ è animale che resti per
così lungo tratto dell’ età sua nell’ infanzia; niuno
ve n’ ha cui tardino tanto a spuntar i denti; di tutti
è desso quello che dura maggior fatica a reggersi
sulle gambe, come d’ogni altro egli è il più lento a
farsi adulto, e a divenir capace di riprodurre al-
l’ opportunità la propria specie, e così vadasi di-
scorrendo. Le stesse prevalenti sue prerogative, la
ragione cioè e la parola, non sono da prima in lui
se non come inutili germi od embrioni di per sè
[Seite 111] vuoti d’ogni potenza, all’ occorrente sviluppa-
mento de’ quali soli possono riuscire gli esterni sus-
sidii della cultura e della educazione. Or questa
necessità di stranieri sussidii, giunta agli innu-
merevoli bisogni a’ quali trovasi egli continua-
mente soggetto, non forman dessi il maggior com-
plesso di prove, dimostranti in somma che l’Uomo
è naturalmente destinato a vivere in società? Noi
non siamo per anche in istato di sostenere con
pari positività, ch’ egli in qualsivoglia parte del
Globo, come sembra esserlo in Europa, sia stato
dalla Natura destinato alla Monogamia1, da che
per sostenere una così fatta tesi, converrebbe prima
essere ben sicuri che effettivamente da per tutto,
come tra noi, il numero de’ maschi nati corri-
sponda a quello delle femmine, e che la durata
del tempo, pel quale persevera ne’ due sessi la at-
titudine a riprodurre la propria specie, sia pure
la stessa per ogni dove.
Il luogo di suo soggiorno non è fissato per l’Uo-
mo, come non gli è tampoco prescritto il genere
d’alimenti onde valersi, e in fatto veggiamo che
egli abita tutte le regioni abitabili della terra,
e ch’ ei si nutre indistintamente quasi di tutte le
[Seite 112] produzioni spettanti all’ ambito vastissimo della
Creazione organizzata. In proporzione della assai
mezzana corporale sua statura, è fuor di dubbio che
l’Uomo, posto a confronto degli altri mammiferi,
perviene ad una età molto più innoltrata.
Il genere umano (Genus) non ammette, come già
accennammo, se non una specie sola (Species), e
quindi è da intendersi che tutti quanti i popoli,
tutte quante le Nazioni, d’ogni tempo, e d’ogni
regione, derivino necessariamente da uno stipite
comune1.
Qualunque siansi le nazionali differenze, che ac-
cade di scorgere nella conformazione e nel colore
del corpo umano; esse non sono per riuscir mai,
nè più strane, nè più incomprensibili o difficili a
concepirsi, di quello che il siano le tant’ altre diffe-
renze che sfigurano, quasi direbbesi, sotto gli stessi
occhi nostri, e inducono in una tal quale degenera-
zione un buon numero d’altre specie de’ corpi orga-
nizzati, e soprattutto de’ nostri animali domestici.
Tutte queste differenze passano poi, d’altronde, le
une nelle altre per gradi talmente indiscernibili e
per transizioni tanto moltiplicate ed esili, che non
possono esser mai suscettibili d’ammettere fra esse
se non limiti arbitrarii affatto o demarcazioni on-
[Seite 113] ninamente capricciose, e quindi quasi inattendibili.
Malgrado ciò, ho creduto di contenermi a tale ri-
guardo nel modo il più conveniente possibile, di-
stribuendo l’intiero genere umano nelle seguenti
cinque razze diverse1:
1). Razza caucasea (Vedi Abbildungen naturhistorischen
Gegenstände. Tab. 3 e 51).
Questa razza suol avere più o meno bianco il
color della pelle in generale, colle guance rubi-
conde, o come usiam dire, incarnate e i capelli
lunghi, fini, molli o morbidi, del color bruno di
noce chiaro, o brun-castagno, che volge talora al
biondo, e talora al bruno di noce scuro o al bruno
nero; la conformazione del volto, e quella del cra-
nio, in questa razza sono il modello della vera bel-
lezza, giusta le idee sul bello invalse generalmente
in tutta Europa. Contansi come spettanti a que-
sta razza Caucasea, o derivante originariamente
dal Caucaso, tutti quanti gli Europei, eccettuatone
i Lapponi; poi gli Asiatici occidentali dimoranti
al di qua dell’ Obi, del Mar Caspio e del Gange,
e finalmente gli Affricani settentrionali, e quindi
all’ incirca gli abitanti di tutto il mondo noto agli
antichi Greci e a’ Romani.
2). Razza Mongola (Vedi Abbildungen etc. Tab. 1).
Questa seconda razza ha per lo più la pelle del
color giallo proprio del grano di fromento o di
biada, che volge talora al color delle mele cotogue
cotte, o a quello della corteccia secca d’arancio;
ha i capelli neri, duri e radi, le palpebre obblique,
poco fesse e ad un tempo alquanto enfiate, la fac-
cia piatta, quasi chi dicesse, schiacciata e le po-
melle sporgenti lateralmente all’ infuori. Compren-
donsi in tale razza tutte le nazioni Asiatiche non
comprese nella precedente, eccettuatone soltanto
i Malai o Malesi, e v’ appartengono pure i Lap-
poni d’ Europa, com’ anche gli Eschimali (Esqui-
maux de’ Francesi) di tutta quanta la parte set-
tentrionale dell’ America, che stendesi dallo Stretto
di Bering fino alla Terra di Labrador.
3). Razza Etiopica (Vedi Abbildungen etc. Tab. 5).
La razza Etiopica ha sempre la pelle di un co-
lor più o meno nero, i capelli neri, ricciuti e cre-
spi, le mascelle sporgenti molto sensibilmente in
avanti, le labbra gonfie e grosse, e il naso ottuso o
rintuzzato. Appartengono a questa razza tutti i
rimanenti popoli dell’ Affrica non compresi nella
prima, e fra gli altri i Negri propriamente detti,
i quali, per mezzo de’ Foulahs, si confondono
poi co’ Mori o Mauritani, a quel modo medesimo
che tutte quante l’altre varietà della specie umana
vanno confondendosi colle più vicine loro popola-
zioni.
4). Razza Americana. (Vedi Abbildungen etc. Tab. 2).
Questa razza ha la pelle del colore di tannino,
e di quella polvere di cui si fa uso per conciar le
pelli, ossia del color bruno di cannella, simile ta-
lora alla ruggine di ferro, o al rame appannato,
e suole comunemente contraddistinguersi col nome
appunto di razza color di rame; ha dessa i capelli
neri, duri e distesi, la faccia allargata, ampia, ma
non piatta e schiacciata come l’hanno i Mongoli,
e tutti i lineamenti ne sono sempre in singolar
modo pronunciati. Racchiude essa in generale tutte
quante le nazioni dell’America, a meno de’ soli
Eschimali (Esquimaux de’ Francesi).
5). Razza Malaja o Malese. (Vedi Abbildungen etc.
Tab. 4).
La razza Malaja ha la pelle di color bruno, vol-
gente da un lato al color chiaro di Mahagoni o di
Acajou (volgarmente tra noi Moghen), e dall’ al-
tro lato al castagno scuro, o al bruno cupo di
chiodi di garofano; ha dessa la chioma folta, nera,
ricciuta od anellata, il naso ampio allargato, e la
bocca grande. Appartengono a questa razza tutti
indistintamente gli abitanti dell’ Isole del mar del
Sud, o gli abitanti della quinta parte del Globo no-
stro, come pur quelli dell’ Isole Mariane, Filippine
e Molucche, dell’ Isole della Sonda, ec. ec., compre-
sovi tutti i Malesi o i Malaj propriamente detti1.
Tutte le ragioni fisiologiche concorrono a fare
riguardare la razza Caucasea come la vera razza
originaria primigenia, o almeno come la razza, di-
rem così, centrale, o come la razza intermedia fra
tutte l’altre; di modo che la razza Mongola, in cui
essa verrà ad aver degenerato da un canto, e la
razza Etiopica, in cui sarà degenerata dall’ altro,
saranno da ritenersi come le razze estreme della
serie, alle quali la Caucasea avrà fatto passaggio
per mezzo delle rimanenti due, vale a dire l’Ame-
ricana e la Malaja, la prima, tra la razza Caucasea
e la Mongola, e la seconda, tra la Mongola e l’Etio-
pica1.
Sebbene io stimi che non vi sarebbe il prezzo
dell’ opera se mi facessi ad esporre qui a parte a
parte le strane e goffe favole, con che certuni si di-
lettarono spesse volte di deturpare la Storia natu-
rale della specie umana; ciò non pertanto ho divi-
[Seite 118] sato di non passar in silenzio le seguenti poche, da
me appunto per quest’ uso trascelte nella massa:
I supposti Giganti Patagoni, da’ tempi di Magel-
lano che visitò primo le estreme coste Sud-Est
dell’ America Meridionale, fino a’ nostri dì, stando
semplicemente a quanto ne dissero i Navigatori
successivi, diminuirono oggimai di statura nella
proporzione di dodici a sette, che sono i numeri
di piedi assegnati loro d’altezza, il primo da quel-
l’ antico Navigatore, e l’altro da’ più moderni; e
quindi si vede che que’ pretesi popoli Giganti ora
alla perfine non risolvonsi se non in uomini alcun
poco crescenti di misura dalla più parte degli uo-
mini di alta statura.
Così è supponibile che i Quimos del Madagascar,
datici, non sono ancora molti anni, da Commerson
come formanti una nazione Pigmea, in altro alla
perfine non risolverannosi, mercè de’ patologici
confronti che se ne farà in progresso, se non in un
numero di così detti Cretini (Cretins de’ Francesi),
vale a dire di sgraziati imbecilli, degenerati, pic-
cioli di statura, aventi la testa grossa, e lunghe
sproporzionatamente le braccia, quali sono ap-
punto que’ tanti che rinvengonsi, così nel Salisbur-
ghese, come nell’ Alpi del Piemonte e nel Val-
lese.
E la stessa cosa è da dirsi eziandio di tutti que-
gli altri Chacrelas o Kacherlaki o Blafards, e de-
[Seite 119] gli Albinos ossiano Mori-bianchi, che non solo
non possono pigliarsi come specie diverse d’uo-
mini, ma che non ne formano tampoco particolari
varietà, mentre in sè effettivamente non sono nep-
pur essi se non individui degenerati e morbosa-
mente soffrenti, de’ quali l’istoria e l’esame sono
piuttosto di ragione della Patologia che della Sto-
ria naturale.
L’Homo troglodytes del d’altronde sommo e
benemeritissimo Linneo, può dirsi anch’ esso in
oggi universalmente riconosciuto come il risultato
inconcepibile della stravagantissima mistura del-
l’ istoria d’uno di questi infelici Albinos o Mori-
bianchi1 summentovati, infermiccio, e di quella
dell’ Orangutang; mentre il di lui Homo lar all’ op-
posto, in altro alla per fine non si risolse, se
non in una vera Scimmia, meglio in oggi cono-
sciuta sotto il nome di Gibbon, o sotto quello di
Golok.
Que’ tanti e tanto decantati fanciulli1 poi, che
voglionsi allevati nelle selve tra mezzo alle fiere,
per mio avviso, sono tristi mostri morali, sotto nis-
sunissimo riguardo più atti a servir di modello
del capo d’opera della Creazione, di quel che
sianlo gli altri uomini d’ogni maniera sfigurati, o
per causa di malattia, o per colpa di qualche ac-
cidente.
Del resto non v’ è al mondo popolo alcuno che
sia munito di coda cuoprente il podice; le Otten-
totte non hanno alcun grembiale naturale che loro
cuopra il sesso; gli Americani hanno benissimo la
loro barba2, quando la lasciano crescere; e non
v’ hanno nè Centauri, nè Satiri, nè Sirene effet-
tive, ec. Tutte queste così fatte fole da fanciulli
possono per avventura aver illuso i padri nostri,
ma a’ tempi attuali non v’ è tampoco bisogno di
rifutarle3.
Animali Mammiferi aventi quattro mani a loro
disposizione, come il richiedevano il proprio
loro tenor di vita, e l’abitudine in cui sono
d’arrampicarsi sugli alberi per dimorarvi un
tempo più o meno lungo. Quest’ Ordine di
Mammiferi è originariamente quasi affatto
circoscritto per domicilio alle Terre che
stanno fra i due Tropici1.
Genere II. Scimmia (Simia: fr. Singe: ted.
Affe: ing. Ape). – L’aspetto, in complesso ne
suol essere più o meno antropomorfo, o rasso-
migliante a quello ch’ è proprio dell’ Uomo; le due
orecchie esterne e le sue mani potrebbono quasi
dirsi umane affatto; ha le narici poste anterior-
mente; ha in bocca, tanto sopra quanto sotto,
quattro denti incisivi, co’ canini solitarii e più
lunghi degli altri denti.
Abita quasi esclusivamente nell’ antico Emi-
sfero; somiglia effettivamente all’ Uomo, assai più
che nol facciano gli animali che descriveremo nei
[Seite 149] generi susseguenti; ma però, oltre che quanto di-
cemmo in proposito del genere Uomo non si confà
mai compiutamente alle Scimmie, desse ne diffe-
riscono sempre manifestamente in grazia di una
tal quale loro maggiore ristrettezza de’ lombi e dei
fianchi compressi.
SPECIE I. Satiro (S. Satyrus: fr. l’Orangou-
tang: ted. der Orangutang: ing. the Ourangou-
tang). – È questo di color bruno rufo; ha rado
e lungo il pelo, la testa globosa, tumida la fronte,
e piuttosto picciole l’orecchie esterne. (Vedi Abbild.
natur. hist. Gegenstände Tab. 12 e 52.)
A quanto pare non rinviensi se non soltanto a
Borneo, ed anche colà ben poco frequentemente1;
pigliandolo giovine assai, si può educarlo, al pari
del Troglodite e di molte altre specie di Scimmie,
ad ogni maniera di giuochi di destrezza, d’agilità
e insomma d’industria corporale o macchinale,
che bisogna però distinguere attentamente dalle
naturali sue abitudini, e dall’ abituale suo con-
tegno.
Camper ha dimostrato, disseccandone un indi-
viduo, che la specie Satiro, o come suol dirsi
l’Orangoutang, non può essere suscettibile mai del-
[Seite 150] l’umana favella, ne è costituito in modo da essere
naturalmente atto a reggersi e a procedere su’ due
piè posteriori.
SPECIE 2. Troglodite (S. Troglodytes: fr. le
Chimpansée: ted. der Schimpansee – Barris: ing.
the Chimpansée). – Questa Scimmia è nera, to-
rosa molto od inquartata; ha picciola la testa, e
grandi le orecchie. (Vedi Abbild. etc. Tab. 11.)
Abita nelle più interne regioni d’Angola, del
Congo ec. nell’ Affrica, e perviene, come anche la
specie precedentemente descritta, a un dipresso
alla statura ordinaria d’un fanciullo di tre anni
d’età.
SPECIE 3. Ladrone (S. Lar – Homo Lar di
Linneo: fr. le Gibbon: ted. der Gibbon – Golok:
ing. the Gibbon). – Quest’ altra specie di Scim-
mia ha così lunghi gli arti anteriori che, stando in
piedi, giungonle fino alle calcagna. (Vedi Schreber
Tab. 3.)
Abita in amendue le penisole dell’ India Orien-
tale, e trovasi anche alle Molucche; ha dessa
una maniera di viso o di faccia rotondetta, ram-
mentante a bastanza plausibilmente la faccia uma-
na; ma ha poi lunghe smodatamente le braccia o
l’estremità anteriori, ed è di colore nerastro.
SPECIE 4. Silvano. (S. Sylvanus: fr. le Singe
ordinaire – le Pithéque: ted. der gemeine türkische
Affe: ing. the Pygmy). – Questa specie ha le
[Seite 151] braccia più corte che non ne riesca il busto; ha
calve o denudate le natiche, e la testa subrotonda.
(Vedi Schreber Tab. 4.)
Abita nell’ Affrica più settentrionale, e rin-
viensi pure all’ Indie Orientali ed anche altrove. È
dessa la più comune e tra noi la più vivace e la
più longeva delle Scimmie scodate, e può propa-
gar nella nostra Europa la propria specie; suol
essere docile assai, ed impara facilmente i giuochi
di destrezza che le si insegnano: a pena potrebbe
dessa ritenersi diversa dalla Simia inuus (le Magot
di Buffon). È questa ridivenuta selvaggia ne’ din-
torni di Gibilterra, dove vive in pienissima liber-
tà, e si è moltiplicata.
SPECIE 5. Rostrata (S. Rostrata: fr. le Nasi-
que – la Guenon á long nez: ted. der langnasige
Affe – Kahau – Bantagan Affe – Bantanian:
Ing. the Nasique). – Questa specie ha la coda mez-
zanamente lunga, e il naso prolungato molto in-
nanzi, a foggia quasi di rostro o becco (Vedi Ab-
bild. etc. Tab. 13).
Abita nell’ isole della Sunda; essa distinguesi
molto agevolmente anche a prima giunta da qual-
sivoglia altra specie di Scimmia, appunto in grazia
del rimarcabilissimo suo lungo naso, protratto in-
nanzi in forma di grifo o di grugno; sicchè po-
trebbe dirsi che appena le competa, non essendo
[Seite 152] enasata (latinamente sima), il nome generico di
Scimmia.
SPECIE 6. Sileno (S. Silenus: fr. le Siléne:
ted. der Bartaffè – Wanduru: ing. the Silen) –
Questa specie di Scimmia portante coda è di co-
lor nero, ed ha poi anche una lunga barba bian-
co grigiastra, quasi chi dicesse, incanutita. (Vedi
Schreber. Tab. 11).
Abita nell’ isola Ceylan, e anche altrove nelle
Indie Orientali, per quanto pare. Alcuni antichi
disegni1, pur tuttavia riconoscibilissimi di questa
specie di Scimmia, abbelliti artificiosamente ed a
capriccio da qualche più moderno copista2, hanno
sicuramente dato moto alle favole de’ supposti Uo-
mini muniti di coda.
SPECIE 7. Cinomolgo (S. Cynomolgus: fr. le Ma-
caque: tad. der Macacco – vulgo, ma impropria-
mente die Meerkatze: ing. the Macaque) – Que-
sta specie ha la coda lunga e curva, o disposta
abitualmente ad arco, e ha le narici sporgenti al-
l’ infuori e bifide alla maniera del Lepre. (Vedi
Schreber. Tab. 12).
Abita nella Costa di Guinea, ad Angola e in
altre parti dell’ Affrica; il colore n’è quasi direbbe-
[Seite 153] si il verde dell’ ulivo, ed è fra le vere Scimmie cau-
date, quella che più frequentemente d’ogni altra
vien trasportata in Europa.
GENERE III. Babbuino (Papio: fr. Babouin:
ted. Pavian: ing. Baboon). La faccia, o parlando
più acconciamente, il muso n’è prolongato, e meno
antropomorfo di quello che non sialo in gene-
rale nelle Scimmie; il naso n’è ingrossato da una
sorta di tuberosità ad ambi i lati; ha nude o senza
pelo le natiche, le quali ne sono di color rosso
scarlatto; la coda n’è corta il più delle volte, e
a riguardo della dentatura, esso somiglia affatto
alle Scimmie.
Questo genere abita anch’ esso, quasi esclusiva-
mente, l’Antico Continente; il capo ne rammenta
un po’ meno che nel genere Scimmia, quello del-
l’ Uomo, ed anzi in qualche specie somiglia esso
piuttosto a quello del porco, soprattutto se riflet-
tasi al grugno; le specie ne sogliono essere indo-
cili, difficilissimamente addimesticabili e in som-
mo grado lascive.
SPECIE 1. Amadriade (P. Hamadryas – Cy-
nocephalus: fr. le Tartarin: ted. der Hundskopf:
ing. the Hamadryas). – Questa specie ha il pelo
di color grigio di cenere, le orecchie chiomate o
coperte di lungo pelo, quasi a foggia di capelli, e
l’unghie piuttosto acuminate. (Vedi Schreber. Tab. 10).
Abita in Affrica cominciando dall’ Egitto fino
[Seite 154] al Capo di Buona Speranza, e se ne rinvengono
frequentissime le immagini nelle scritture gerogli-
fiche e altri oggetti analoghi, che rimangonci de-
gli Egiziani antichi1.
SPECIE 2. Mormone (P. Mormon: fr. le Cho-
ras: ted. der Choras: ing. the Mantegar) – Que-
sta specie ha il naso tutto rosso del colore del mi-
nio, a meno de’ due pareti laterali che ne tendono
al color ceruleo. (Vedi Schreber. Tab. 8. A. 8. B.).
Abita segnatamente nell’ isola Ceylan: la sta-
tura può giugnerne fino all’ altezza di cinque pie-
di; l’aspetto suo riesce singolarissimo, e anzi strano
assai, a motivo appunto delle striscie di colori vi-
vacissimi che ha, tanto sul naso, quanto su i due
lati di quell’ organo medesimo.
SPECIE 3. Maimone o Mandrillo (P. Maimon:
fr. le Mandril: ted. der Mandril: ing. the Man-
dril). – Questa specie ha la sua faccia, o per
dir meglio, il suo muso glabro o senza pelo, pro-
fondamente solcato o rugoso, e di color violaceo.
(Vedi Schreber. Tab. 7).
Abita nell’ Affrica dalla Costa della Guinea in-
fino al Capo di Buona Speranza, ed ivi non di
rado riunito in torme numerose, recasi a dar il
guasto a’ vigneti, a’ giardini da frutta, agli orti ec.
[Seite 155] che saccheggia onninamente; suol essere sempre
di statura scadente in confronto del precedente.
GENERE IV. Cercopiteco. (Cercopithecus: fr.
Cercopithéque: ted. Meerkatze, e qui propria-
mente: ing. Monkey). L’orecchie esterne e le mani
ne sono meno analoghe a quelle dell’ Uomo, di
quello che accada ne’ generi precedenti; le narici
ne riescono situate lateralmente; le natiche ne so-
no sempre vestite di pelo; ma i denti poi ne sono
pure ancora simili a quelli indicati come proprii
del genere Scimmia.
Il genere intiero de’ Cercopitechi può dirsi indi-
geno delle regioni più calde dell’ America meri-
dionale, esclusivamente ad ogni altra contrada, e
in quelle serve agli Indiani comunemente di sel-
vaggina.
a). Cercopitechi muniti di coda afferrante o
aggrappantesi, che diconsi anche complessiva-
mente Sapajous.
SPECIE 1. Vecchierello. (C. Seniculus: fr.
’Alouate: ted. der rothe Brüllaffè: ing. the Alouate)
– Questa specie ha il pelo di color bruno rufo; è
barbata, ed ha tumida la gola. (Vedi Abbild. ec. Tab. 91).
Abita e frequenta in torme le immense sel-
ve della Gujana, e d’altre ivi vicine regioni,
ove al pari dell’ altra specie di Cercopiteco detta
C. Belzebul, soprattutto quando il tempo sta per
cangiare, emette un grido, o un urlo assordan-
[Seite 156] te, che è formato principalmente da una singo-
lare vescica ossea, sonora ed armonica, la quale
sta loro sulla testa della laringe tra le due gran-
dissime e forti ali laterali della loro mandibola
inferiore.
SPECIE 2. Panisco, o Coaita. (C. Paniscus: fr.
le Coaïta: ted. Coaita: ing. the Quato). – Que-
sta specie è di colore affatto nero, e ha le palme
delle mani munite soltanto di quattro dita, man-
candovi il pollice. (Vedi Schreber. Tab. 26. A. 26. B.).
Servesi dessa con somma industria della lunga
coda, curva ed afferrante ond’ è munita, per di-
versi usi1.
b). Cercopitechi muniti di coda non affer-
rante, che diconsi anche complessivamente Sa-
gouins: ted. die Sanguinchen.
SPECIE 3. Jacco. (C. Jacchus: fr. le Ouistiti:
ted. der Uistiti: ing. the Sanglin). – Questa specie è
ornata d’una chioma o criniera di pelo bianco alle
guance, dinanzi alle orecchie, e ha la coda pelosa
disegnata a macchie annulari. (Vedi Schreber. Tab. 33).
È di color bruno e di così piccola mole, che
una noce di cocco gli può servire d’abitazione o
di ricovero.
GENERE V. Lemure. (Lemur: fr. Maki: ted.
Maki: ing. Loris). Il naso ne è acuminato; i denti
incisivi ne sono superiormente quattro, distinti a
due per due, e inferiormente da quattro a sei,
sporgenti all’ infuori, compressi, quasi chi dicesse
colcati: i denti canini poi ne sono solitarii e rav-
vicinati.
SPECIE 1. Tardigrado. (L. Tardigradus: fr. le
Loris – le Maki du Bengale – le Cucang: ted.
der Loris – Cucang: ing. the Loris1). – Questa
specie è priva affatto di coda. (Vedi Schreber. Tab. 38.)
È dessa indigena principalmente dell’ isola Cey-
lan; ha la grandezza dello Scojattolo, come n’ ha
anche il colore del pelo; ha le zampe gracili, sottili
e sveltissime, ec. ed ha, del pari che la specie se-
guente, all’ indice de’ piè posteriori una sorta d’ar-
tiglio acuminato, mentre l’unghie di tutte le rima-
nenti dita ne sono affatto piatte e inette a ferire.
SPECIE 2. Mongoz. (L. Mongoz: fr. le Mon-
gous: ted. der Mongus: ing. the Mongous). – Que-
sta specie ha la faccia, o vogliam dire il muso, di
colore affatto nero, col corpo grigio al pari della
coda. (Vedi Schreber. Tab. 39. A. 39. B.).
Abita, come alcune altre specie che le sono affi-
ni, nel Madagascar e nell’ isole vicine; i piè di dietro
riescono in essa molto più lunghi che non gli an-
teriori; la pelle poi di questi animali ha un odore
suo proprio particolare, analogo a un di presso a
quello che emettono i Formichieri (Myrmeco-
phaga).
In quest’ ordine di animali Mammiferi le dita
de’ piè d’innanzi, eccettuatone soltanto il
pollice, sono più lunghi di quello che non
lo sia tutto quanto il corpo dell’ individuo,
e tra così fatte dita sta distesa una pelle fina o
una molle membrana (§. 43), col soccorso della
quale sono dessi costituiti atti a volare; con-
seguenza naturale però di tale loro partico-
lare conformazione si è, che tanto meno age-
volmente possono essi con queste loro mani
procedere sopra terra, a quel modo che ben
poco il possono le Scimmie e i Bradipi col-
le loro munite di lunghi ed uncinati un-
ghioni aggrappanti, ec.
GENERE VI. Pipistrello. (Vespertilio: fr. Chau-
vesouris: ted. Fledermaus: ing. Bat). – Tanto il
pollice delle mani, quanto tutte le dita de’ piè di
dietro, ne sono brevi assai; mentre al contrario le
quattro rimanenti dita di ciascuna mano ne sono
lunghissime, ed insieme collegate mercè d’una
membrana molle, floscia e distendibile, che serve
loro a foggia d’ali per volare.
È questo un genere molto numeroso d’animali
[Seite 160] notturni, le differenti specie del quale rinvengonsi
sparse in tutte cinque le parti del Globo nostro
terracqueo.
a). Pipistrelli aventi quattro denti incisivi,
tanto alla mascella superiore, quanto anche al-
l’ inferiore.
SPECIE 1. Spettro. (V. Spectrum: fr. le Vam-
pire: ted. der Vampyr: ing. the Spectre). – Que-
sta specie è senza coda, ed ha il naso ad un tempo
imbutiforme e lanceolato. (Vedi Abbild. ec. Tab. 31.).
Abita nell’ America meridionale. Il corpo n’è a
un dipresso della mole d’uno Scojattolo. Riesce
molto incomodo, ed anzi nocivo, in quanto che
ha per istinto di succhiare il sangue, non solo ai
più grandi ed importanti mammiferi, quali sono,
per esempio, i Bovini, i Cavalli ec., ma ben an-
che agli Uomini, alle dita de’ piedi de’ quali so-
prattutto ama esso d’attaccarsi, quando li rinviene
immersi nel sonno; e tale si è appunto il motivo,
in forza del quale questa specie meritò ed ottenne
anche effettivamente i diversi nomi, di succhiasan-
gue, suggisangue, sanguisuga, o sanguisorba.
SPECIE 2. Canino. (V. Caninus – V. Vampy-
rus di Linneo: fr. la Roussette: ted. der fliegende
Hund: ing. the Rousset). – Questa specie è an-
ch’ essa senza coda; ha semplice il naso, ed ha
divisa tra le coscie la solita membrana. (Vedi Schre-
ber. Tab. 44.).
L’individuo ne viene molto più grosso di quello
che succeda mai nella specie precedente, e anzi ad
ali spiegate, occupa uno spazio della lunghezza di
sei piedi; vive però esso unicamente delle frutta
che trova su per gli alberi, e quindi non gli può
competere in conto alcuno il nome di Vampiro,
statogli specificamente applicato dal celebre Lin-
neo. Incontrasi per torme o per legioni volanti,
tanto nell’ Indostan, quanto nell’ isole dell’ Indie
Orientali, e nelle Australi; ma frequenta poi, in
numero da non potersi esprimere, le terre della
Nuova Olanda, e può dirsi quasi l’unico mam-
male che rinvengasi alle isole Pelew.
b.) Pipistrelli aventi quattro denti incisivi
nella mascella superiore, e sei poi nell’ infe-
riore.
SPECIE 3. Orecchiuto. (V. Auritus: fr. l’Oreil-
lard: ted. die langöhrige Fledermaus: ing. the lon-
geared Bat.). – Questa specie è pur sempre man-
cante di coda, ed ha grandissime le orecchie
esterne.
Abita, com’ anche la specie susseguente, le re-
gioni più temperate dell’ antico Continente, ed è in-
digena fra noi. Non è vero in conto alcuno che siano
raddoppiate le sue orecchie, come generalmente si
crede; esse sono semplici, e solo tutte le parti ne
sono mostruosamente grandi.
SPECIE 4. Murino (V. Murinus: fr. la Chau-
[Seite 162] vesouris commune: ted. die gemeine Fledermaus
– Speckmaus: ing. the Rearmouse). – Questa
specie ha la coda; l’orecchie ne sono meno lun-
ghe di quello che siane la totalità del capo; è
dessa pure indigena fra noi, ed ha per costume,
come la specie precedente, di appendersi alle volte
delle caverne coll’ unghie uncinate de’ suoi piè di
dietro, per passarvi dormendo tutto l’inverno. In
alcune regioni si moltiplica essa talvolta in indefi-
nito numero entro brevissimo intervallo di tempo.
c.) Pipistrelli non aventi denti incisivi alla
mascella superiore.
SPECIE 5. Ferro di Cavallo. (V. Ferrum equi-
num: fr. le Fer de Cheval: ted. die Hufeisennase:
ing. the Horse-shoe Bat). – Questa specie ha
il naso conformato a foggia d’un ferro da cavallo.
(Vedi Abbildungen ec. Tab. 42.).
Abita nelle regioni meridionali, e nelle tempe-
rate della nostra Europa, ed è indigena anche
fra noi.
I mammiferi che entrano a comporre questo
ordine numerosissimo di specie, hanno le
dita libere o sciolte e distinte a cadauno
de’ quattro loro piedi. Noi per comodo ne
divideremo i generi e le specie, in ra-
gione della diversa loro dentatura nelle se-
guenti tre famiglie, vale a dire: in A. Ghiri
(Glires): B. Fiere (Ferae): e C. Bruti
(Bruta).
A. Ghiri o Rosicchiatori (scalpris dentata Jo.
Hunter); vale a dire, che hanno alcuni denti ta-
glienti, conformati e disposti in modo da rodere,
o da rosicchiar le materie onde cibarsi. Gli ani-
mali di questa famiglia sono muniti di due incisivi
taglientissimi in cadauna mandibola, destinati allo
scopo di rodere o di rosicchiare le differenti so-
stanze che debbono servir loro di cibo, e mancano
affatto di denti canini.
GENERE VII. Scojattolo. (Sciurus: fr. Ecu-
reuil: ted. Eichhorn: ing. Squirrel). La coda n’è
guernita di pelo che dirigesi in due quasi opposti
sensi, come fanno le barbe d’una penna da scri-
vere: i denti incisivi ne sono due per parte, ma
[Seite 164] gl’ inferiori ne sono subulati, o come suol dirsi
fatti a lesina.
SPECIE 1. Volante. (S. Volans: fr. le Polatou-
che: ted. das fliegende Einhornchen: ing. the flying-
squirrel). – Questa specie ha la cute raddoppia-
ta lateralmente, cominciando da’ piedi anteriori,
fino a’ piè posteriori. (Vedi Abbild. ec. Tab. 71.).
Abita particolarmente in Livonia, nella Russia
e nella Siberia; la pelle n’è del colore conosciuto
sotto il nome di Petit-gris, o più propriamente di
vaio, ch’ è pure il nome d’ato da’ pellicciai alla
pelle d’una varietà dello Scojattolo volgare. Quella
pelle floscia e raddoppiata, che gli pende da am-
bedue i lati tra le estremità anteriori e le poste-
riori, gli serve, non già d’ali, ma diremo piuttosto
a foggia di paracadute, o di strumento atto a so-
stenere più lungo tempo l’individuo in aria, e a
prolungarne in una determinata direzione, il salto
ch’ ei s’attenta di far d’alto in basso.
SPECIE 2. Volgare. (S. Vulgaris: fr. l’Écu-
reuil commun: ted. das Einhornchen: ing. the
Squirrel). – Questa specie ha lungo molto il pelo
all’ estremità delle sue orecchie esterne, quasi a
foggia di barba, ed ha il pelo della coda del co-
lore medesimo che ne ha il pelo del dorso. (Von
Wildungen Taschenbuch für d. Jahr. 1808.).
Abita in tutta quanta l’Europa, e quasi anche
in tutta l’Asia, ma nell’ estremo Nord, e segnata-
[Seite 165] mente lunghesso le sponde dell’ Oby e del Lago
Baikal, durante la stagione invernale, diventa gri-
gio e fornisce all’ arte del Pellicciaio quell’ ap-
prezzato vaio, che con nome francese, chiamiamo
noi pure volgarmente Petit-gris. Nella Germania
settentrionale rinvengonsi talora simili Scoiattoli
di colore al tutto nero, come, sebbene più di ra-
do, se ne trovano anche alcuni di colore bianco
quanto la neve, i quali hanno poi gli occhi color
di rosa, e ancora più di rado altri macchiati ad
un tempo di bianco e di nero; del resto è desso
indigeno anche fra noi.
Lo Scoiattolo grigio di cenere della Virginia,
(S. Cinereus – le Petit-gris di Buffon), è più
grande del volgare, del quale qui ora ragionammo,
e non ha come questo, barbate l’estremità delle
orecchie; ma fa grandissimo danno soprattutto ai
campi coltivati a Maiz.
GENERE VIII. Ghiro. (Glis – Myoxus: fr. Loir:
ted. Bilch: ing. Rellmouse). La coda ne è terete o
rotonda, più grossa verso l’estremità che non sul
principio, e i denti ne sono conformati appunto
come nei precedenti Scojattoli.
SPECIE 1. Esculento. (G. Esculentus: fr. le
Loir: ted. der Siebenschläfer – Ratz – Bilch –
die Rellmaus: ing. the Rellmouse). – Questa spe-
cie ha il pelo in generale di color grigio, ma però
bianchiccio sul ventre, ed ha le orecchie roton-
date e nude o senza pelo. (Vedi Schreber. Tab. 225).
Abita, com’ anche la specie susseguente, le re-
gioni più temperate dell’ antico Continente, ed è
realmente quel medesimo Glis che mangiavano i
nostri Antenati1, e che solevano, appunto a tale
effetto, ingrassare negli appositi loro Glirarii2. Pre-
ferisce questo mammale, indigeno anche fra noi,
di vivere ne’ boschi di quercie, di roveri e di
faggi; appiattasi nelle cavità di tali alberi, e dorme
durante tutta la stagione invernale, immerso in un
profondo sonno letargico, che protrae assai lunga-
mente.
SPECIE 2. Avellanario. (G. Avellanarius: fr. le
Muscardin: ted. die kleine Haselmaus: ing. the
Dormouse). – Questa specie ha il pelo di color
bruno rufo; ha il pollice de’ piè di dietro senza
unghia, ed ha rotondate anch’ essa le orecchie
esterne. (Vedi Schreber. Tab. 227.).
Ha il corpo di mole minore che il nostro sorcio
domestico o topo comune (Mus musculus), e suole
prepararsi, onde dormirvi poi per entro rannicchia-
to il suo letargico sonno invernale, una maniera
di ricovero a bastanza resistente, in forma di palla
globosa, fatto in gran parte di fogliette di pino, di
abete o simili, con altri minuti residui legnosi di
sostanze vegetabili.
GENERE IX. Topo (Mus: fr. Rat: ted. Maus:
[Seite 167] ing. Mouse). La coda ne è sempre gracile, sottile
e quasi denudata di pelo, e i denti ne sono affatto
simili a quelli de’ Ghiri e degli Scoiattoli. – Ma-
lamente ne tenghiamo Ratto e Sorcio, come si-
nonimi.
SPECIE 1. Economo. (M. Oeconomus: fr. le Rat
de Sibérie – le Rat économe: ted. die Wurzel-
maus: ing. the economie Mouse). – Questa specie
ha la coda della lunghezza a un dipresso d’un
pollice e mezzo; ha l’orecchie esterne, nude bensì,
ma nascoste tra mezzo a un pelo lungo, morbido,
soffice e finissimo; ha i piè d’innanzi guerniti di
quattro dita distinte, e il corpo di color bruno fo-
sco o scuro. (Vedi Schreber. Tab. 190).
Abita in tutta quanta la Siberia fino inclusiva-
mente al Kamtschatka. Ha per costume naturale
d’intraprendere, soprattutto da quest’ ultimo paese,
vistosissime migrazioni in certe annate ad altre
molto distanti regioni, quasi diremmo, come suol
fare il Topo lemmo (Mus lemmus); ma ciò che in
questo piccolo animale rendesi ancora più oggetto
di maraviglia, si è quell’ industria naturale mercè
di cui esso fa le sue provvigioni per l’inverno, tra-
scinando una grande quantità di radiche, per lo
più eduli anche per noi, ne’ proprii sotterranei
ricoveri o ripostigli; per lo che poi i Tongusi
ed altre vicine genti, ne vanno in traccia con molta
attenzione, come fanno gli abitanti della Turingia
[Seite 168] pe’ magazzini de’ loro Hamsters (Marmota cri-
cetus), per riportarne alle loro case l’accumulato
bottino.
SPECIE 2. Selvatico. (M. Sylvaticus: fr. le Mu-
lot: ted. die Waldmaus – grosse Feldmaus: ing.
the Fieldr). – Questa specie ha la coda mez-
zanamente lunga, il petto di colore volgente al
gialliccio, e la pancia bianchiccia1. (Vedi Schreber.
Tab. 180).
È indigena anche fra noi, e reca gravi danni,
tanto a’ prodotti delle campagne, quanto alle no-
velle piantagioni d’alberi ec.
SPECIE 3. Anfibio. (M. Amphibius: fr. le Rat
d’eau: ted. die Vasserratte – der Erdwolf: ing. the
Waterrat.). – Questa specie ha la coda lunga
quanto può esserne la metà del suo corpo: ha le
orecchie che spuntano appena fuori del pelo fino
e morbido che ne nasconde l’inserzione, ed ha i
piedi anteriori che possono dirsi quasi forniti ca-
dauno di quattro dita distinte (Vedi Schreber. Tab. 186).
Abita in quasi tutte quante le regioni setten-
trionali, e nuoce moltissimo soprattutto a’ giardi-
naggi, e più che ad altro alle radiche eduli, e alle
radici delle piante arboree2; dessa è indigena anche
fra noi.
SPECIE 4. Arvale, o Topo campagnolo (M. Ar-
valis: fr. le Campagnol: ted. die Feldmaus – Stoss-
maus: ing. the Fieldmouse). – Questa specie ha
la coda mezzanamente lunga, la schiena coperta
d’un pelo del color grigio di ferro, e la pancia di
color grigio cenerognolo. (Vedi Schreber. Tab. 191).
È indigena anche fra noi, e moltiplicasi in certe
annate spropositatamente, inferendo danni gravis-
simi soprattutto alle seminagioni che si fanno du-
rante l’autunno; il migliore e il più avverato me-
todo, che si possa adottare per liberarsene, consiste
nel far uso della Trivella, o del così detto Fo-
raterra inglese. Anche in questa specie, come in
quella che segue immediatamente qui sotto, ac-
cade a quando a quando di rinvenire individui
degenerati o degradati, alla maniera degli Albinos
nella specie umana, de’ così detti Chacrelas, o Ka-
ckerlacken ec.
SPECIE 5. Musculo o anche Sorcio, vulgo, seb-
bene troppo impropriamente, dovendosi riserbar
questo secondo nome assai più acconciamente per
indicare il genere Sorex. (M. Musculus: fr. la Sou-
ris: ted. die Hausmaus: ing. the Mouse). – Que-
sta specie ha la coda piuttosto lunga e i piò d’in-
[Seite 170] nanzi muniti cadauno di quattro dita distinte, col
pollice mancante d’unghia.
Indigena e comunissima anche fra noi, abita non
solo in tutta quanta l’Europa, ma in tutte le
regioni temperate dell’ Asia e dell’ America. Si è
dessa intrusa nelle abitazioni degli uomini in forma
quasi d’animale domestico. – Dannosi non di
rado fra i Topi di questa specie individui degene-
rati col pelo bianco affatto, e cogli occhi rossi
color di fuoco, veri Albinos anch’ essi o Chacrelas,
i quali abborrono a segno tale la luce, che di pieno
giorno tengono sempre chiuse le palpebre, sicchè
di leggieri si reputerebbono affatto ciechi.
SPECIE 6. Ratto. (M. Rattus: fr. le Rat: ted. die
Ratte: ing. the Rat). – Questa specie, ha essa pure
la coda bislunga, e i piè d’innanzi muniti cadauno
di quattro dita distinte, ma col pollice armato
anch’ esso d’una picciola unghia.
Indigena e troppo comune anche fra noi, si
può dire ch’ essa siasi diffusa oggimai in tutte
le cinque parti del Globo terracqueo sebbene
sembri originaria principalmente delle regioni in-
termedie della nostra Europa1. È dessa voracis-
sima, e mangia perfino gli Scorpioni senza ri-
[Seite 171] sentirne alcun nocumento; intrusasi di per sè
presso la specie umana, ne saccheggia le provvi-
gioni di vettovaglie. I canopi, ossiano i lavoratori
delle miniere, lo rinvengono nei più profondi loro
scavi, come i navigatori hannolo persecutore co-
stante ne’ loro vascelli; nè fra i danni gravissimi,
ond’ è cagione questo effettivo pubblico e dome-
stico flagello, è già da tacersi il guasto che suol
dare nell’ Indie Occidentali alle piantagioni di
canne da zucchero.
Da molti luoghi questa specie viene a poco a poco
espulsa e surrogata da un altro Topo o Ratto, ori-
ginariamente indigeno dell’ Indie Orientali e della
Persia, vale a dire dal Topo decumano (M. de-
cumanus: fr. le Surmulot: ted. die Wanderratte:
ing. the Norway Rat), il quale è di colore grigio
rossiccio, ed ha il pelo disseminato come di fre-
quenti setole irte ed isolate.
SPECIE 7. Lemmo. (M. Lemmus: fr. le Lemming:
ted. der Lemming: ing. the Lappland marmot). –
Questa specie ha la testa acuminata, la coda corta
assai, e il corpo coperto d’una pelliccia screziata
a macchie irregolarmente disposte di nero, e di
fulvo. (Vedi Schreber. Tab. 195 A. 195. B.).
È dessa frequentissima, tanto in Lapponia, quanto
[Seite 172] in tutta la Siberia, d’onde a quando a quando ne
emigrano di paese in paese intiere legioni numero-
sissime, le quali, siccome ove giungono, giungono
sempre alla sprovveduta, e senza che si sappia
positivamente da dove provengono, combinandosi
il caso non improbabile che alcun individuo, pre-
so e portato per aria da qualche uccello da preda,
giunga a liberarsene e cada a terra tra mezzo agli
altri, possono benissimo aver dato luogo all’ an-
ticamente invalsa favola, che colà piovano talora
Lemmi.
SPECIE 8. Tiflo. (M. Typhlus: fr. le Zemni:
ted. die Blindmaus – Slepz: ing. the Blindmolerat).
– Questa specie è sprovveduta affatto di coda;
ha i piè d’innanzi muniti cadauno di cinque dita
distinte; ha i denti incisivi, tanto della mandibola
superiore, quanto della inferiore, allargati, e non
ha manifeste, nè le aperture delle palpebre, nè
le orecchie esterne. (Vedi Schreber. Tab. 206).
Abita specialmente nelle regioni meridionali del-
l’impero Russo; vive la massima parte del tempo
sotterra, e sebbene gli individui ne abbiano pic-
ciolissimi, ma però manifesti, i bulbi degli occhi,
pure non sembrando che abbiano apertura al-
cuna nelle palpebre corrispondenti alle pupille di
que’ bulbi medesimi, dovrebbero essere ciechi del
tutto.
GENERE X. Marmotta. (Marmota – Arcto-
[Seite 173] mys: fr. Marmotte: ted. Murmelthier: ing. Mar-
mot). Le orecchie esterne ne sono accorciate,
come n’è pure corta la coda, quando non man-
ca affatto, lo che alcune volte succede; la den-
tatura poi n’è conformata precisamente come si
è detto nel genere precedente.
SPECIE 1. Alpina. (M. Alpina: fr. la Marmot-
te: ted. das Murmelthier – Murmont ne’ Grigioni,
manifestamente dal latino Mus montium, Mus mon-
tanus: ing. the Marmot). – Questa specie ha il
corpo depresso, superiormente di color fosco, e
inferiormente di colore gialliccio. (Vedi von Wildungen
Taschenbuch für das Jahr 1812).
Abita in molte dell’ Alpi più elevate, così del-
l’ Europa, come dell’ Asia. Merita d’essere rife-
rita l’osservazione fattasi, e a bastanza bene con-
statata, che nella così detta Allée blanche nell’ Alpi
della Savoja, rinvengonsi talora individui di questa
specie sopra scogli, o punte isolate di roccia, che
a foggia d’isolette sporgon fuori di quel mare di
ghiaccio, distanti per qualche ora di cammino da
ogni terra non coperta di ghiaccio, e che non ri-
mangono libere dalle nevi, se non pel corso di sole
sei settimane in tutta l’annata; mentre sembra che
da ciò possa, con ottimi fondamenti di ragione, in-
ferirsi che il letargo o sonno invernale, almeno in
que’ tali individui, debba protrarsi a dieci intieri
mesi continui; di modo che brevissimo viene ad
[Seite 174] essere l’intervallo di loro vita, ch’ essi passano senza
dormire.
SPECIE 2. Citello. (M. Citellus – Mus Ponti-
cus: fr. la Marmotte Pontique: ted. das Erdzeiselchen
– Suslick: ing. the Pontic Marmot). – Questa
specie ha picciolissime le orecchie esterne, la coda
pelosa, e il corpo screziato a più colori. (Vedi Schre-
ber. Tab. 211).
È frequentissima in Ungheria, in Polonia ed in
Siberia; è della grossezza di un Criceto od Ham-
ster (Marmota cricetus), al quale somiglia anche
a riguardo delle tasche, ond’ è essa pure fornita
alle guance.
SPECIE 3. Criceto. (M. Cricetus: fr. le Hamster:
ted. der Hamster – Kornferkel: ing. the Hamster).
– Questa specie ha la pancia coperta di pelo nero.
(Vedi F.G. Sulzer’s Natur Geschichte des Hamsters. Stam-
pato a Gottinga nel 1774 in 8.° Tav. 1. e Tav. 2).
Rinviensi qua e là in Germania, in Polonia, in
Siberia, ed anche altrove. Vive soprattutto di gra-
naglia, di legumi e simili, delle quali cose suol
fare vistosissime provvigioni, riempiendone le due
tasche o bisaccie, ond’ ogni individuo è naturalmen-
te fornito presso alle guance, e che recasi poscia a
vuotare nei sotterraneo suo covile o ripostiglio,
al quale dà talvolta perfino una profondità di sette
piedi. Un solo di questi suoi sotterranei ricoveri
racchiude non di rado fino a 60 libbre ed anche
[Seite 175] più di così fatti generi depredati. Questa specie è
anche suscettibile di moltiplicarsi smodatamente,
a segno tale che, non sono ancora molti anni,
soltanto ne’ campi che stanno dintorno alla città
di Gotha, durante il corso d’una state, se ne am-
mazzarono da 90000 capi. Havvene una varietà che
è tutta nera, e rinvengonsene anche talora individui
degenerati, bianchi affatto, e colle pupille rosse,
che ne sono i così detti Chacrelas, corrispondenti
agli Albinos della specie umana.
GENERE XI. Irace. (Hyrax – Daman: fr. Da-
man: ted. Daman: ing. Daman). – I denti in-
cisivi superiori ne sono in numero di due, distan-
ti l’un dall’ altro; gl’ inferiori ne sono invece quat-
tro, tra di loro contigui; i piè d’innanzi ne sono
muniti di quattro dita distinte, mentre que’ di
dietro non n’ hanno che sole tre; la coda manca
qui del tutto.
SPECIE 1. Capese. (H. Capensis: fr. le Daman
– la Marmotte da Cap – la Blaireau des roches –
l’Aschkoko: ted. der Klipdas: ing. the Aschkoko).
– Questa specie ha appianate le unghie dei piè
d’innanzi, e non ne ha se non una sola, subulata
o lesiniforme, a’ pièdi dietro (Vedi Schreber. Tab. 240).
Abita al Capo di Buona Speranza, e forse an-
che altrove nell’ Affrica; suol essere della gros-
sezza d’una Marmotta (Marmota alpina); na-
scondesi anch’ essa, appunto come la Marmotta,
[Seite 176] nelle cavità delle rocce. La giusta classificazione
di questo mammale non può non riuscirne difficile
assai, tanto in ragione della anomala conformazio-
ne che gli è propria, quanto a motivo della sua
dentatura e della forma de’ suoi piedi.
GENERE XII. Savia. (Savia – olim Cavia: fr. Co-
baie: ted. Halbkaninchen: ing. Guinea-pig). –
Le orecchie esterne ne sono rotondate, picciole;
la coda o manca del tutto, o è brevissima, e i denti
incisivi ne sono due, tanto sopra, quanto sotto. –
Questo genere è tutto quanto indigeno esclusiva-
mente delle più calde regioni dell’ America meri-
dionale, e soprattutto del Brasile.
SPECIE 1. Porcelletto. (S. Porcellus – Cobaya:
fr. le Cochon d’Indie – Cobaie – Anoema: ted.
das Meerschweinchen: ing. the Guinea-pig). –
Questa specie manca affatto di coda, ed ha il cor-
po coperto di pelo variegato a macchie di più co-
lori1. (Vedi Schreber. Tab. 173).
Essa prospera benissimo e si moltiplica anche
nella nostra Europa; è forse la più feconda di
tutte le specie di mammiferi; è suscettibile di va-
riare assai quanto al colore del pelo, sempre corto
e lucente, duretto e disteso. Havvi opinione che
oggimai non rinvengasi più allo stato selvaggio.
SPECIE 2. Aguti. (S. Aguti – Piculi: fr. l’A-
[Seite 177] gouti: ted. das Ferkelkaninchen: ing. the Agouti).
– Questa specie porta la coda; ha tutto il corpo
di color rufo fosco, a meno del ventre che ne in-
clina alcun poco al gialliccio. (Vedi Ménagerie du Mu-
séum National. L.V. Tab. 3).
Riesce di mole alquanto maggiore del Porcel-
letto qui sopra.
GENERE XIII. Lepre. (Lepus: fr. Liévre: ted. Ha-
se: ing. Hare) – I denti incisivi ne sono due, tanto
sopra, quanto sotto, se non che i superiori ne sono
raddoppiati.
SPECIE 1. Timido. (L. Timidus: fr. le Liévre:
ted. der Hase: ing. the Hare). – Questa specie
ha nera la sommità delle orecchie esterne, le quali
sono più lunghe assai del corpo, che pure n’è
lunghetto, e anche de’ piè di dietro, i quali ne so-
no più lunghi che nol siano gli anteriori. (Vedi von
Wildungen Taschenbuch für das Jahr 1798).
Indigena tra noi, abita quasi in tutto quanto
l’antico Continente, e rinviensi ancora nell’ Ame-
rica settentrionale; ha peli fino sotto la pianta
de’ piedi, e qualche volta fin nella bocca. Questa
specie, non altrimenti che la susseguente, sembra-
no in qualche modo ruminare il loro cibo. (Vedi
Mosè Lib. III, cap. X.V. 5. e seg.).
È degna d’essere qui avvertita la strana favola,
dataci pure per vera da molli espertissimi Natu-
ralisti, che siansi trovati non molto di rado, in
[Seite 178] regioni distantissime l’una dall’ altra, e in diversi
tempi, Lepri cornuti o portanti sulla fronte pic-
cioli palchi, analoghi a que’ che sogliono portare i
Cavriuoli1.
Il così detto Lepre di Montagna (Lepus varia-
bilis: fr. le Liévre de montagne: ted. der Berghase),
che rinviensi effettivamente talora nelle regioni
Alpine ed anche ne’ paesi più settentrionali, dif-
ferisce manifestamente dal nostro Lepre comune,
non solo per il bianco suo colore, ma perfino a ri-
guardo della speciale sua conformazione, mentre
ha più grosso e pesante il capo, più brevi le orec-
chie, e più corta anche la coda, e aggiungasi, più
lunghe le estremità posteriori, colle zampe o piote
assai più allargate; oltre di che poi, non sembra
succeder mai che le due specie s’accoppiino in-
sieme con frutto. Nell’ ultimo Settentrione, come
a dire per cagion d’esempio, nel Groenland, incon-
transi così fatte Lepri quasi pel corso di tutto
l’anno; ma nell’ Alpi Tirolesi, come in quelle della
Svizzera, non riscontransi Lepri bianche, se non
qualche volta nel più fitto inverno2.
SPECIE 2. Coniglio. (L. Cuniculus: fr. le Lapin:
[Seite 179] ted. das Kaninchen: ing. the Rabbit). – Questa
specie ha nude l’orecchie esterne, più brevi che
non lo siano il corpo e i piè posteriori. (Vedi von
Wildungen Taschenbuch für das Jahr 1799).
È originaria de’ climi più caldi dell’ antico Con-
tinente, ma si è poscia diffusa anche alle regioni
alquanto più settentrionali, e si è resa indigena
eziandio tra di noi.
Tanta ne suol essere la fecondità, che questi Co-
nigli divengono perfino un flagello pubblico effetti-
vo per tutto quanto un paese di cui s’impadroni-
scano. Così accadde per esempio circa l’anno 1736
all’ isola di s. Pietro presso alla Sardegna1; e così
avvenne, al dire di Plinio, in tempi più rimoti nel-
l’ isole Baleari2. Incontransi essi talora copiosa-
mente moltiplicati anche in regioni disabitate e
affatto deserte, come per cagion d’esempio nel-
l’ isola di Vulcano, una della inospiti isole di Li-
pari. I Conigli salvatici sono di color grigio, e i
bianchi cogli occhi rossi sono da riputarsi quali
individui degenerati o Chacrelas, corrispondenti
agli Albinos della specie umana.
Anche que’ Conigli d’Angora, che contraddi-
stinguonsi talora col nome di Lepri inglesi a pelo
di seta (ted. englische Seidenhasen), e che han-
[Seite 180] no effettivamente il pelo lungo, soffice, morbido,
lucente e rammentante la seta, de’ quali femmo
menzione all’ Annotazione II. del §. 16, sonosi
adattati a questi nostri climi, ove propagansi e
riescono benissimo.
GENERE XIV. Jaculo. (Jaculus – Dipus: fr.
Gerboise: ted. Springhase: ing. Jerboa). I piè d’in-
nanzi ne sono cortissimi, in confronto con quei
di dietro, che ne sono assai più lunghi, e la coda
portante un fiocco di peli all’ estremità, n’è con-
formata in modo da servirgli molto utilmente nello
slanciare il salto; ha poi due denti incisivi, tanto
alla mandibola superiore, quanto anche all’ infe-
riore.
SPECIE 1. Gerboa. (I. Jerboa: fr. la Gerboise
– le Liévre sauteur: ted. der Springhase – Erd-
hase – die Springmaus – Zweybeinige Bergmaus:
ing. the Jerboa). – Questa specie porta tre dita
distinte a’ piè d’innanzi, e quattro invece a’ piè
di dietro. (Vedi Schreber. Tab. 228).
È indigena particolarmente dell’ Affrica setten-
trionale, dell’ Arabia, e d’altri paesi così fatti;
gl’ individui scavansi ricoveri o cunicoli sotterra,
e slanciano salti all’ altezza di sette ed anche di otto
piedi, colla medesima leggerezza con cui sogliono
saltare le così dette nostre Cavallette o i Grilli
(Gryllus migratorius – viridissimus, ec.).
GENERE XV. Istrice. (Hystrix: fr. Porc-épic:
[Seite 181] ted. Stachelschwein: ing. the Porcupine). – Il corpo
n’è coperto di spine o d’aculei, ed ha due denti
incisivi, così sopra, come sotto.
SPECIE 1. Crestato. (H. cristata: fr. le Porc-épic
commun: ted. das gemeine Stachelschwein: ing.
the crested Porcupine). – Questa specie ha lun-
ghissimi gli aculei, o le spine ond’ è rivestito, porta
una specie di cresta sul capo, ed ha la coda corta
assai. (Vedi. Abbild. ec. Tab. 81).
È originaria de’ climi più caldi dell’ Asia, e rin-
viensi in quasi tutta quanta l’Affrica; cibasi so-
prattutto di corteccie arboree, e si nasconde in covili
che scavasi sotterra. Quand’ un individuo di que-
sta specie è irritato e istizzito, fa un certo rumore
che gli è proprio, e che deriva dallo sfregamento,
e dalla percussione de’ suoi aculei gli uni contro
gli altri, i quali cadongli talora segnatamente nel-
l’ Autunno; ma non è vero per niente ch’ esso ab-
bia mai il potere di lanciarli volontariamente con-
tro chi lo insegue o perseguita1.
SPECIE 2. Dorsato. (H. dorsata: fr. l’Urson:
ted. der Urson: ing. the Canadian Porcupine) –
Quest’ altra specie ha non solo brevissimi gli aculei,
[Seite 182] ond’ è armata su tutta la superficie pelosa del cor-
po, ma li tiene anche nascosti tramezzo al pelo.
(Vedi Schreber. Tab. 169).
Abita nel Canada, sulla Costa di Labrador, lun-
ghesso le spiaggie della Baja di Hudson, e in
que’ dintorni, nuocendo sempre, e da per tutto gra-
vemente, alle novelle piantagioni d’alberi.
B. Fiere-Digitati, Fissipedi Carnivori. (Ferae).
Gl’ individui componenti le Specie e i Generi
racchiusi in questa famiglia, hanno sempre acu-
minati, o serrati a foggia di sega, i denti incisivi;
il più delle volte non hanno se non un solo dente
canino per parte, ma questo poi in generale molto
grande e fortissimo. Vi si riferiscono tutti i pro-
priamente detti quadrupedi rapaci, o le bestie da
preda, ed alcuni altri generi, che con quelli hanno
analoga la disposizione e la forma della denta-
tura.
GENERE XVI. Erinaceo. (Erinaceus: fr. Héris-
son: ted. Igel: ing. Hedge-hog). – Il corpo n’è an-
che qui coperto d’aculei, o di spine; e quanto ai
denti, sei ne sono per ogni mascella gli incisivi1, tre
[Seite 183] i canini superiori, un solo canino inferiore, e quat-
tro i molari.
SPECIE 1. Europeo o Porco riccio. (Erinaceus
Europaeus: fr. le Hérisson: ted. der Igel: ing. the
Hedge-hog). – Questa specie ha le orecchie ester-
ne, quasi direbbesi, rotondate, e ha le due narici
in certo modo crestate1.
Indigena fra di noi, lo è del pari in quasi tutto
quanto l’antico Continente. È desso un animale
notturno, cui servono indistintamente di cibo, pro-
duzioni tratte, tanto dall’ uno, quanto dall’ altro, dei
due regni organizzati, che miagola a un dipresso co-
me fanno i Gatti, e ch’ è capace di mangiarsi, senza
risentirne alcun nocumento, una grande quantità di
Cantaridi. È da ritenersi come cosa posta oggimai
fuori di dubbio, che questo animale ha per costu-
me d’infilzare negli aculei, ond’ ha armata la
schiena, i frutti che rapisce per recarseli poi così
nel proprio covile. Gli antichi aveano già cono-
sciuto questo fatto, del quale alcuni moderni Na-
turalisti vollero poi senza sufficiente fondamento
dubitare, mentre me ne assicurarono positivamente
[Seite 184] fino a tre testimonii oculari d’ogni eccezione mag-
giori1.
GENERE XVII. Sorice, o meglio ancora Sorcio,
(Sorex: fr. Musaraigne: ted. Spitzmaus: ing.
Shrew). – Il naso ne è rostrato, o conformato a
foggia d’un becco d’uccello; le orecchie esterne ne
sono assai brevi; in numero di sei2 ne sono gl’ in-
cisivi della mascella superiore, cadauno de’ quali
è bifido, mentre quelli della mascella inferiore ne
sono da due a quattro, cogli intermediarii più brevi
degli altri; i canini poi ne sono parecchi, tanto so-
pra quanto sotto.
SPECIE 1. Araneo. (S. Araneus: fr. la Musarai-
gne – la Musette: ted. die Spitzmaus: ing. the
Shrew). – Questa specie ha la coda di mezzana
lunghezza, e la pancia di color bianchiccio. (Vedi
Schreber. Tab. 160).
Indigena fra noi, abita soprattutto in Europa, ma
trovasi anche nelle regioni settentrionali dell’Asia.
Non è assolutamente vero che gli animali di que-
sta specie siano velenosi, come non è vero tampoco
ch’ essi abbiano per costume di ficcarsi nella pan-
cia de’ Cavalli. Talvolta, ma però di rado, se ne
[Seite 185] rinvengono alcuni macchiati, come alcuni altri
accade di trovarne affatto bianchi.
SPECIE 2. Fodiente. (S. Fodiens: fr. la Musa-
raigne d’eau: ted. die Wasserspitzmaus: ing. the
Watershrew). – Quest’ altra specie ha la pancia di
color grigio di cenere, e le dita cigliate. (Vedi Ab-
bild. ec. Tab. 72).
Frequenta anche tra di noi gli stagni e l’acque
correnti. Invece della solita membrana natatoria,
o di quel raddoppiamento di pelle che collega in-
sieme a pro della natazione le dita degli animali
soliti a frequentare le acque, i Sorici di questa
specie hanno le loro dita lateralmente guernite di
peluzzi, a foggia appunto di ciglia, che ne rendo-
no i piedi o le zampe atte a servir come di remi.
Hanno poi essi ancora un’ altra particolarità, che
consiste nel poter chiudere a piacere, mercè d’una
specie di valvola, i loro meati uditivi esterni, ser-
bandoli chiusi finchè rimangono sott’ acqua.
SPECIE 3. Esile. (S. Exilis: fr. la Musaraigne
du Jenissea: ted. die kleine Spitzmaus: ing. the
Pygmyshrew). – Questa terza specie è piccolis-
sima sempre, ed ha la coda terete, in proporzione
della mole dell’ animale assai grossa e spessa.
Frequenta segnatamente le sponde del Jenissea
e dell’ Oby; è la specie più picciola di mammiferi
che si conosca infino ad ora; a tale che non suol
pesare più di due dramme.
GENERE XVIII. Talpa. (Talpa: fr. Taupe: ted.
Maulwurf: ing. Mole). La testa n’è rostrata o con-
formata quasi a guisa del becco d’un uccello; i
piè d’innanzi ne sono atti a scavar la terra; e
quanto alla dentatura, gl’ incisivi ne sono sei nella
mascella superiore, ed otto nella inferiore, con
un canino maggiore degli altri quattro.
SPECIE 1. Europea. (T. Europaea: fr. la Tau-
pe: ted. der Maulwurf – die Schermaus: ing. the
Mole). – Questa specie ha la coda molto breve,
e non ha manifeste l’orecchie esteriori. Indigena
e anzi comunissima fra di noi, abita indistinta-
mente quasi tutto quanto l’antico Continente.
Gli animali di questa specie possono dirsi real-
mente destinati dalla Natura a menare sotterra la
massima parte della loro vita, di che, oltre all’ in-
tiero complesso della loro struttura, fa fede soprat-
tutto la speciale conformazione delle loro zam-
pette o piote a foggia di pala, e quindi adattatis-
sime a scavare il terreno. Gli occhi loro sono estre-
mamente piccioli; nuotano dessi a maraviglia, e
ne’ casi d’inondazione arrampicansi tosto su per
gli alberi. Rinviensi talora ne’ dintorni di Gottinga
una varietà di queste così fatte Talpe, avente il
pelo del color gialliccio che è proprio de’ piselli.
SPECIE 2. Versicolore, o Cangiante. (T. Versi-
color – Aurata: fr. la Taupe dorée: ted. der ver-
goldene Maulwurf: ing. the gold Mole). – Que-
[Seite 187] sta specie è affatto sprovveduta di coda, ed ha
i piè d’innanzi portanti tre sole dita. (Vedi Vos-
maer’s Monographia 1787).
È indigena unicamente del Capo di Buona Spe-
ranza, e quindi non vi può esser ragione che ci
abiliti (giusta Linneo) a denominarla Asiatica. La
sua pelliccia brilla, segnatamente quando è bagna-
ta, d’un bel color giallo d’oro splendente.
GENERE XIX. Didelfo (Didelphus: fr. Didelphe).
La maggior parte de’ mammiferi racchiusi in
questo genere suol avere sprovveduto d’unghia il
dito maggiore de’ due piè di dietro (plerisque hal-
lux muticus); e le loro femmine portano all’ abdo-
mine una specie di folliculo, di tasca naturale o di
borsa, entro cui stanno riparate le loro mam-
melle.
Anche in questo genere, in cui comprendesi un
numero assai vistoso di specie del tutto affini l’una
all’ altra pel complesso de’ loro caratteri speci-
fici, la dentatura è soggetta a variare a segno, che
volendo attenerci strettamente a’ precetti del Lin-
neano sistema, molte di quelle specie medesime
sarebbero da riguardarsi come altrettanti generi
essenzialmente l’uno dall’ altro diversi e distinti.
SPECIE 1. Marsupiale. (D. Marsupialis: fr. le
Sarigue – l’Opossum: ted. das Beutelthier – Opos-
sum: ing. the Opossum). – Questa specie è di co-
lor bianchiccio, coll’ orecchie esterne, colle avan-
[Seite 188] braccia e colle tibie di color nero, e colla coda
vestita di scaglie o squamosa, lunga quanto può
esserlo tutto il corpo dell’ animale. Quanto poi
alla dentatura, vi si rinvengono dieci denti inci-
sivi spettanti alla mascella superiore, e alla infe-
riore otto soli, co’ denti canini allungati. (Vedi Ab-
bild. etc. Tab. 54).
È dessa indigena particolarmente delle regioni
più calde dell’ America settentrionale1. Le fem-
mine, tanto di questa specie, quant’ anche d’alcune
altre del genere Didelfo, portano alla regione del
ventre una grande tasca naturale, che possono a
piacer loro aprire e chiudere mercè di alcuni ap-
positi muscoli, e in fondo alla quale stanno riparate
le loro zinne. I loro piccini, quando nascono, rie-
scono così sproporzionatamente piccioli, che quasi
piglierebbonsi per parti immaturi o per meri abor-
ti, se non che poi la madre li porta e trattiene per
così lungo spazio di tempo in questa sua tasca ove
pigliano il latte, che quando n’escono, quasi una
seconda volta partoriti, sono già assai più grandi,
e ingagliarditi a dovere.
SPECIE 2. Gigantesco o Kanguroo. (D. Gigan-
tea: fr. le Kanguroo: ted. das Kängaruh: ing. the
[Seite 189] Kanguruh). – Questa specie ha il pelo in ge-
nerale di color grigio, la coda lunga e grossa,
brevissimi i piè d’innanzi, e in confronto lunghis-
sime le zampe posteriori, i primi muniti cadauno
di cinque dita distinte, mentre i piè di dietro non
n’hanno che quasi a stento quattro; i denti incisivi
ne sono in numero di sei nella mandibola superio-
re, e nell’ inferiore non se ne contano che due soli;
i canini poi mancano affatto. (Vedi Hawkesworth,
T. III a pag. 157).
È indigena esclusivamente della Nuova Olanda.
Il colore grigio del suo pelo rammenta, più che
altro, quello che suol essere proprio de’ nostri Topi.
Ogni individuo adulto, quando sta ritto, è benissi-
mo dell’ altezza ordinaria d’un Uomo, e può pesare
a un dipresso 140 libbre, ed anche più. I Kan-
guroo sogliono vivere in società, o per dir me-
glio in mandre, ciascuna di 50 o più individui;
sono puramente erbivori; possono slanciarsi di
salto alla distanza d’oltre dodici piedi a un tratto,
ajutandosi a tale effetto colla robustissima loro
coda, colla quale s’appoggiano anche per star-
sene su ritti, e di cui fanno pure uso abilissima-
mente come d’un arme atta, non solo a difender
sè stessi, ma eziandio a nuocere talvolta assai a
chi li aggradisse. Ogni femmina di questa specie
mette giù ad ogni suo parto un figlio solo, che
appena nato suol superar ben di poco il volume
[Seite 190] d’uno de’ nostri Topi domestici (Mus musculus),
ma che poi tosto la madre colloca attentamente
nella sua tasca abdominale, per portarvelo nove
mesi continui, trascorso il quale lungo periodo
di tempo, n’esce alla perfine pesante anche oltre
a quattordici libbre.
SPECIE 3. Wombat. (D. Wombat – Phascola-
mys: fr. le Wombat: ted. das Wombat: ing. the
Wombat). – Questa terza specie è quasi di co-
lore affatto fosco, ed ha cortissima la coda. I denti
incisivi ne sono in numero di due, tanto sopra,
quanto sotto, di forma cilindrica, e ottusi o spun-
tati; i canini vi mancano onninamente, e i molari
ne sono in numero di cinque. (Vedi Leach. Vol. II.
Tab. 96).
È indigena di tutte e cinque le parti del Globo;
l’individuo ne perviene alla grossezza ordinaria
d’un Tasso (Ursus taxus), e sembra vivere la più
gran parte di sua vita sotterra, alla maniera d’un
vero animale notturno.
GENERE XX. Viverra. (Viverra: fr. Viverre:
ted. Viwerre: ing. Viverre). La testa n’è confor-
mata in modo da rammentar quella della Vol-
pe (Canis vulpes), come il più delle volte la
coda ne ricorda quella del Gatto (Felis catus); i
denti incisivi ne sono sempre sei, tanto nella ma-
scella superiore, come nella inferiore, de’ quali
gl’ intermediarii sono costantemente più brevi che
[Seite 191] no ’l siano gli estremi; nella maggior parte delle
specie la parte posteriore della lingua suol essere
armata, o rivestita di piccioli aculei, e le unghie
ne sono sporgenti in fuori (ungues exserti).
SPECIE 1. Zibetto. (V. Zibetha – Hyaena odo-
rifera: fr. la Civette: ted. die Zibetkatze: ing. the
Civet). – Questa specie ha la coda col pelo di-
spostovi annularmente, e ’l dorso coperto d’una
maniera di giubba, o di criniera, striata a modo
d’onde, di color grigio di cenere, e di nero. (Vedi
Ménagerie du Muséum national. Livraison IV. Tab. I.).
Abita le regioni poste, così nell’ Asia più me-
ridionale, come nell’ Affrica settentrionale. Tanto
negli individui maschi, quanto nelle femmine,
producesi quella sorta di profumo o di droga
untuosa e gratamente fragrante, che in commercio
dicesi appunto Zibetto, e che va mano mano adu-
nandosi in un folliculo o in una borsetta, che sta
loro riposta tra il podice, e gli organi destinati
alla generazione.
SPECIE 2. Genetta. (V. Genetta: fr. la Ge-
nette: ted. die Genettkatze: ing. the Genet). –
Questa specie ha anch’ essa disposto per anella il
pelo della coda, e quello del mantello in generale
macchiato di color fulvo nericcio. (Vedi Histoire na-
turelle des Mammiféres XVII. Tab. 3).
Abita nel Levante, ed è molto apprezzata mo-
tivo della sua pelliccia.
SPECIE 3. Nasua. (V. Nasua: fr. le Coati – Coati
Mondi: ted. der Coati Mondi: ing. the Coati Mon-
di). – Questa specie è di color rufo in generale,
ed ha la coda del colore medesimo, ma interpo-
lato d’anelli bianchi. (Vedi Schreber. Tab. 218).
È indigena dell’ America meridionale, ed ha
un naso conformato a foggia di grugno o di grifo,
mobilissimo.
SPECIE 4. Putorio, o veramente la Puzzola Vir-
giniana. (V. Putorius: fr. la Mouffette: ted. das
Stinkthier – Conepatle: ing. the Shunk – Pol-
cat). – Questa specie ha sul dorso parecchie
linee bianche, che si estendono anche lungo la
coda. (Vedi Schreber. Tab. 122).
Abita in Virginia, nel Canada, e in altre con-
simili regioni dell’ America settentrionale. I nomi
significanti applicatigli, sono fondati sulla puzza
insoffribile che gl’ individui di questa specie, come
anche di parecchie altre specie affini ed attenenti
sempre allo stesso genere, tramandano quando
sono instizziti.
SPECIE 5. Icneumone. (V. Ichneumon: fr. la
grande Mangouste: ted. die Pharaonsmaus – der
Mungo: ing. the Egyptian Ichneumon). – Questa
specie ha la sua coda assai più grossa e massiccia
presso la sua inserzione, che non in tutto il rima-
nente della lunghezza, ove va mano mano assot-
tigliandosi sempre più, finchè termina poi alla
[Seite 193] punta in un fiocco. (Vedi Ménagerie du Muséum natio-
nal. L. VI. Tab. 4.).
Ha dessa un pelo irto, ruvido, duro e seto-
loso, con strisce curvilinee di color bruno, di-
sposte quasi a foggia di macchie annulari, ed è
frequentissima nell’ Egitto, ove si suole educarla,
a tale che poi diviene realmente un animale do-
mestico, a motivo dell’ utile istinto che ne induce
gli individui a correre in traccia, tanto delle uova
di Coccodrillo, quanto eziandio di quelle de’ Ser-
penti più pericolosi, per distruggerle cibandosene.
GENERE XXI. Mustela. (Mustela: fr. Marte:
ted. Marder: ing. Martin). I denti incisivi supe-
riori, ritti, ben distinti e più acuminati, ne sono
in numero di sei, e sei ne sono pure gl’ infe-
riori più ottusi, più stipati l’uno presso degli al-
tri, co’ due intermediarii, come chi dicesse, riti-
rati alquanto più indietro; la lingua poi ne è af-
fatto liscia, molle e morbida.
Le diverse specie attenenti a questo genere
hanno i piè corti e il corpo allungato, cui l’indi-
viduo inarca poi procedendo o camminando; esse
sono sempre svelte assai, voracissime e sitibonde o
assetate di sangue.
SPECIE I. Martora. (M. Martes: fr. la Marte:
ted. der Baummarder – Edelmarder – Tannen-
marder – Wildmarder – Feldmarder: ing. the
Pinemartin). – Questa specie ha il mantello di
[Seite 194] colore fulvo nericcio, con giallo il sottogola. (Vedi
von Wildungen, Taschenbuch für das Jahr 1800).
Indigena fra di noi, abita essa soprattutto nei
più cupi Pineti (Schwarzholz) delle regioni set-
tentrionali del Globo nostro. La bella ed apprez-
zata sua pelliccia avvicinasi più d’ogni altra a
quella del Zibellino. (Zobel).
SPECIE 2. Faina. (M. Faina: fr. la Fouine:
ted. der Hausmarder – Steinmarder: ing. the
Martin). – Questa specie ha anch’ essa, come la
precedente, il mantello di colore fulvo nericcio,
ma col sottogola bianco. (Vedi Von Wildungen, ec.).
È indigena fra di noi, ma stendesi anche, tanto
per le regioni temperate e più calde d’Europa,
quanto per quelle dell’ Asia conterminanti. Tal-
volta si riuscì, quasi come per fatto maravi-
glioso, in certo tal qual modo ad addimesticare
qualche individuo, or di questa, ora della prece-
dente specie, pigliandolo al tutto piccino.
SPECIE 3. Puzzola. (M. Putorius: fr. le Putois:
ted. der Iltis – Ilk – Ratz – Stänkerratz:
ing. the Fitchet – Polecat). – Questa specie ha
il mantello giallo-nericcio, colla bocca bianca, e
con bianche eziandio l’estremità delle orecchie.
(Vedi von Wildungen, Taschenbuch für das Jahr 1801).
Indigena anche fra noi, ha quasi comune affatto
la patria colla Faina, e rinviensi perfino in Bar-
baria. Questo mammale, e così dicasi eziandio
[Seite 195] della sua pelle sola trattagli di dosso, esala sem-
pre un fetore ingratissimo e ripugnante in sommo
grado.
Il così detto Furetto (Furo: fr. le Furet:
ted. das Frettel: ing. the Ferret), che ha la pel-
liccia di colore bianco gialliccio, e rosse le pu-
pille, non è da riguardarsi se non come un indivi-
duo degenerato, o come un Chacrelas di questa
specie medesima, corrispondente agli Albinos della
specie umana; tanto più che accoppiasi desso con
buon successo insieme colla Puzzola, e quindi non
vi può esser ragione mai di formarne una specie
di per sè. Del rimanente poi il Furetto addestrasi
a pigliare i Ratti, i Sorci e i Topi; ma dà esso la
caccia anche ai Conigli, e pigliandoli, li ammazza
suggendone il sangue.
SPECIE 4. Zibellino. (M. Zibellina: fr. la Zi-
belline: ted. der Zobel: ing. the Sable). – Que-
sta specie ha il mantello di colore fulvo nericcio,
come la Martora e la Faina, ma ha poi di color
grigio di cenere, tanto il pelo del muso, quanto
quello del sottogola. (Vedi Schreber. Tab. 136).
Vive dessa specialmente in Siberia, e le pellic-
cie più belle, quelle cioè che hanno più folto, più
ricco e più lucido il loro pelo bruno-nerastro, ci
vengono da’ dintorni di Jakutzk nel fondo della
Siberia Asiatica.
SPECIE 5. Ermellino. (M. erminea: fr. le Rose-
[Seite 196] let – l’Hermine: ted. das grosse Wiesel – Her-
melin: ing. the Stoat – Ermine). – Questa specie
ha nera la punta della coda. (Vedi Von Wildungen,
Taschenbuch für das Jahr 1802).
Abita le Terre settentrionali, frequentissima in
Siberia, sebbene rinvengasi talvolta anche indi-
gena nelle selve più settentrionali dell’ Alpi; suol
essere di maggior volume che non sialo la specie
susseguente, al pari della quale cangia essa pure
il colore del proprio pelo, per modo che, mentre
è di color bruniccio durante l’estate, nell’ inverno
diventa bianca, e fornisce allora quell’ apprez-
zala pelliccia, che denominasi appunto Ermellino,
o Armellino.
SPECIE 6. Volgare, o anche la Donnola, o la
Beletta. (M. vulgaris: fr. la Bélette: ted. die ge-
meine Wiesel: ing. the Weesel). – Questa spe-
cie ha la sua pelliccia, superiormente di colore rufo
fosco, e inferiormente bianca. (Vedi von Wild. etc.).
Indigena anche fra noi, frequenta a preferenza
le folte selve che stanno nel Nord, tanto dell’ Eu-
ropa nostra, quanto dell’ Asia. La madre porta
spesse volte attorno i suoi proprii piccini in bocca,
e fu appunto questa speciale circostanza che diè
luogo all’ anticamente invalsa favola, ch’ essa par-
torisse per la bocca.
GENERE XXII. Orso. (Ursus: fr. Ours: ted. Bär:
ing. Bear). I denti incisivi ne sono in numero
[Seite 197] di sei nella mandibola superiore, e questi inter-
namente scavati l’uno sì e l’altro no, e sei ne so-
no del pari nella mascella inferiore, due de’ quali
ne sono laterali, e i più lunghi ne sono lobati; i
primi canini ne sono solitarii, ma ve n’ ha poi
uno o due altri picciolissimi, situati tra quelli e i
primi molari; la lingua n’è molle, morbida e le-
vigata o liscia.
SPECIE 1. Arctos. (U. Arctos: fr. l’Ours: ted. der
Bär: ing. the Bear). – Questa specie ha il man-
tello di colore fosco nericcio, e la coda come
troncata. (Vedi Ménagerie du Mus. nat. L. III, Tab. 3 –
Abbild. Tab. 32).
Abita di preferenza nelle regioni più setten-
trionali della Terra, ma è indigena, tanto delle no-
stre Alpi, quanto delle montagne alte dell’ Indie
orientali, e dell’ Affrica settentrionale. Quest’ ani-
male nella prima sua giovinezza nutresi general-
mente di sostanze vegetabili, ma giunto al terzo an-
no d’età, vive poi, più che d’altro, di carne; ne’ con-
flitti a’ quali questo nuovo suo tenor di vita, o la
caccia che gli vien data dagli Uomini, lo espongono,
ei suol valersi piuttosto delle sue zampe anteriori
per combattere, che non de’ suoi denti. Un indivi-
duo, che abbiane terminato di crescere, può pesar
benissimo anche al di là di quattro quintali.
Tra le varietà di questa specie le più meritevoli
di speciale considerazione, rammenteremo ora qui
[Seite 198] il grande Mangiaformiche, o Formichiere nero (der
grosse schwarze Ameisenbär), il picciolo Orso mel-
livoro bruno-chiaro (der kleine hellbraune Honig-
bär), e l’ancora più picciolo Orso argenteo bian-
chiccio (der kleinere weissliche Silberbär), i quali
sono tutti quanti pelosissimi, ed hanno poi il pelo
lunghissimo, quasi a foggia di giubba o criniera,
segnatamente sul sottogola.
Al contrario l’Orso dell’America settentriona-
le, che ha il pelo nero, semplice, assettato o piano,
lucente al paro d’un raso, e appianata, quasi chi
dicesse, schiacciata la testa, col muso acuminato,
è da considerarsi come formante una specie d’Orso
affatto distinta, che cibasi comunemente di frutta,
a meno di certe stagioni dell’ anno, pel corso delle
quali non si nutre che soltanto di formiche.
SPECIE 2. Marittimo, o anche Orso bianco –
Orso polare. (U. Maritimus – Glacialis: fr. l’Ours
blanc – Ours polaire: ted. der Eisbär – Polar-
bär: ing. the Polarbear). – Questa specie ha
bianco il mantello; ha lungo molto il collo, e
lungo assai bene anche il muso. (Vedi Abbild. Tab. 33.).
Vive dessa unicamente lungo le Coste marittime
più vicine al Polo Artico, e sopra o tra mezzo alle
masse immense di ghiaccio che cuoprono perpe-
tuamente quell’ estreme Terre e l’Oceano glaciale
settentrionale. Bisogna badar bene di non confon-
dere questa voracissima e ferocissima specie di
[Seite 199] Orso, colla varietà bianca dell’ Orso comune. Quello,
di cui ora stiamo di proposito ragionando, può per-
venire perfino ad una lunghezza di dodici piedi,
e cresciuto a dovere, pesa fin’ oltre a quindici quin-
tali, essendo sempre carnivoro quasi pel corso di
tutta la sua vita1.
SPECIE 3. Longirostro. (U. Longirostris: fr. l’Ours
à museau alongé: ted. der langnasige Bear: ing. the
Peter Bear). – Questa specie ha il pelo villoso
affatto nero, le labbra protensili, e una macchia
bianca sul collo. (Vedi Catton’s Animals in acquatinta,
1788 Tab. 20 – e Tiedmann’s über das vermeintliche Bäre-
nartige Faulthier 1820 in 4.°).
È dessa indigena del Bengala, ove ha per istinto
di scavarsi il covile sotterra; è però rara molto
anche ivi (Vedi su questo proposito la Nota apposta alla
specie Satiro del genere Scimmia), e non perviene se non
alla grossezza mezzana, cui sogliono in genere per-
venire gli Orsi2.
SPECIE 4. Ghiottone. (U. Gulo: fr. le Glouton:
[Seite 200] ted. der Vielfrass – Rosomack: ing. the Glut-
ton). – Questa specie ha in generale il mantello
di color rufo fosco, con nera la parte mezzana del
dorso. (Vedi Pallas. Spicilegia Zoologic. XIV Tab. 2.).
È indigena delle regioni settentrionali del Globo,
e singolarmente della Siberia; la estrema voracità
ch’ è propria di quest’ Orso ha dato motivo ad ogni
maniera di favole sul suo conto.
Il così detto Orso losco (U. luscus), da’ Tedeschi
Wolwerene, e dagl’ Inglesi detto Quickhatch, indi-
geno del Labrador e della Baja d’Hudson, sembra
non differire se non di ben poco da questo.
SPECIE 5. Tasso. (U. Taxus: fr. le Blaireau: ted.
der Dachs: ing. the Badger). – Questa specie ha il
pelo della coda del colore medesimo che è quello
del mantello in generale, a meno della pancia ov’ è
nero. (Vedi von Wildungen Taschenbuch für das Jahr 1797).
Indigena tra di noi, lo è eziandio dell’ Europa
e dell’ Asia fino alla China. L’individuo può ri-
guardarsi come un vero animale omnivoro, ed ha
per istinto di scavarsi sotterra un covile profondo,
cui mettono diversi canali, vie o cunicoli. Passa
esso la massima parte di sua vita dormendo, tanto
più che protrae molto a lungo il profondissimo suo
letargo invernale, durante il quale suole esso tener
ficcato il muso in una borsa adiposa, che ha al
basso del ventre.
SPECIE 6. Mellivoro. (U. Mellivorus: fr. le Rat-
[Seite 201] tel: ted. der Honig-Dachs – Rattel: ing. the ho-
nig Badger). – Questa specie ha sul dorso il pelo
di color grigio di cenere, con una fascia nera la-
teralmente, e con nera anche la pancia. (Vedi
Sparrmann ne’ suoi Schwed. Abhandl. 1777. Tab. 4 fig. 3).
È indigena de’ dintorni del Capo di Buona Spe-
ranza, ove vive de’ favi di cera e miele di quelle
api selvatiche, che hanno per costume d’annidarsi
ne’ covili degli Istrici, e anche d’altri animali, per
costruirvi il loro alveare; nel quale intento sta os-
servando attentamente quest’ animale la direzione
che tengono quell’ Api nel volo, quando tornano a
casa cariche di bottino, o veramente tien dietro al
Sengo, o Cuculo indicatore, (Cuculus indicator)
che le insegue esso pure collo scopo di derubarne
il favo. Del rimanente l’Orso mellivoro ha il
mantello velloso, e sotto il pelo ha densa straor-
dinariamente e ad un tempo mobilissima la pelle;
di modo che, mentre da un canto non teme il pun-
giglione delle Api, dall’ altro trovasi anche baste-
volmente difeso dalla morsicatura de’ Cani, o di
altri animali, il dente de’ quali non può trapassa-
re con facilità questa così fatta loro pelle, fornita
com’ è di folta lana.
SPECIE 7. Lavatore. (U. Lotor: fr. le Raton –
le Coati: ted. der Waschbär – Rackun – Sjupp
– Coati: ing. the Racoon). – Questa specie ha
il pelo disposto per anella lungo la coda, ed ha sulle
[Seite 202] palpebre una fascia nera trasversale. (Vedi Abbildun-
gen etc. Tab. 62).
È questo un vero animale notturno, indigeno
delle più calde regioni dell’ America nord-orien-
tale e analoghe, omnivoro anch’ esso, mentre quasi
ogni cosa è atta a servirgli di pasto. Servesi desso
assai destramente delle sue zampe anteriori, tanto
per afferrare la sua preda o ciò che debbe servirgli
di cibo, quanto per immollarla prima nell’ acqua
e ripescarla poi al bisogno ec. È suscettibile di
somma dimestichezza, ed il suo pelo è divenuto
dopo quello del Castoro (Castor Fiber), di gran-
dissima importanza per la fabbricazione de’ cap-
pelli.
GENERE XXIII. Cane. (Canis: fr. Chien: ted. Hund:
ing. Dog). I denti incisivi ne sono in numero di
sei nella mascella superiore, co’ laterali più lun-
ghi e distanti, e cogli intermediarii lobati, e ne
sono sei anche nella mascella inferiore, tutti quanti
lobati; i canini poi ne sono curvi e solitarii.
SPECIE 1. Famigliare. (C. Familiaris: fr. le Chien:
ted. der Hund: ing. the Dog.) – Questa specie ha
la coda incurvata, e suol avere eziandio, quasi chi
dicesse, un dito spurio o un falso dito a’ piè di
dietro.
Fedelissimo compagno dell’ Uomo, il Cane, ani-
male pregevolissimo, non meno per la somma fi-
nezza ed acutezza de’ suoi sensi esterni, di quello
[Seite 203] che per quella rara docilità con cui lasciasi adde-
strare alla caccia, alla pesca e ad un gran numero
d’altri usi più o meno importanti, si è costante-
mente, e da tempi immemorabili, diffuso con lui og-
gimai per tutte e cinque le parti, nelle quali ri-
guardasi attualmente come diviso il Globo terrac-
queo, e quando ci facciamo a considerare l’in-
dole, le attitudini e le disposizioni sue naturali, e
le inclinazioni acquisite che ha desso sfoggiato
per il corso d’una lunga serie di generazioni, ci
è forza dire, essere appunto il Cane quello che
meglio di ogni altro è atto a fornirci la prova la
più parlante del massimo grado di perfettibilità
di cui siano suscettibili gli animali. Arduo troppo
sarebbe a parer nostro il volere ora qui decidere,
se tutte quante le diverse razze di Cani che in
oggi si conoscono, non siano effettivamente che
semplici varietà d’una sola identica specie, e se
questa poi sia originariamente derivata, o dal Lu-
po comune (Canis lupus), o dallo Schakal o Lupo
dorato (Canis aureus), come taluni opinerebbono;
e quindi è che altro non intendo di soggiugnere,
senz’ ombra di pretesa, in questo proposito, se
non che in alcune razze particolari, quali sono
per esempio il così detto Tasso cane, il Bassotto
ossia il Vertago (Canis vertagus), e il Levriere
(Canis leporarius), e in più altre ancora, sembrami
di dovere scorgere necessariamente una tal quale
[Seite 204] conformazione troppo speciale, e troppo tendente
al compimento di funzioni aventi uno scopo ma-
nifestamente determinato, perch’ io debba adat-
tarmi a riguardare tali proprietà, aventi assegnato
un progetto, come conseguenze puramente acciden-
tali d’una tal quale suppositizia degenerazione.
Comunque poi la cosa in fatto stia, diremo in-
frattanto che tra le principali razze di Cani, sono
da annoverarsi le seguenti:
a). Il Fricatore, o Fregatore. (C. fricator: fr. le
Doguin: ted. der Mops: ing. the Pugdog). –
Ha desso il corpo corto, ben complesso ed
inquartato; ha macchie nere alle guance, e le
orecchie pendenti. – L’Alano, propriamente
detto, o Cane da Toro, o Molosso o anche Can
da Guardia (Molossus: fr. le Bouldogue: ted.
der Bullenbeisser – Wachthund – Bluthund:
ing. the Bull-dog), che ha la mascella inferiore
sempre sporgente alcun poco più all’ infuori che
non la superiore, sembra costituire il passag-
gio o la transizione da questo Fricatore al Ma-
stino di cui ragioneremo nella specie susse-
guente.
b). Il Mastino. (C. mastivus: fr. le Dogue: ted.
die englische Dogge: ing. the Mastiff). – Ha
desso la testa ottusa, quasi chi dicesse rin-
tuzzata, pendenti, come se fossero laceri, i
lembi laterali del labbro superiore, e liscio,
[Seite 205] corto, morbido e lucente il pelo; il suo ab-
bajare è sempre breve e riesce piuttosto sordo.
Il così detto Cane da Macellaio (C. lanio-
nius: fr. le Mâtin: ted. der Metzgerhund – Flei-
scherhund: ing. the Butcher Dog), sembra essere
più d’ogni altro affine a questa razza.
c). Il Cane di Terra Nova (C. Terrae Novae:
fr. le Chien de Terre neuve: ted. der Neufund-
länderhund: ing. the Newfoundland-Dog). – Di-
stinguesi questo (del quale può vedersi la figura nelle
mie Abbildungen natur-histor. Gegenstände. Tab. 6) assai
facilmente da qualsivoglia altro Cane, a motivo
della straordinaria sua grossezza, del lungo pelo
morbido, molle e lucente, quasi quanto una seta,
ond’ è rivestito, della sua coda lunga e ricca-
mente fioccosa, il più delle volte ricurvata al-
l’ insù, e soprattutto poi in vista di quella ma-
niera di raddoppiatura della pelle, o di mem-
brana natatoria che, più grande di quello che
accada mai in alcun altro Cane, gli sta interposta
fra le dita, e alla quale debbesi attribuire pro-
priamente la somma attitudine che ha desso ap-
punto alla natazione. Del resto i Cani di Terra
Nova sogliono il più delle volte avere o bianco,
o nero affatto, tutto quanto il loro mantello;
sono generalmente docili assai, e si possono
con somma facilità istruire. (Vedansi altre cose più
in proposito di questa bella razza di Cani nell’ Anspach’s
History of Newfoundland a pag. 379).
d). Il Cane da Caccia, Sagace o Venatico, detto
anche Segugio. (C. sagax – venaticus: fr. le
Chien courant – chien de chasse: ted. der
Jagdhund: ing. the hunting Dog). – Ha desso
ad un tempo a bastanza voluminoso assai ben
complesso ed alquanto lunghetto il corpo, la
parte posteriore del capo portante alcune im-
pressioni a foggia di solchi bislunghi, lunghe e
penzoloni le orecchie, e il mantello d’un pelo
più o meno corto, or liscio e disteso affatto, ed
ora alcun poco ricciuto, alla maniera quasi di
una lana. – Il Cane Bracco (C. indagator: fr.
le Braque: ted. die Brake: ing. the spanish Poin-
ter); il propriamente detto Bracco da Ferma
(C. sistens: fr. le Chien d’arret: ted. der Huh-
nerhund: ing. the setting Dog.); il Bracco da
Quaglie (C. excitans: fr. le Chien couchant:
ted. der Wachtelhund: ing. the spaniel Dog.),
e il bel Can corso tigrato (C. Corsicae tygra-
tus: fr. le Chien de Corse tigré: ted. der Corsika-
nerhund: ing. the Corsica’s tiger Dog), appar-
tengono tutti a questa medesima razza, della
quale non sono da risguardarsi se non come
semplici varietà.
e). Il Barbone, il Bracco d’acqua, o Cane acqua-
tico. (C. aquaticus: fr. le Barbet: ted. der
Pudel: ing. the Water-dog). – Ha desso la
testa ottusa, quasi chi dicesse rintuzzata, e il
[Seite 207] pelo lungo, molle e ricciuto alla maniera di
una lana.
f). Il Cane da pastore, o Can da pecore, Cane
da villa, Cane domestico, detto anch’ esso
talora Mastino, o Can da guardia, comunque
non troppo opportunamente (C. pastoralis –
domesticus – villaticus: fr. le Chien de berger:
ted. der Schäferhund – Haushund: ing. the
Cur). – Ha desso dritte in piedi le orecchie,
e l’estremità della coda guernita di lungo pelo.
– Sembra che debbano riportarsi a questa me-
desima razza speciale, il Cane d’Islanda (C.
Islandiae: fr. le Chien d’Islande: ted. der Islän-
dische Hund: ing. the Iceland’s Dog.); il così
detto Can pommero, o Cane-lupo (C. lupiformis:
fr. le Chienloup: ted. der Spitz – Pommer:
ing. the Pummer?), e il grosso Cane del S. Ber-
nardo. (C. Hospitü S. Bernardi: fr. le Chien
du S. Bernard: ted. S. Bernhard’s hund: ing. the
S. Bernards Dog.), come il sono eziandio i più
piccioli di quelli, de’ quali sogliono far uso gli
abitanti del Kamtschatka per farsi tirare in slitta
ne’ loro viaggi sulla neve, e come pare che deb-
bano esserlo pure quegli altri Cani indigeni di
parecchi Arcipelaghi o gruppi d’isole del Mare
del sud, che gli abitanti di quelle terre tengono
per ingrassarli a foggia di bestiame da macel-
lare, e che nutriscono unicamente di cibi vege-
tabili.
g). Il Can Maltese, detto anche Spagnoletto,
Bolognino, o Can Bolognese (C. Meliteus: fr.
l’Épagneul – Bichon: ted. das Bologneser Hünd-
chen: ing. the Lapdog – Shock). – È desso
sempre, dal più al meno, di picciola mole, e suol
avere lungo molto il suo pelo simile alla seta,
soprattutto lungo il muso.
h). Il Cane Vertago, detto anche il Tassocane,
o il Bassotto (C. vertagus: fr. le Basset: ted.
der Dachshund: ing. the Tumbler – Turn-
spit). – Ha desso allungato assai visibilmente
il muso; porta le orecchie penzoloni; ha lungo
molto anche il corpo, corte ed incurvate le
zampe anteriori, e suol aver macchie di color
rosso-bruniccio sopra gli occhi. – Pare che ap-
partenga ben da vicino a questa razza mede-
sima, anche quel Cane che gl’Inglesi contraddi-
stinguono col nome di Terrier (C. terrarius),
che ha il pelo lungo, irto, duro e disteso come
setole; a tale che il muso o il grugno ne riesce
tutto quanto irsuto.
i). Il Dingo, o Cane della Nuova Olanda (C.
dingo: fr. le Chien de la Nouvelle Hollan-
de: ted. der Neuholländische Hund: ing. the
Newholland’s Dog). – Somiglia desso, segnata-
mente a riguardo della conformazione del suo
capo e della coda, più che ad altro, alla Volpe.
k). Il Levriere, o Can da Lepri. (C. leporarius:
[Seite 209] fr. le Levrier: ted. das Windspiel: ing. the
grey-Hound). – Ha desso la testa lunga molto
ed acuminata; porta l’orecchie penzoloni; ha
in confronto molto voluminoso il torace, e il
rimanente del corpo, com’ anche le estremità,
svelte e slanciatissime, e atte in conseguenza a
correr molto velocemente.
l). Il Cane greco o grajo (C. graius – laco-
nicus: fr. le Chien grec: ted. der Spartanische
Hund: ing. the Greek Dog). – È desso assai
ben grande di mole, e a riguardo della sua con-
formazione, può dirsi che tenga il mezzo tra il
sagace o Cane da caccia, e il Levriere descritto
immediatamente qui sopra. – A questo Cane
greco s’assomigliano assai, tanto il grosso Cane
Danese (C. Danus: fr. le Chien du Dannemark:
ted. der Dänische Hund: ing. the Danian Dog),
quant’ anche il gran Cane d’Irlanda, (C. Hiber-
niae: fr. le Chien d’Irlande: ted. der grosse Ir-
ländische Hund: ing. the lrish Dog), del quale
è ora spenta la razza1.
m). Il Can d’Egitto, detto anche Cane Turco
(C. Aegyptius: fr. le Chien Turc: ted. der
Guineische Hund: ing. the Indian Dog – na-
[Seite 210] ked Dog). – Somiglia desso, più che a qual-
sivoglia altro Cane sopra descritto, appunto al
Levriere propriamente detto, se non che il Cane
Turco se ne distingue per il pelo lungo e ricciuto
a foggia di lana, che ha sul muso, mentre tutto
il rimanente della pelle ne è calvo o nudo af-
fatto, e di color nero, o tutt’ al più del bruno-
scuro della fuliggine, quasi come lo suol essere
la pelle d’un Negro (Vedi a tale proposito l’Anno-
tazione 2. da noi apposta al §. 16).
Queste diverse razze principali di Cani è da
rimarcarsi che, non solo s’accoppiano tutte frut-
tuosamente l’una con l’altra senza distinzione al-
cuna, ma che possono congiungersi anche colle
Volpi e co’ Lupi, producendo bene spesso seco
loro individui, in certo modo bastardi, che però
qualche volta riescono anch’ essi fecondi, o atti
a riprodursi ulteriormente.
SPECIE 2. Lupo. (C. Lupus: fr. le Loup: ted. der
Wolf: ing. the Wolf). – Questa specie ha sem-
pre la coda curvata indentro. (Vedi von Wildungen
Taschenbuch für das Jahr 1795).
Rinviensi quasi in tutto quanto l’antico Conti-
nente, e non è infrequente nemmeno tra di noi;
in qualche paese però, come per esempio nella
Gran Brettagna e nell’ Irlanda, la specie n’è stata
onninamente distrutta ed estirpata. – Il Lupo suol
aver quasi sempre un incesso, un procedere o
[Seite 211] un’ andatura come strascicata, quasi ch’ ei si
traesse dietro di mala voglia le membra; ma in
onta a ciò, fa viaggi grandissimi, e si stanca assai
difficilmente, e quando la fame lo stringe molto da
vicino, comunque per indole carnivoro, s’appaga
di saziarla, ora con canne o con giunchi, e talora
per fino mangiando la terra tal quale; datane
l’occasione, dissotterra esso i cadaveri, ed è da cre-
dersi che l’eventuale notturna comparsa di qual-
che Lupo ne’ cimiteri appunto a tale effetto, abbia
poi dato luogo alla favola invalsa già da lunga
data ne’ pavidi idioti, d’apparizioni della Versiera
o del Lupo mannaro, e simili.
SPECIE 3. Aureo, o Lupo dorato. (C. Aureus:
fr. le Chacal – Adive: ted. der Schakal – Thos:
ing. the Jackal). – Questa specie ha il mantello
di color fulvo; ha i piedi alquanto lunghetti, ed
ha l’estremità della coda di color nero. (Vedi Schre-
ber. Tab. 94).
Abita in tutta quanta l’Affrica settentrionale,
ed anche in Levante, ov’ è frequente soprattutto
nella Natolia e al Bengala. Questi animali hanno
per costume d’andar attorno in frotta durante la
notte; mangiano altri animali: divorano anche gli
attrezzi di cuojo, o di corame d’ogni maniera, e
altre cose simili, non esclusi i cadaveri che dissot-
terrano anch’ essi. – Parecchi Naturalisti han-
no voluto riguardare il Chakal come un Cane ori-
[Seite 212] ginariamente selvaggio; ma non sappiamo vederne
plausibile ragione che valga, onde faremo che ci
basti il soggiugnere, che vi furono alcuni Commen-
tatori della Sacra Bibbia, i quali opinarono che le
Volpi di Sansone altro non fossero in fatto, se non
altrettanti Chakals, ossiano Cani aurei o Lupi
dorati.
SPECIE 4. Volpe o Golpe. (C. Vulpes: fr. le
Renard: ted. der Fuchs – Birkfuchs: ing. the
Fox). – Questa specie ha diritta la coda, coll’ a-
pice della medesima scolorato. (Vedi von Wildungen
für das Jahr 1796).
È dessa indigena soprattutto delle regioni setten-
trionali dell’ antico Continente, come lo è anche
tra di noi, e rinviensi in torme d’indefinibile nume-
ro nelle più orientali fra le isole Aleute, che ap-
punto in grazia di ciò ebbero un tratto il nome
d’isole delle Volpi. Cibasi anche di frutta, ed è
noto che trall’ altre ama dessa singolarmente
l’uva.
La Volpe bruno-nera, detta talora Volpe Car-
bonara. (C. alopex: fr. le Renard charbonnier:
ted. der Brandfuchs: ing. the black Fox), non è
da riguardarsi certamente per altro, che per una
semplice varietà degenerata di questa specie me-
desima; ma non è poi del pari ben deciso infino
ad ora, se come una semplice degenerazione della
Volpe comune, o forse piuttosto come una Specie
[Seite 213] a parte, abbiasi a tenere quella Volpe nera che ha
bianca l’estremità della coda, rinomatissima per la
preziosa pelliccia che ci fornisce, indigena della Si-
beria, e frequentissima poi sulla Costa di Labrador,
la quale assume il nome di Volpe argentea1 (C.
vulpes argentea: fr. le Renard argenté: ted. der Sil-
berfuchs: ing. the silver-Fox – bleu Fox), quando
tutto quanto il nero suo pelo termina bianco al-
l’ estremità.
SPECIE 5. Lagopo, o Volpe bianca del Polo.
(C. Lagopus: fr. l’Isatis – le Renard bleu: ted.
der weisse Fuchs – Polarfuchs – Steinfuchs –
Eisfuchs – Isatis: ing. the Arctik Fox: – Pesez dei
Russi). – Questa specie ha essa pure diritta la
coda, coll’ estremità avente il medesimo colore del
resto di sua lunghezza, ed ha poi l’ultime estre-
mità, tanto delle zampe anteriori, quanto delle
posteriori, ricchissime di pelo. (Vedi Schreber. Tab. 93.
A. 93. B).
È dessa indigena delle Terre settentrionali le
più vicine al Polo, e soprattutto dello Spitzberg,
della Nuova Zembla, della Groenlandia e simili.
– Le Volpi di questa fatta sono per la massima
loro parte bianche, ma ve n’ ha eziandio una va-
rietà di colore grigio-azzurrognolo, che contraddi-
[Seite 214] stinguesi col proprio nome di Volpe bleu, Volpe
cilestra, o Volpe azzurrognola (der blaue Fuchs
de’ Tedeschi).
SPECIE 6. Jena. (C. Hyaena: fr. l’Hyéne: ted. die
Hyäne: ing. the Hyaena). – Questa specie è
quasi al tutto di colore in fondo nero, con alcune
macchie listate o disposte a striscie; il muso n’è
nero anch’ esso; il collo e il dorso ne sono guerniti
d’una giubba o criniera; a ciascun piede contanvisi
quattro dita distinte.
J. El. Ridinger ha riguardato la Jena come il
Lupo indiano.
Ha generalmente in comune la patria col Cane
aureo, ossia collo Chakal, con cui ha anche mol-
tissima analogia per la conformità del loro rispet-
tivo modo di vivere; tiene dessa il suo covile, ora
sotterra, ora nelle caverne naturali, ed ora nelle
crepature, che trova bell’ e fatte tra le rocce dei
monti.
La Jena maculata, o col mantello disegnato a
macchie subrotonde (Canis crocuta), riesce di
mole alcun poco più grande1, che non la precedente
[Seite 215] listata; trovasi dessa frequentissima nell’ Abissinia,
e di là stendesi poi fino al Capo di Buona Spe-
ranza.
Del resto, quanto alla loro corporale conforma-
zione considerata in complesso, queste due Je-
ne formano per così dire un manifesto passaggio
dal Genere Cane al seguente Genere Gatto1.
GENERE XXIV. Gatto. (Felis: fr. Chat: ted.
Katze: ing. Cat). L’unghie ne sono retrattili;
il capo n’è di forma più che altro rotonda, e la
lingua ne riesce aspra al tatto. A riguardo poi
della dentatura, i denti incisivi, che ne sono in
numero di sei, sono acuti molto, intanto che i più
esterni ne sono anche maggiori degli altri, e i ca-
nini, che rimangono solitarii ed isolati, nella man-
dibola superiore stanno staccati dagli incisivi,
mentre nella mandibola inferiore restano distanti
da’ molari.
SPECIE 1. Leone. (F. Leo: fr. le Lion: ted. der
Löwe: ing. the Lion). – Questa specie ha la
coda bislunga terminante in un fiocco1, ed ha tutto
quanto il mantello di colore più o meno fulvo.
(Vedi Ménagerie du Muséum National. Livr. VI. Tab. 2.
e Livr. II. Tab. 1).
Abita il Leone di preferenza i climi più caldi
dell’ antico Continente ed è, più che in qualsi-
voglia altra regione, comune o frequente nell’ Af-
[Seite 228] frica; v’è però luogo a credere che altre volte
esso non fosse infrequente anche nel Peloponneso
e perfino nell’ Etolia. Abbiamo recenti esempi di
Lionesse che, comunque rinchiuse ne’ nostri ser-
ragli di fiere (Ménageries), in Francia ed in Ger-
mania o in somma nelle regioni mezzane d’Eu-
ropa, si sono sgravate di alcuni Lioncini. Nei
maschi di questa specie la criniera, che li distingue
tosto dalle femmine, comincia sul second’ anno
dell’ età loro a farsi visibile. Gli Ottentotti man-
giano con gusto la carne di Leone, e v’ha tra Al-
geri e Tunisi un’ orda d’Arabi che, volendo stare
a quanto ci si narra, d’altro non dovrebbe cibarsi
se non se appunto di carne Leonina.
SPECIE 2. Tigre. (F. Tigris: fr. le Tigre:
ted. das Tiegerthier – der Tiger: ing. the Tiger).
– Questa specie ha anch’ essa la coda piuttosto
lunga, ed ha poi tutto quanto il pelame, così sul
corpo, come sul capo e sui collo, marcato o dise-
gnato a lunghe striscie nere. (Vedi il rame di Stubbs.
The Tiger).
Abita dessa esclusivamente nell’ Asia, soprat-
tutto in quella parte che ne sta fra il Bengala e la
China; trovasi però anche nell’ isola di Sumatra,
e in poche altre analoghe località. Il disegno rigato
o a striscie della sua pelliccia, si può dire regolaris-
simo. È cosa oggimai posta fuori di dubbio che si
può fino ad un certo segno ammansarla e addime-
[Seite 229] sticarla. Comunque fortissima e in sommo grado
svelta, è forza che nel conflitto la Tigre ceda al-
l’ Elefante.
SPECIE 3. Pardo, o anche il Gatto pardo. (F.
Pardus: fr. la Panthére: ted. der Panther1 –
Parder – das Pantherthier: ing. the Catpard).
– Questa specie ha la coda un po’ meno lunga
che non abbianla le due precedenti; ha la pellic-
cia tutta quanta disegnata a macchie irregolar-
mente poligone, ad angoli sempre ottusi, talora
confluenti l’una nell’ altre, e qualche volta annu-
lari o a foggia quasi d’anelli. (Vedi Ménagerie du
Mus. L. III. Tab. 1).
Abita dessa tanto nell’ Affrica, quant’ anche
nelle Indie Orientali. Le macchie della sua pel-
liccia qua e là sono appunto, come s’è detto, con-
fluenti o vanno a confondersi parzialmente insie-
me, mentre alcune ne sono di forma annulare, e
altre ne sono conformate a foggia d’un ferro da
cavallo, od anche altrimenti.
Chiamasi poi volgarmente Leopardo, (F. Leo-
pardus: fr. le Léopard: ted. der Leopard: ing. the
Leopard) una varietà, o vogliam dirla sottospe-
[Seite 230] cie, alquanto più picciola di questo Pardo, o Gatto
pardo, o grande Pantera, che ha sulla sua pel-
liccia macchie più picciole, da tre a quattro delle
quali, di fondo quasi di color giallo d’oro, stannosi
bene spesso riunite assai da presso poco meno
che disposte a confondersi insieme.
SPECIE 4. Pantera. (F. Panthera: fr. la pe-
tite Panthére: – l’Once di Buffon, a torto però:
ted. der kleine Panther: ing. the Panther). – Que-
sta specie ha in proporzione la coda più lunghetta
che non il Pardo, ed ha il pelame bianchiccio, con
macchie irregolari nere. (Vedi Schreber. Tab. 100).
Abita dessa, non meno in Barbaria, di quello che
all’ Indie Orientali; è di gran lunga più picciola di
mole che la specie precedente, e n’è poi molto
più ammansabile ed anche in certo modo docile,
da che si riesce ad educarla per gli usi della cac-
cia, che si dà specialmente a’ Caprioli (Cervus Ca-
preolus), alle Gazzelle (Antilope Dorcas) e a così
fatti altri animali; al quale effetto appunto già da
gran tempo si suol tenerla ed addestrarla in tutto
l’Oriente, come nel medio evo facevasi eziandio
a bastanza frequentemente in Francia e in Italia.
SPECIE 5. Onca, o anche l’Once, o il Ja-
guar. (F. Onca: fr. le Jaguar – l’Once: ted. der
Jaguar – Americanische Tiger: ing. the Jaguar).
– Questa specie ha la coda, in proporzione col
corpo, un po’ meno lunga che le precedenti spe-
[Seite 231] cie 1.a 2.a e 4.a; il colore del mantello n’è di fondo
giallastro cupo o fosco, con molte macchie gialle
nel centro, in parte ocellate o conformate ad oc-
chi, ed in parte irregolarmente angolose. (Vedi
Histoire naturelle des Mammiféres Liv. XVII. Tab. 1).
È dessa indigena unicamente dell’America me-
ridionale, e viene più grossa della Pantera, alla
quale per altro s’assomiglia moltissimo.
SPECIE 6. Puma, o il Cuguar, ossia il Gatto
concolore. (F. Concolor: fr. le Puma – Couguar:
ted. der Americanische Löwe – Puma – Cuguar:
ing. the Puma). – Questa specie ha di mezzana
lunghezza la coda, ed ha il mantello tutto quanto
di color fulvo senz’ alcuna macchia. (Vedi Schre-
ber. Tab. 104).
Abita dessa, esclusivamente ad ogni altra con-
trada, nel Perù, nel Brasile, e in qualche altra
vicina regione dell’America meridionale, e distin-
guesi tosto da qualsivoglia altra specie di questo
nostro genere, mercè della picciola sua testa, e più
ancora mercè della immaculata sua pelliccia, tutta
quanta di colore rosso-gialliccio, a motivo della
quale appunto gli fu attribuito il nome volgar-
mente ora in uso di Leone Americano, sebbene
questo non porti criniera come la porta il vero
Leone maschio dell’ antico Continente.
SPECIE 7. Lince, o il Lupo cerviero. (F. Lynx:
fr. le Loup cervier: ted. der Luchs: ing. the Moun-
[Seite 232] taincat). – Questa specie ha molto corta la
coda, che poi termina nera all’ estremità; ha,
come chi dicesse barbata o pelosa molto l’ultima
cima degli orecchi; ha il mantello macchiato, ed
ha in proporzione grandi assai, tanto le palme dei
piè d’innanzi, quanto le piante de’ piè di dietro.
(Vedi von Wildungen Taschenbuch für das Jahr 1800).
È indigena propriamente di tutto l’antico Con-
tinente, e rinviensi talvolta anche ne’ nostri monti
più alti, come è frequente a bastanza eziandio in
quelli del regno delle due Sicilie. Lungo i sentieri
praticati in fra i boschi per la caccia, cagiona dessa
danni di gran lunga più gravi che non soglia fare
il Lupo.
SPECIE 8. Gatto propriamente detto, ossia
il Gatto comune. (F. Catus: fr. le Chat: ted. die
Katze: ing. the Cat). – Questa specie ha bislunga
la coda, e il mantello striato, sul dorso longitudi-
nalmente, e su i lati spiralmente.
È dessa in origine indigena, si può quasi dire,
di tutto quanto l’antico Continente, d’onde fu
poi per la prima volta trasportata dagli Spagnuoli
in America. Del resto il Gatto selvatico (Vedi von
Wildungen Taschenbuch für das Jahr 1799) è di statura
più grande che no ’l soglia essere il Gatto dome-
stico, ed ha per l’ordinario il pelo d’un colore
più decisamente grigio-rossiccio, colle labbra ne-
re, e con nere eziandio le estremità delle zampe;
[Seite 233] e quanto al Gatto domestico, diremo succeder as-
sai di rado ch’ ei s’accoppii in vista della gente, e
tornar esso con somma facilità selvatico, ogni qual-
volta il caso lo collochi in luoghi deserti o non
frequentati dagli Uomini. Fra le particolarità che
osservansi in questa specie, è degnissima d’esser
notata la sua grande elettricità, come non sono
da passarsi sotto silenzio, nè la fosforeità de’ suoi
occhi allo scuro, nè la strana avidità ed ingordi-
gia con cui mangia alcuni vegetabili, come per
esempio, la così detta Nepeta Cataria, il Teu-
crium Martini ed altri così fatti vegetabili erbacei,
nè il loro modo di rombare, di soffiare adirati e
di miagolare, nè quella fiera, costante e decisa
avversione o quell’ invincibile antipatia che risen-
tono pe’ Gatti alcuni Uomini, e così via discor-
rendo. – Come principali varietà di questa spe-
cie sono generalmente considerati, il così detto
Gatto d’Angora o Gatto Persiano, che ha lungo
molto il pelo e morbido come seta, e che suol es-
sere sempre alquanto sordo; il Gatto di Cipro, o
Gatto certosino (Carthäuser Katze de’ Tedeschi),
che ha di colore grigio-azzurrognolo la pelliccia,
e il Gatto di Spagna (Tortuises hellcat degl’ In-
glesi), che ha la pelle macchiata in modo da ram-
mentare la Tartaruga polita. A riguardo di que-
st’ ultima varietà di Gatti, vuolsi che, mentre è
frequentissimo di trovar femmine colla pelle va-
[Seite 234] riegata a grandi macchie ben distinte di tre colori
diversi, come a dire di nero, di bianco e di giallo-
bruno, non accada poi se non se estremamente di
rado di abbattersi in maschi che abbiano una pel-
liccia analoga.
C). Bruti. (Bruta). = Digitati o Fissipedi
sdentati.
Sono questi o privi affatto di denti, o mancanti
almeno di denti incisivi.
GENERE XXV. Bradipo. (Bradypus: fr. Pares-
seux: ted. Faulthier: ing. Sloth). – Il capo ne
suol essere come rotondato; le zampe anteriori
ne riescono sempre più lunghe che nol siano le
posteriori; qui mancano costantemente i denti inci-
sivi; i canini (se pure possono chiamarsi tali), ne
sono ottusi e solitarii od isolati, ed i molari ne
sono ottusi anch’ essi e di forma, più che altro, ci-
lindrica.
SPECIE 1. ed UNICA qui per noi. Tridattilo, e
per altri, il Tardigrado. (B. tridactylus: fr. l’Aï:
ted. der Aï: ing. the Aï). – Questa specie ha
a’ piè di dietro tre dita sole, ed ha breve molto
la coda. (Vedi. Abbild. ec. Tab. 53).
È dessa indigena della Gujana e delle circonvi-
cine regioni. – Non può negarsi che quest’ animale
propriamente non sia una lentissima, tardissima
e quasi direbbesi indolentissima creatura, ma è
però da dirsi che, a malgrado dell’ apparente sua
[Seite 235] grevezza o poltroneria, non manca poi, datone il
bisogno, nè d’una certa astuzia, nè di molto co-
raggio e anche di forza; e soggiugneremo eziandio
ch’ è desso dotato d’una tenacissima vitalità,
che risente pochissimi bisogni, e che cibandosi di
frondi, di frasche e di foglie, non beve quasi mai.
GENERE II. Oricteropo. (Orycteropus: fr. Oryc-
terope: ted. Erdschwein: ing. Orycterop). La
testa n’è in certo modo prolungata o prodotta in
avanti, e quasi rostrata o terminante in una ma-
niera di becco; la coda n’è piuttosto lunghetta e
di forma conica; le palme de’ piè d’innanzi ne sono
fornite di tre dita distinte, mentre a’ piè di dietro
le piante non portano che tre dita sole; man-
canvi affatto, tanto i denti incisivi, quanto i cani-
ni, e solo scorgonvisi quattro denti molari nella
mandibola inferiore, e cinque nella superiore.
SPECIE 1. e per noi UNICA. Oricteropo del Capo.
(O. capensis: fr. L’Orycterope du Cap: ted. das
Erdschwein: ing. the Orycterop of the Cape). –
Questa specie, per la figura della quale vedi il
Supplément di Buffon vol. VI. Tav. 31, è indigena
de’ dintorni del Capo di Buona Speranza, e fu per
errore, in fino a pochi anni sono, confusa co’ For-
michieri, de’ quali ci faremo a ragionar tosto qui
sotto. L’individuo può dirsi un vero animale not-
turno, che co’ robustissimi suoi unghioni ha per
costume di scavare la terra.
GENERE XXVII. Formichiere o Mirmecofaga, o
anche Mangiaformiche. (Myrmecophaga: fr. Four-
miller: ted. Ameisenbär: ing. Ant-eater). Il gri-
fo n’è ancora più allungato a foggia di becco,
che nell’ Oricteropo; la lingua n’è lunghissima e
terete, conformata in modo che rappresenta be-
nissimo un Lombrico; in bocca poi non gli si
scorge indizio alcuno di denti.
SPECIE 1. Giubato, o anche il grande Taman-
dua. (M. jubata: fr. le grand Tamandua: ted. der
grosse Tamandua: ing. the great Tamandua). –
Questa specie ha a’ suoi piè d’innanzi le palme
munite di quattro dita distinte, ed ha lunga e giu-
bata, o guernita di ricca criniera, la coda. (Vedi
Abbildungen etc. Tab. 82).
Abita nel Brasile. L’individuo, quanto al volume
del corpo, ne perviene alla grossezza d’un nostro
Mastino o Cane da beccaio, e se ne sta quasi co-
stantemente isolato ne’ luoghi più deserti, vivendo
unicamente delle grandi Formiche che abbondano
colà, come fa eziandio l’altro più picciolo Taman-
dua di cui ci accingiamo tosto qui ora a parlare.
SPECIE 2. Didattilo, o anche il picciolo Ta-
mandua. (M. didactyla: fr. le petit Tamandua:
ted. der kleine Tamandua: ing. the little Taman-
dua). – Questa specie ha a’ suoi piè d’innanzi le
palme fornite soltanto di due dita distinte, delle
quali l’esterna è armata d’un unghione grandis-
[Seite 237] simo e robustissimo; i piè posteriori portano in-
vece per cadauna pianta quattro dita; la coda
poi ne è afferrante od aggrappante (cauda prehen-
silis) – (Vedi Abbild. etc. Tab. 22).
È anch’ essa indigena dell’ America meridionale;
perviene alla grandezza d’uno Scojattolo comune,
al quale somiglia molto.
GENERE XXVIII. Echidna. (Echidna: fr. Echid-
né, che fu presa finora come un Ornitorinco). La
lingua n’è glabra molto e glutinosa (Tachyglos-
sus); il corpo n’è tutto quanto coperto d’aculei
spinosi, fra quali v’hanno pure commisti alcuni pe-
li; il grifo n’è conformato a foggia d’un becco
piuttosto lungo e terete o cilindrico; la lingua ne
sembra quasi al tutto un lombrico terrestre, e
non vi si scorgono denti nelle mascelle.
SPECIE 1. e per noi UNICA. Echidna istricifor-
me. (E. Hystrix: fr. l’Echidné épineux, confusa
da Home cogli Ornitorinci, Ornithorhyncus, sotto
nome d’Hystrix). – Questa specie ha disegnati
come per anelli gli aculei spinosi ond’ è rivestito
il corpo dell’ individuo. (Vedansi Leach’s Miscellany.
Vol. II.° Tav. 91, – e Home nelle Philosophical Transactions
pel 1802. Tav. 10).
È dessa indigena, come anche l’altra specie
che le è molto affine (Echidna setosa), unica-
mente della Nuova Olanda. Amendue le specie
poi in riguardo alla interna loro struttura, men-
[Seite 238] tre deviano assaissimo da tutte quante l’altre spe-
cie di mammiferi, s’assomigliano singolarmente
per molti titoli all’Ornitorinco (Ornithorhynchus
paradoxus).
GENERE XXIX. Manis. (Manis: fr. Pangolin:
ted. Schuppenthier – Formosanisches Teufelchen:
ing. Manis). Il corpo n’è tutto coperto di scaglie
o di squame; la lingua n’è lunghetta e terete o ci-
lindrica; non v’hanno denti alle mandibole. –
Ad eccezione dello strano loro vestito, o piutto-
sto della loro armatura esteriore, gli animali rac-
chiusi in questo genere, a riguardo tanto della loro
speciale conformazione, quant’ anche dell’ abituale
loro tenor di vita e d’altre circostanze ancora,
hanno una analogia marcatissima co’ Formichieri
(Myrmecophaga). Molti Naturalisti de’ tempi ul-
timamente trascorsi aveano creduto di doverli col-
locare fra le Lucertole (Lacerta), sebbene con
troppo poco giudizio, mentre il sangue caldo e
rosso li sottrae alla possibilità d’essere, come que-
ste ultime, annoverati tra gli Anfibii.
SPECIE 1. ed UNICA per noi. Manis tetradattilo.
(M. tetradactyla: fr. le Phatagin: ted. der Phata-
gin: ing. the scaly Lizard). – Questa specie ha
lunga molto la coda, ed ha poi bifide l’unghie.
(Vedi Abbild. etc. Tab. 14).
È dessa indigena dell’ isola Formosa, e delle
regioni che le corrispondono da presso sulla Terra
[Seite 239] ferma Asiatica. L’animale non ne viene più grosso
d’un nostro Scojattolo comune; il suo corpo, tutto
coperto di squame o di scaglie d’un colore bruno
di castagna, e regolarissimamente imbricato, lo fa
somigliar più che a nient’ altro ad una pigna, o
ad uno Strobilo, che così suol chiamarsi il frutto
del Pino.
GENERE XXX. Tatu – Tatou, o anche Arma-
dillo. (Tatu – Dasypus di Linneo: fr. Tatou –
Armadil: ted. Armadill – Panzerthier – Gür-
telthier: ing. Caschicame). Il corpo n’è tutto
quanto coperto e rivestito di squame o schegge
ossee, imbricate scorrevolmente, e disposte per
zone regolari; nelle due mandibole non vi si scor-
gono nè denti incisivi, nè canini.
SPECIE 1. ed UNICA qui per noi, Tatu cinto no-
vevolte. (T. novemcinctus: fr. le Tatou à neuf
bandes: ted. der Caschicame: ing. the Caschicame).
– In questa specie contansi lungo il dorso fino
a nove diverse zone di schegge ossee imbricate che
ne formano in complesso l’armatura, quasi chi
dicesse la lorica; a’ piè d’innanzi le palme ne sono
munite cadauna di quattro dita, mentre i piè di
dietro hanno ad ogni pianta cinque dita distinte.
(Vedi Abbild. etc. Tab. 83).
È dessa indigena dell’ America meridionale, e
stendesi per fino allo stretto di Magellano. L’ani-
male ha per istinto di scavarsi sotterra un ben
[Seite 240] costrutto covile a parecchi cunicoli; è suscettibile
d’addimesticarsi assai facilmente; quando la pau-
ra lo piglia, ei suole aggomitolarsi in forma di
una palla o d’un globo, come usano di fare ezian-
dio gli Armadilli (Tatu), e il nostro Porco riccio,
o l’Erinaceo (Erinaceus Europaeus).
Animali provveduti d’unghione corneo o di
unghia cavallina alle quattro estremità.
Quest’ ordine non ci fornisce se non un
genere solo, in cui racchiudonsi anche
ben poche specie.
GENERE XXXI. Cavallo (Equus: fr. Cheval:
ted. Pferd: ing. Horse). I quattro piedi ne sono
muniti ciascuno d’un unghione corneo, intero e
non diviso mai in parti; la coda n’è ricca di lun-
ghe setole, dette propriamente crini, più o meno
folti, lunghi e lucenti; nella mandibola superiore
contanglisi sei denti incisivi ottusamente troncati,
e sei parimenti contansene nella inferiore, ma più
prominenti in confronto co’ primi; i denti canini
poi rimangono solitarii, isolati e distanti così dai
denti posti anteriormente, com’ anche da quelli
che sono situati più indentro.
SPECIE 1. Cavallo propriamente detto. (E.
Caballus: fr. le Cheval: ted. das Pferd: ing. the
Horse). – Questa specie ha la coda dappertutto
ricchissima di folto crine.
È difficile assai che esistano pur tuttavia in al-
cun luogo Cavalli originariamente salvatici; ma
ve n’hanno invece moltissimi che il sono ridive-
nuti, e che spesso incontransi qua e là in grandi
e numerose mandrie, come accade per esempio,
nel territorio dell’ antico impero del Mogol, e ben
più che altrove nel Paraguay, dove, come in tutta
quanta l’America, furono i primi gli Spagnuoli a
portarne la specie, che infino a quell’ epoca man-
cava ivi onninamente. Tra le razze addimesticate
di Cavalli quella de’ Cavalli Arabi, e soprattutto
quella che di tali bestie tiensi ed allevasi con som-
ma cura presso Annecy ne’ dintorni dell’ antica
Palmira, come pur l’altra che stendesi dal Mon-
te Libano fin verso il Monte Horeb, prevalgono
a tutte le rimanenti, così per la loro corporatura
maravigliosamente bella e ben complessa, come
per la sveltezza e leggerezza degl’ individui, e an-
che per la somma loro vigorìa, e per il grande loro
reggere alla fatica, spesso senza cibarsi nè bere.
Tengono poi dietro immediatamente a questi, pri-
ma i Cavalli Persiani, e poscia i così detti Barberi,
e tra i nostri Europei, gli Spagnuoli e principal-
mente quelli dell’ Andalusia, e quindi gl’ Inglesi e
i Napoletani, de’ quali i primi ritengonsi come su-
periori ad ogni altra maniera di Cavalli, quanto a
quella sorprendente celerità del loro galoppo, che
li rende così pregevoli per le corse di scommessa
[Seite 243] che praticansi frequentissime appunto in Inghil-
terra. – Passando sotto silenzio i numerosi van-
taggi che traggono costantemente da questi animali
le intiere nazioni equestri, o che passano la mag-
gior parte della loro vita a cavallo, come sono
per esempio, i Cosacchi, i Tatari o Tartari, i Cal-
mucchi, i Tongusi cavalcatori, gli Abiponi e altri
così fatti popoli, è certo d’altronde che il Cavallo
riesce di somma utilità anche alle nazioni le più
colte e incivilite, presso alle quali serve esso
non meno all’Economia rurale, a’ comodi d’una
vita agiata, agli usi delle poste e di altre molte
maniere di trasporto e di spedizione, agli usi della
Cavalleria, a condurre con facilità e prestezza le
pesanti artiglierie, e così via discorrendo. A ciò
aggiungasi che molte delle sopraccitate popola-
zioni equestri non vivon quasi che unicamente
della carne de’ loro Cavalli e col latte delle loro1
[Seite 244] giumente; il quale ultimo prodotto, fatto prima
coagulare e poi distillato, fornisce loro eziandio
quel liquore inebriante che i Mongoli denomi-
nano Kumiss. – Riesce quasi al tutto inutile il
dire che la specie ne è indigena anche fra noi.
SPECIE 2. Asino. (E. Asinus: fr. l’Ane: ted.
der Esel: ing. the Ass). – Questa specie ha la coda
guernita di crini specialmente verso l’apice suo
estremo, e in generale porta sul dorso una mac-
chia nera conformata a foggia quasi di croce.
L’Asino salvatico, da cui deriva il mansueto
e pazientissimo nostro attuale Asino domestico,
sembra essere fuor di dubbio il vero Onagro (Ona-
ger) degli antichi, il quale rinviensi ancora oggidì
particolarmente nella Tartaria sotto il nome di
Kulan, o Koulan1, d’ ond’ esce in numerose man-
drie annualmente in tempo d’autunno, per recarsi
a svernare nelle regioni più meridionali dell’ In-
dia orientale e della Persia. È desso più grande e
più slanciato che non soglia esser mai il nostro
Asino domestico, ed è poi singolarmente veloce
nel corso. Infino ad ora l’Asino nostrano non si
è per anche diffuso nelle regioni più settentrionali
d’Europa. Non è poi soggetto gran fatto a dege-
nerare, da che tutt’ al più può desso cangiare al-
quanto il colore del pelo, veggendosene talora
[Seite 245] per fino, a cagion d’esempio, qualche individuo
bianco.
La specie Asino accoppiandosi fruttuosamente
colla specie Cavallo, ne emergono due maniere di
Bastardi, fortissimi amendue, vigorosissimi sempre
e resistentissimi alla fatica, e capaci, a quanto di-
cesi, sebbene rarissimi ne siano gli esempi, di rife-
condarsi talora a vicenda tra loro. In Italia essi
denominansi indistintamente Muli, ma per abuso,
mentre il vero Mulo (Mulus: fr. le Mulet1: ted.
das Maulthier) dovrebb’ essere il figlio d’un Asino
maschio e di una Cavalla, e il figlio poi d’un Ca-
vallo maschio e d’ un’ Asina, che denominavasi la-
tinamente Hinnus, come i Francesi lo contrad-
distinguono anche al dì d’oggi col nome proprio di
Bardeau2, e i Tedeschi con quello di Maulesel,
gl’ Italiani potrebbero denominarlo un cotal po’
più appropriatamente Bardotto alla Francese;
tanto più che è desso molto meno frequente del
primo, e che debb’ esser quindi quello che diè
moto alle fole dei così detti Jumarts, o de’ pretesi
Bastardi di Cavalli colle Vacche, o viceversa, di
Tori colle Cavalle; due specie diversissime che
non si confanno, e non si congiungono mai.
SPECIE 3. Zebra. (E. Zebra: fr. le Zébre: ted.
das Zebra: ing. the Sebra). – Questa specie ha il
[Seite 246] mantello tutto quanto disegnato a zone alternanti
di color fosco e di color bianchiccio, sommamente
regolari. (Vedi il bel Rame, the Sebra, di G. Stubbs. pubbli-
cato nel 1771).
Sotto l’istesso nome di Zebra sonosi infino a
questi ultimi tempi assai male a proposito con-
fuse due specie affatto tra di loro diverse, l’una
delle quali debbe assumere il nome proprio di
Guagga (Vedi Ménagerie du Mus. nat. L. IV, Tab. 3); e
fu decisamente per errore, che se ne pigliò l’una
come l’individuo femmina dell’ altra. Amendue le
specie sono però indigene delle regioni meridio-
nali dell’ Affrica. Tali animali vivono colà in più
o meno numerose mandrie selvatiche e in pienis-
sima libertà; sono velocissimi nel corso, ma fe-
roci e quasi affatto indomabili; ammansati però
alla meglio che si potè, accoppiaronsi dessi frut-
tuosamente, tanto colla specie Asino, come colla
specie Cavallo, ond’ ebbersene figli ibridi, Ba-
stardi1, o Muli particolari, e differenti essenzial-
mente da’ Muli onde qui sopra ragionammo.
Animali mammiferi ruminanti che hanno gli
unghioni fessi o spaccati in due, e tra i
quali comprendonsi i più importanti dei
nostri animali domestici.
GENERE XXXII. Cammello. (Camelus: fr. Cha-
meau: ted. Camel: ing. Camel). Non ha mai corna
sul capo; ha il labbro fesso, o com’ usa dirsi, il
labbro leporino; ed ha i piedi quasi bisulchi, o sia
muniti d’unghioni non intieramente divisi in due
parti1; quanto alla dentatura poi, gl’ incisivi del-
la mandibola inferiore ne sono spatiformi e in
numero di sei, mentre non ve n’hanno che soltanto
due alla mandibola superiore, e i canini, distanti,
ne sono superiormente tre, inferiormente due.
SPECIE 1. Dromedario. (Camelus Dromedarius:
fr. le Dromedaire: ted. das gemeine Camel: ing. the
Dromedary2). – Questa specie non ha se non una
sola gobba sul dorso. (Vedi Ménagerie du Mus. nat.
Livraison II, Tab. 4).
Rinviensi dessa ancora attualmente in istato
selvaggio or qua or là nell’ Asia, e soprattutto nei
deserti che stanno fra la China e l’Indie Orien-
tali; ma tanto per il Levante, quanto per l’Affrica
settentrionale, e per la mezzana, il Dromedario è
divenuto il più importante degli animali dome-
stici; di modo che gli Arabi usano chiamarlo il
Vascello o la Nave de’ deserti. Il consueto carico
d’ogni Dromedario che serve alle Caravane, suol
essere colà di circa sei quintali, e così caricato
percorre poi esso giornalmente, per le secche sab-
bie di que’ deserti, da quarantacinque a cinquanta
delle nostre miglia Italiane, non parlando del così
detto Heiries o Cammello corridore, che dicono
poter percorrere nel tempo d’ un’ ora sola fino a
ventiquattro miglia. A ciò aggiungasi che questo
quadrupede, già d’altronde utilissimo a mille ti-
toli, trova assai agevolmente anche da per sè solo
di che cibarsi, mangiando i vegetabili spinosi, che
copiosi crescono appunto ne’ deserti e non servi-
rebbono alla nutrizione d’alcun altro mammife-
ro. Pretendesi inoltre ch’ esso possa sopportar la
sete pel corso intiero di parecchie settimane con-
secutive, bevendo poi a un tratto acqua in quan-
tità fuor d’ogni misura, alla prima occasione che
gli se ne presenti. Questa specie, non altrimenti
che quella del vero Cammello che tosto qui sotto
le terrà dietro, vanno munite di parecchie callo-
[Seite 249] sità in diversi luoghi della pelle, le quali servono
all’ individuo per appoggiarvisi sopra senza dan-
no o dolore, quando è vinto dalla fatica, e quan-
do si sdraja o butta giù per dormire; di tali callo-
sità la più vistosa sta loro sulla parte anteriore del
petto; quattro un po’ più picciole ne sono visi-
bili lungo le zampe anteriori, e due sulle zampe
posteriori.
SPECIE 2. Cammello vero o Battriano. (C. Ba-
ctrianus: fr. le Chameau: ted. das Trampelthier:
ing. the Camel). – Questa specie porta sul dorso
due distinte gibbosità. (Vedi Ménagerie du Mus. nat.
Livraison I. Tab. 1).
È dessa indigena di tutte le regioni centrali del-
l’ Asia fino all’ Impero della China; se ne veggo-
no soprattutto torme ragguardevoli o mandre in-
tiere in Bessarabia e ne’ circonvicini paesi, ove a
motivo non meno della sua maggiore velocità nel
corso, di quello che pel comodo di quella spe-
cie di sella naturale che le due gobbe ne presen-
tano, il Cammello propriamente detto adoprasi
anche più volontieri in confronto col Dromedario,
del quale ragionammo nella specie precedente.
SPECIE 3. Lama o Llama, o anche Guanaco. (C.
Llama – Lacma: fr. le Lama: ted. das Liama –
die Camelziege – Guanaco: ing. the Llacma). –
Questa specie non ha gibbosità alcuna visibile
sul dorso, ma ne porta invece una ben manifesta
sul petto. (Vedi Schreber. Tab. 306.)
E dessa indigena, come lo è del pari la specie
seguente, dell’ America meridionale, e singolar-
mente delle regioni più montuose del Perù. Viene
colà adoperata come animale da soma, ed ogni
individuo, comunque di gran lunga più picciolo
sempre di statura, di quello che il siano i Cam-
melli e i Dromedarj, può comodamente portare
in viaggio un peso corrispondente ad un quintale
e mezzo.
SPECIE 4. Vigogna. (C. Vicunna: fr. la Vigogne:
ted. das Schafcamel: ing. the Vicugna). – Questa
specie non ha gibbosità in alcuna parte del suo
corpo, che è poi sempre coperto tutto quanto di
bella, lunga e finissima lana. (Vedi Schreber. Tab.
307).
La statura n’è ancora più picciola di quella del
Lama. – Quest’ animale non è suscettibile di di-
mestichezza, ma siccome la sua lana fina, e natu-
ralmente tinta di un bel colore di Cannella chiaro,
corrente in commercio appunto sotto il nome di
Vigogna, di pelo di Vigogna o di lana di Vigogna,
riesce preziosa per le manifatture de’ più fini pan-
nilani, perciò gli si danno annualmente grandi
caccio a rastrello, onde pigliarne il più che sia
possibile. Il così detto Bezoar o Bezoard occiden-
tale deriva anch’ esso da quest’ animale medesimo,
in uno degli stomachi del quale rinviensi a bastan-
za frequentemente.
GENERE XXXIII. Capra. (Capra: fr. Chévre:
ted. Ziege: ing. Goat). Le corna, ond’ ha armata la
fronte, sono internamente cave o vuote, ed ester-
namente bernoccolute, rugose o striate, ed aspre o
ruvide ed ineguali al tatto; a riguardo della loro
dentatura poi, gli animali spettanti a questo genere
mancano sempre affatto di denti incisivi nella loro
mascella superiore, portandone otto nella inferio-
re, e non hanno canini nè sopra nè sotto.
SPECIE 1. Pecora. (C. Ovis: fr. la Brébis –
le Bélier – le Mouton: ted. das Schaf: ing. the
Sheep). – Questa specie non ha mai barba sul
mento, ed ha le corna compresse ed incurvate a
foggia di mezza luna.
Pare che non rinvengasi più oggimai origina-
riamente selvatica in alcun luogo, e molte circo-
stanze concorrono anzi a farci credere ch’ essa non
sarebbe più suscettibile d’inselvatichire, come il
può invece benissimo la Capra propriamente detta
(C. Hircus: fr. la Chévre: ted. die Ziege: ing. the
Goat) di cui ragioneremo fra breve. Indigena ed
anzi comunissima, com’ è noto, anche fra noi, la
Pecora è riguardata, non solo in quasi tutto quanto
l’antico Continente, ma ben anche nel nuovo, ove
fu traspiantata dopo la scoperta fattane, come una
delle specie più utili tra i nostri animali dome-
stici.
Razze particolari appunto di Pecore, e degnis-
[Seite 252] sime che ne sia qui fatta speciale menzione, a mo-
tivo soprattutto della superba loro lana, sono per
esempio innanzi all’ altre, i così detti Merinos os-
siano Pecore di Spagna, delle quali le più apprez-
zate sono quelle di Segovia; poi vengono le Pecore
Inglesi, e più ancora di queste, l’altre mirabili, de-
rivatene immediatamente pur ora nella Colonia
dagl’ inglesi stabilita sulla Costa della Nuova Galles
meridionale nella Nuova Olanda; quindi le Pecore
d’Islanda armate in testa di quattro, di sei, ed an-
che di otto corna ben distinte, e finalmente le Pe-
core Arabiche e le Pecore d’Egitto, rimarchevoli
tra tutte l’altre per la grossa loro coda volumi-
nosa a segno da pesar bene spesso fin oltre a qua-
ranta libbre. Hannovene anche in Germania due
razze che meritano d’esser citate a parte, e sono
la Pecora così detta Marsch-Schafe, propria della
Frisia orientale, che non porta corna sul capo,
è grossa o grande molto di statura, riccamente co-
perta di bella lana, e ha corta e quasi affatto
calva la coda, e l’altra detta Pecora delle Lande
(Heidschnucken), propria del paese di Lüneburg,
che riesce al contrario di picciola statura, e nella
quale, tanto gl’ individui maschi, come le fem-
mine, hanno armata la fronte di corna. – Del resto
può dirsi così in generale, che tutte le Pecore di-
moranti fra i due Tropici, invece che ricciuta,
hanno la lana loro lunga, piatta e distesa, e che
[Seite 253] quelle dell’ Affrica più meridionale portano, oltre
a ciò, giù penzoloni le lunghe loro orecchie.
SPECIE 2. Ammone, o forse anche l’Argali.
(C. Ammon – olim Musimon: fr. le Moufflon:
ted. das Muffelthier: ing. the Argali). – Questa
specie ha le corna, non solo inarcate, ma circum-
flesse, quasi chi dicesse ravvolte in sè stesse, e per
di sotto alcun poco appianate, ed ha poi molli o
rilassate e pelose le due gozzaje, o quelle pieghe
della cute, che gli pendono sotto al collo, (palearibus
laxis pilosis – Vedi Schreber. Tab. 628).
Rinviensi dessa ne’ monti alti, tanto della Cor-
sica e della Sardegna, quanto anche nella Grecia,
e perfino in Barbaria. Quale specie affine assai
a questa, se non che la statura n’è poi più colos-
sale d’assai, può riguardarsi precisamente il così
detto Argali (C. Argali: l’Argali de’ Francesi, dei
Tedeschi e degl’ Inglesi), che incontrasi in tutta
quanta la Siberia fino al Kamtschatka, e anche al
di là nel Nord-ouest dell’ America settentrionale, e
che, mentre ci porge una saporitissima salvaggina,
porta la fronte armata di robustissime e pesantis-
sime corna1. Questo Argali è stato da qualche
Naturalista riguardato come lo stipite originario
[Seite 254] della nostra Pecora comune; ciò però non sa-
premmo ben dire con quanta ragione.
SPECIE 3. Irco, Capro, Caprone, Becco o
Capra propriamente detta, o la Capra comune. (C.
Hircus, o meglio Hircos: fr. la Chévre: ted. die
Ziege: ing. the common Goat). – Questa specie por-
ta sempre la barba sul mento, ed ha le corna ad un
tempo conformate ad arco, e carinate. La Capra
nostra domestica sembra procedere in prima ori-
gine dall’ Egagro (Aegagrus), che vive anche al
presente sulla catena del Caucaso, e sugli altri
terreni montuosi che ne stanno all’Est, e in uno
degli stomachi del quale, com’ eziandio in quello
di parecchie specie d’Antilope (Antilope), rin-
viensi quando a quando quella produzione globo-
sa, che corre sotto il nome di Bezoar (Bezoard)
orientale, e in grazia di cui appunto questa ma-
niera di Capra è conosciuta oggidì, più che altro,
sotto il nome di Capra dal Bezoar (Bezoarbock
de’ Tedeschi1). La Capra domestica, che era il
più importante tra gli animali domestici anche
fra gli antichi Guanchi dell’ Isole Canarie, e come
è noto, indigena e comune fra di noi, può con
molta facilità tornar salvatica, ed è a’ nostri tempi
diffusa per tutto quanto il globo, poco meno di
quello che sialo la Pecora di cui testè parlammo.
[Seite 255] – La così detta Capra d’Angora, denominata
eziandio da’ Tedeschi Kämmelthier, è quella che
ci fornisce, colla lunga e sericea sua lana, il più
pregevole filo di Cammello, a quel modo che si è
dal sopraffino peluzzo, che le belle e picciole Ca-
pre di montagna a corna diritte del Caschemir e
del Thibet hanno tramezzo alla grossolana e lun-
ga loro lana, che in que’ paradisiaci paesi si
vanno tessendo i più fini, i più belli e i più
costosi Shalls o Schawls1 che abbiansi in com-
mercio.
SPECIE 4. Lo Stambecco, o l’Ibice. (C. Ibex –
Capricornus: fr. le Bouquetin: ted. der Steinbock:
ing. the wild Goat). – Questa specie ha essa pure
la barba sul mento; ha grandissime le corna, di-
sposte in forma di mezza luna, noderose o bitor-
zolute nella loro faccia superiore, e rivolte verso
il dorso dell’ animale. (Vedi Meiner’s Museum der Na-
turgeschichte Helveticus N.° 1 e N.° 5).
Abita dessa, non meno sulle più elevate ghiac-
ciaje dell’ Alpi nostre Svizzere e Savojarde, di
quello che su’ monti più alti ed eternamente ne-
vosi dell’ ultima Siberia. Le due corna d’un an-
noso Stambecco possono insieme pesare anche ol-
[Seite 256] tre ad otto libbre tedesche, ed hanno cada una il
più delle volte appunto otto anelli bitorzoluti.
GENERE XXXIV. Antilope. (Antilope: fr. An-
tilope: ted. Antilope: ing. Antilope). Le corna ne
sono sempre internamente vuote o cave, tereti o
più o meno cilindriche, e disegnate ad anelli, o
conformate a foggia di spira. La dentatura poi n’è
analoga a quella del precedente genere Capra.
È questo un genere anch’ esso diffusissimo, di
modo che le numerose specie racchiusevi si tro-
vano, quali nelle regioni centrali, e quali nelle
regioni più meridionali dell’ Asia e anche dell’ Af-
frica, ove se ne rinvengono poi moltissime ne’ din-
torni del Capo di Buona Speranza.
SPECIE 1. Camozza, o Rupicapra. (A. Rupica-
pra: fr. le Chamois – l’Izard: ted. die Gemse:
ing. the Chamois). – Questa specie ha la coda
eretta fino quasi all’ estremità, che ne termina un-
cinata. (Vedi von Wildungen, Taschenbuch für das Jahr 1803).
È dessa indigena anche fra noi, ove vive nelle
regioni Alpine di tutta l’Europa centrale, come
vive pure nelle regioni occidentali dell’ Alpi. Vo-
gliono taluni, e la cosa non è poi al tutto impro-
babile, che gl’ individui di questa specie, amman-
sati o addimesticati, possano congiungersi fruttuo-
samente colle nostre Capre domestiche, ottenen-
dosene figli ibridi o bastardi. Accade talvolta che
ne’ cibi, che le Camozze assumono, vi siano peluzzi
[Seite 257] indigeribili per esse, e questi in tal caso, ammuc-
chiandosi mano mano nel loro stomaco, formano
poi quelle pallottole o que’ grumi, che sogliono
denominarsi pallottole o palle di Camozza, stima-
tissime un tempo, e note già agli antichi sotto il
nome latino di Aegagropilae.
SPECIE 2. Gazzella, o la Dorcade. (A. Dor-
cas: fr. la Gazelle: ted. die Gazelle: ing. the Be-
zoard-Antilope). – Questa specie ha le corna te-
reti ed annulate, ripiegate a mezzo il corpo loro,
e terminanti liscie alle loro estremità, che rivol-
gonsi l’una verso l’altra approssimandosi (Vedi
Schreber. Tab. 269).
È dessa indigena quasi di tutto quanto il Levan-
te, e rinviensi anche nell’ Affrica settentrionale. La
caccia di questo sveltissimo e slanciatissimo qua-
drupede costituisce una delle occupazioni predi-
lette degli Orientali, i Poeti de’ quali sogliono
spesso nelle loro canzoni, pigliarlo anche a modello
cui rapportare ogni più piccante idea di bellezza,
a riguardo della donna che imprendono ad en-
comiare.
SPECIE 3. Oreotrago o il Saltascogli. (A.
Oreotragus: fr. la Gazelle sautante: ted. der Klipp-
springer: ing. the leaping Antilope). – Questa spe-
cie ha le corna dritte lesiniformi o subulate; la
testa coperta d’un pelo di color rufo, o fulvo-ros-
seggiante, col corpo vestito d’una lana di colore
[Seite 258] giallo verdiccio, e colla coda assai corta. (Vedi
Schreber. Tab. 259).
È indigena dell’ Affrica meridionale.
SPECIE 4. Pigarga. (A. Pygarga: fr. la Ga-
zelle de parade: ted. der Springbock – Prunk-
bock: ing. the white faced Antilope). – Questa
specie ha le corna conformate a foggia di lira
(cornibus liratis); porta una striscia o riga di co-
lor bruno lateralmente, tanto sulle guance, quanto
lungo il tronco, ed ha poi coperte di lana bianca
amendue le natiche. (Vedi Vosmaer, Description de la
Gazelle de parade).
Abita dessa nell’ interno della parte più meri-
dionale dell’ Affrica, d’onde annualmente in for-
ma d’intere mandrie, o di stormi di molte migliaia,
questi animali migrano verso il Capo di Buona
Speranza, per tornarsene poi indietro dopo alcuni
mesi.
SPECIE 5. Leucofea. (A. Leucophaea: fr. la
Leucophaee: ted. der grosse blaue Bock: ing. the
great blue Antilope). – Questa specie ha le cor-
na piuttosto tereti, disegnate per anella e cur-
vate alquanto all’ indietro, ed ha poi un mantello
di pelo volgente all’ azzurrognolo. (Vedi Schreber.
Tab. 278).
Dessa attualmente non si rinviene più, se non
soltanto in Caffreria, essendone stata distrutta la
specie per tutto altrove.
SPECIE 6. Oreas. (A. Oreas: fr. le Canna:
ted. das Cudu: ing. the Canna). – Questa specie
ha le corna subulate, o conformate a foggia quasi
di lesina, ma dritte e carinato-contorte, ed ha poi
il pelo di color grigio. (Vedi Vosmaer, Description d’un
animal appellé Canna).
È dessa indigena, tanto delle contrade meridio-
nali dell’ Affrica, quanto dell’ Indie Orientali. – La
forma e la lunghezza delle sue corna dritte ram-
mentanti quell’ animale quasi decisamente favo-
loso che denominavasi Lioncorno od Unicorno (Mo-
noceros – Unicornus: fr. la Licorne: ted. das
Einhorn: ing. the Monoceros), può forse aver
dato ansa, fin da gran tempo, appunto a questa
favola.
SPECIE 7. Antilope dipinta. (A. Picta – Tra-
go-camelus di Pallas: fr. le Nylgau: ted. das
Nylghau: ing. the Nylgau). – Questa specie ha
le corna incurvate, ma colle punte rivolte all’ in-
nanzi; ha forniti d’una criniera il collo e la cer-
vice; ha lunga e fioccosa la coda, ed ha le zampe
tutte disegnate ad anelli alternanti di bianco e di
nero. (Vedi W. Hunter nelle Philosophical Transactions.
Vol. LXI. Tab. 5).
È dessa indigena del Bengala e di que’ din-
torni.
SPECIE 8. Gnu. (A. Gnu – Gnus: fr. le Gnou:
ted. das Gnu: ing. the Gnou). – Questa specie
[Seite 260] ha essa pure le corna incurvate e rivolte anterior-
mente, colle loro punte ripiegate; porta la barba
sul mento ed ha, tanto il collo, quanto il petto,
ornati in certo modo d’una criniera. (Vedi Vosmaer,
Description du Gnou).
Abita dessa nelle regioni più deserte, che a par-
tir dal Capo di Buona Speranza, stendonsi entro
terra per l’Affrica meridionale. L’individuo ne
vien grosso quasi come un Cavallo, e a riguardo
della corporale sua conformazione, ha invece qual-
che maggiore rassomiglianza col Bue o col Toro1.
GENERE XXXV. Bue. (Bos: fr. Beuf: ted. Ochs:
ing. Bull). Le corna ne sono internamente vuote
o concave, e quanto all’ esterno sono desse con-
formate più o meno a foggia di mezza luna, e li-
sce alla superficie; la dentatura n’è poi confor-
mata come nel Genere precedente.
SPECIE 1. Toro. (B. Taurus: fr. le Beuf:
ted. der Ochse: ing. the Ox). – Questa specie ha
le sue corna tereti, incurvate al di fuori, ed ha la
gozzaja rilassata, che gli cade giù penzoloni da
ambe le parti.
Il Bissonte dell’ antico Continente, ossia il Toro
o Bue selvatico primigenio, detto anche l’Uri, o
l’Uro, (Urus – Bonasus: fr. le Bison: ted. der
Auerochs: ing. the Bison), rinviensi anche attual-
mente in Polonia, in Lituania ed in Siberia, ma
negli antichi tempi era indigeno eziandio delle va-
ste selve della Germania; è però poco verosimile, in
vista soprattutto delle ragguardevoli differenze che
rimarcansene nella conformazione del corpo, che
questo possa essere stato effettivamente lo stipite
selvatico originario de’ nostri attuali Bovini dome-
stici. Rammenteremo qui soltanto, per ometterne
[Seite 264] tante altre, la razza mezzo selvatica dell’ isole dei
Ladroni, la quale ha bianco tutto il mantello, a
meno dell’ orecchie, che ne sono sempre di color
bruno o di color nero, e di cui hannosi ora qua
e là dispersi frequenti esempi nella Gran Bretta-
gna, la razza Siciliana a corna realmente colos-
sali, e quell’ altra razza al tutto priva di corna,
che incontrasi in alcune provincie dell’Inghilterra.
Sembra al contrario troppo dubbioso ancora se
la così detta Vacca gibbosa dell’ Indie orientali, o
il Bue gibboso, (Bos Indicus: fr. le petit Boeuf bos-
su des Indes: ted. die Buckelkuh – il Zebu de-
gl’ Indi, che lo venerano come animale sacro), sia
da riguardarsene, piuttosto come una semplice va-
rietà, che non come una specie distinta. (Vedi Mé-
nagerie du Muséum National Livraison IV. Tab. 3).
In uno de’ ventricoli di questo bestiame cornuto
accade talora di rinvenir certe pallottole, più o
meno globose, intieramente costituite dal pelo che
l’individuo, leccandosi la pelle, è andato mano ma-
no inghiottendo. Havvi di frequente tra questi
animali una terribile epizoozia pestilenziale ch’ è
loro propria, e che a datare dall’ anno 1711 reca
loro bene spesso lunghi e gravissimi danni; mentre
all’ opposto trovò in compenso il famoso D. Jen-
ner che certe pustule, le quali vengono accidental-
mente alle zinne delle vacche, ci forniscono un
eccellente e sicuro preservativo contro i tristissimi
effetti del contagio vajuoloso.
SPECIE 2. Buffalo. (B. Buffalus: fr. le Buffle:
ted. der Büffel: ing. the Buffalo). – Questa spe-
cie ha le corna rivolte all’ indietro, contorte e
anteriormente piane od appianate e lisce. (Vedi
Schreber. Tab. 300).
È dessa realmente originaria del Thibet, ma si
è ora diffusa a poco a poco per la massima parte
delle regioni dell’ Asia, e dell’ Affrica settentrio-
nale, e riscontrasi qua e là anche nella nostra Eu-
ropa, e dal secolo settimo perfino in Italia, nella
Ungheria e nel Salisburghese, ove si suole allevarla
e nudrirla domesticamente, per giovarsene poi al
bisogno come d’animale da tiro. Il Buffalo ha nera
la pelle e coperta d’un pelo corto e sottile, della
quale, come fortissima, si fa uso con sommo van-
taggio in molti modi, ma segnatamente poi per
prepararne otri e simili.
SPECIE 3. Arni. (B. Arni: fr. le Buffle gèant:
ted. der Riesenbüffel: ing. the Arni). – Questa
specie ha le corna lunghissime, divergenti molto,
e conformate in figura di mezza luna. (Vedi Abbil-
dungen ec. Tab. 63).
È dessa indigena delle regioni più settentrio-
nali dell’ Indostan, e perviene a tanta mole che
un individuo, anche giovinissimo e non cresciuto
compiutamente, ne pesa talora oltre a quindici
quintali.
SPECIE 4. Bue grugnente. (B. Grunniens: fr.
[Seite 266] le Beuf à queue de Cheval: ted. der Buffel mit dem
Pferdeschweif – Ziegenochse: ing. the Grunting-
bull). – Questa specie ha le corna tereti, incur-
vate per di dentro; ha il vello che gli pende al-
l’ ingiù, ed ha tutta quanta la coda guernita di
lunghe setole, a foggia di criniera, appunto come
hannola i Cavalli. (Vedi Abbildungen ec. Tab. 23).
È dessa propriamente indigena del Thibet, ma
è ritenuta come animale domestico anche nell’ In-
dostan; l’individuo ne riesce alcun poco più pic-
ciolo che i nostri Bovini comuni, da’ quali distin-
guesi soprattutto in forza del grugnire che fa colla
voce, in forza del vello lanuginoso di cui è rive-
stito alla maniera delle Capre, ed in forza della sua
coda, coperta tutta di lunghissime e fine setole di-
sposte per ciocche, che quando riesce veramente
bella, nell’ Indie orientali è apprezzata moltissi-
mo e vendesi cara assai.
SPECIE 5. Bissonte. (B. Bison: fr. le Bison
du Nord de l’Amérique: ted. der Nordamerica-
nische Bison: ing. the American Bison). – Questa
specie ha corte le corna, divergenti l’una dall’ al-
tra; ha una lunghissima criniera, ed ha gibbosa
la schiena. (Vedi Schreber. Tab. 296).
Dessa ci presenta il più grande tra i Quadru-
pedi del nuovo Continente, dove, ma positivamen-
te poi nelle selve paludose delle regioni tempe-
rate dell’ America settentrionale, vive selvatica
[Seite 267] per mandrie, talora anche molto numerose, in
istato di pienissima libertà. Durante l’inverno l’in-
dividuo ha tutto quanto il corpo vestito di lun-
go pelo, mentre in primavera poi comincia desso
a perdere la lana che avea sul dorso, e quella pure
che rivestivagli la parte posteriore del corpo, sic-
chè più in fine non gli rimane se non la bella e
ricca criniera, onde porta ornati sempre, cosi il
collo, come il petto.
SPECIE 6. Bue muschiato. (B. moschatus: fr. le
Boeuf musqué: ted. der Bisamsthier – Bisams Och-
se: ing. the Musk Ox). – Questa specie ha larghis-
sime, e come chi dicesse schiacciate, e sulla fron-
te contigue, le basi delle sue due corna, sempre ri-
volte all’ ingiù, per modo però che le punte ne
guardano all’ indietro. (Vedi Captain Parry’s, 1. voyage
Tab. 17).
È dessa indigena esclusivamente all’ estreme re-
gioni dell’America settentrionale, poste all’ Occi-
dente della Baja d’Hudson tra il 66.° e il 73.° gra-
do di latitudine Nord. Le due corna di quest’ ani-
male, pesate insieme, superano talora un mezzo
quintale.
GENERE XXXVI. Giraffa. (Giraffa: fr. Giraffe:
ted. Giraffe: ing. Giraffe). Le corna ne sono
semplicissime, coperte di pelo, e terminanti in un
pennello, o in un picciolo fascetto di peli neri;
quanto alla sua dentatura, diremo che mancano
[Seite 268] qui affatto i denti incisivi nella mascella superio-
re, mentre nella inferiore se ne contano otto,
tutti conformati a foggia di spatola, ad eccezione
del più esteriore di tutti, che riesce come diviso
in due lobi; mancanvi pure onninamente i denti
canini, tanto sopra, quanto sotto.
SPECIE 1. ed UNICA. La Giraffa. (G. Camelo-
pardalis – Nabis: fr. la Giraffe: ted. die Giraffe:
ing. the Giraffe). – I caratteri specifici ne sono
quelli già da noi indicati, come costituenti il Ge-
nere. (Vedi Captain Carteret nelle Philosophical Transactions,
Vol. LX. Tab. 1).
Abita la Giraffa nell’ interno dell’ Affrica, il
suo lungo collo, il corpo in proporzione cortissi-
mo, la schiena sua inclinatissima verso le parti
posteriori bassissime, il suo pelame di fondo ros-
so, assai leggiadramente macchiato, contribuiscono
a questo mammifero in complesso un aspetto qua-
si nuovo e strano, suo proprio particolare, che di-
venta ancora più stravagante veggendolo a cam-
minare all’ ambio, da che, obbligato, com’ è, a le-
vare ad un tempo, procedendo, il piè d’innanzi
e il piè di dietro della stessa parte, viene a risul-
tarne che il suo passo rammenta, più che altro, il
modo di moversi ch’ è proprio di quel pezzo che
nel giuoco degli scacchi usiamo denominare il Ca-
vallo. Quando è dritta, la Giraffa giugne ad esser
alta fino all’ incirca sedici piedi.
GENERE XXXVII. Cervo. (Cervus: fr. Cerf: ted.
Hirsch: ing. Stag). Le corna ne sono sode, ripie-
ne, e ramose o multifide, in Italia ordinaria-
mente contraddistinte col nome proprio di Rami
o di Palchi, come il sono anche in Francia con
quello di Bois ed in Germania con quello di Ge-
weih; i denti ne sono analoghi a quelli indicati
come proprii de’ Generi immediatamente prece-
denti, a meno che in alcune specie havvi qualche
dente canino solitario nella mandibola superiore.
SPECIE 1. Alce. (C. Alces: fr. l’Élan: ted.
das Elennthier – Elk: ing. the Elk). – Questa
specie ha le sue corna (i palchi) piane, senza
tronco, e palmate o conformate a foggia quasi
della palma d’una nostra mano. (Vedi von Wildungen
Taschenbuch für das Jahr 1805).
Abita dessa in tutte quante le regioni più set-
tentrionali del Globo, quando almeno l’Orignal
(C. Orignal: fr. l’Orignal: ted. das Nord-ameri-
canische Ellen: ing. the Moose-deer1) dell’ Ameri-
ca settentrionale non sembri piuttosto da ritenersi
come una specie a parte, lo che effettivamente non
ci parerebbe; l’individuo ha lunghissime le gambe,
e perviene alla mole ordinaria d’un Cavallo, sicchè
può pesare fin oltre a mille dugento libbre, da
[Seite 270] cinquanta e più delle quali costituiscono il peso
totale de’ suoi palchi.
Quest’ animale è suscettibile di domestichezza,
a segno da poterlo condurre per mandrie al pa-
scolo, e anche da farne uso come d’animale do-
mestico ora da soma e ora da tiro. Quanto all’ an-
ticamente invalsa favola che l’Alce vada tratto
tratto soggetto ad insulti Epilettici, noi crediamo
che all’ epoca attuale non siavi oggimai più prezzo
dell’ opera nel confutarla.
SPECIE 2. Damma, o Daina, o anche il Daino. (C.
Dama: fr. le Daim: ted. der Damhirsch – Tann-
hirsch: ing. the Buck – Fallow-deer). – Questa
specie ha i suoi palchi, o le corna appena alcun
poco ramificate e compresse, o in certo modo
piatte o schiacciate, ma palmate poi verso la som-
mità loro. (Vedi von Wildungen Taschenbuch für das
Jahr 1796).
È dessa indigena delle regioni temperato d’Eu-
ropa, e rinviensi anche fra noi nelle nostre selve
Alpine; l’individuo ne riesce più picciolo del
Cervo comune; ed è soggetto a variar molto, quanto
al colore del suo pelo.
SPECIE 3. Tarando, o più comunemente il
Rangifero. (C. Tarandus – Rangifer: fr. le Ren-
ne, o la Renne: ted. das Renthier – Rennthier:
ing. the Rein). – Questa specie porta lunghe nei
due sessi le corna semplici, tereti, appena sem-
[Seite 271] plicemente palmate verso la loro sommità, ed ha
una sorte di criniera, che le cade giù distesa e
penzoloni dal collo e dalla gola. (Vedi von Wildun-
gen Taschenbuch für das Jahr 1805).
Rinviensi in tutte le regioni le più settentrionali
del nostro Globo, ove talora, come per esempio
al Kamtschatka, accade di incontrarne stormi di
mille e più individui a un tratto, viventi in pie-
nissima libertà.
Questo mammifero non può assolutamente reg-
gersi in vita in climi più caldi di quelli de’ quali
accennammo esser esso naturalmente indigeno, e
a pena puossi recare in contrario l’esempio del-
l’ Islanda, ove gli uomini con qualche buon suc-
cesso riuscirono a traspiantarne la razza. Nutresi
esso di foglie secche, ed in particolare poi d’un
certo Lichene, detto appunto perciò Rangiferino
(Lichen rangiferinus), che ne’ luoghi freddissimi,
de’ quali il Rangifero è indigeno, esso sa andarsi
a cercar fin sotto all’ alte nevi che li cuoprono.
Quest’ animale è realmente un tesoro pe’ Lappo-
nesi, pe’ Samogizii o Samojedi, pe’ Tartari Ton-
gusi, per gli Tsciutsci e pe’ Kuriachi, mentre serve
loro per mille e mille riguardi alla soddisfazione
di quasi tutti quanti i più importanti bisogni
della vita.
SPECIE 4. Elafo, o il Cervo propriamente
detto. (C. Elaphus: fr. le Cerf: ted. der Edelhir-
[Seite 272] sch: ing. the Stag). – Questa specie ha i palchi
ramosi, tereti da per tutto, ripiegati all’ indietro,
e multifidi alla loro estremità. (Vedi von Wildungen
für das Jahr 1794).
Indigena anche fra noi, si può dire ch’ essa ha
comune la patria coll’ Alce, se non che poi il Cervo
predilige in confronto le contrade alquanto più
meridionali; non è vero per niente che il numero
de’ rami delle sue corna corrisponda precisamente
agli anni ch’ esso ha d’età, mentre dopo scor-
sone l’anno ottavo, il numero delle ramifica-
zioni de’ palchi ne riesce affatto indeterminato, e
i più grandi, che ritengonsi anche come i più belli,
è rado assai che terminino in più che in venti-
quattro capi o estremità isolate. Il Cervo può
vivere fino all’ età di trent’ anni e fors’ anche un
po’ più oltre.
SPECIE 5. Capriolo, o il Cavriuolo. (C. Ca-
preolus: fr. le Chevreuil: ted. das Reh – der Reh-
bock: ing. the Roe). – Questa specie ha le corna
ramose, tereti, dritte, e terminanti in sommità
bifide. (Vedi von Wildungen für das Jahr 1797).
Indigena anche fra di noi, lo è dessa eziandio
di tutte quante le zone calde e temperate della
nostra Europa, com’ anche dell’ Asia. I palchi
del Capriolo, particolarmente se è stato castra-
to, riescono più stranamente sfigurati da numero-
se esostosi, di quello che non siasi osservato succe-
[Seite 273] der mai a qualsivoglia altra specie spettante a
questo medesimo Genere1.
GENERE XXXVIII. Mosco. (Moschus: fr. Chevro-
tin: ted. Bisamthier: ing. Musk). Non porta mai
armata la fronte di corna; i denti incisivi ne sono
sempre come ne’ Generi immediatamente prece-
denti, e i denti canini della mascella superiore ne
sono solitarj e ad un tempo scoperti e manifesti
(laniarii superiores solitarii, exserti).
SPECIE 1. Mosco vero – l’animaletto del
muschio, ossia il Moschifero. (M. Moschifer: fr. le
Musc: ted. das Bisamthier; non però Bisamsthier
ch’ è il nostro Bue muschiato: ing. the Musk). – Que-
sta specie porta all’ umbilico una picciola tasca,
o per meglio dire un follicolo, in cui racchiudesi
quella sostanza animale odorosissima, che è uni-
versalmente conosciuta sotto il nome di Muschio
(Vedi Schreber Tab. 242).
È dessa indigena delle regioni montuose del
Thibet e della Siberia meridionale, ove abita di
preferenza le selve più folte e più cupe; il ma-
schio ne porta presso al bellico una tal quale, vo-
gliasi dir borsa, o follicolo, grande a un di pres-
so quant’ un uovo di gallina, in cui va natural-
mente separandosi e accumulandosi quella droga
[Seite 279] medicinale profumatissima, cui dassi appunto il
nome di Muschio.
SPECIE 2. Mosco pigmeo. (M. Pygmaeus: fr.
le Chevrotain – Chevrotin – o anche le Chevro-
tin de Guinée: ted. das kleine Guineische Reh-
chen: ing. the pygmy Musk). – Questa specie ha
il mantello di colore rossastro fosco, ma è bianca
per di sotto, ed ha poi alcune picciole unghie,
quasi direbbesi sostituite all’ unghie solite. (Vedi
Seba Thes. I. Tab. 45. fig. 1).
Abita così all’ Indie orientali, come nella Gui-
nea; l’individuo può riguardarsi come il più pic-
ciolo tra gli animali che racchiudonsi in questo
VI. Ordine de’ Mammiferi bisulci, o delle così det-
te Pecore; le sue gambe o zampettine non sono
più lunghe d’un dito, nè più grosse d’una penna
da scrivere o d’un tubetto da pippa.
Mammiferi Multunguli (Multungula – Belluae)
ne’ quali racchiudesi la massima parte de’ Pachy-
dermes (Pachydermata), ch’ è quanto dire a cute
densa, stabiliti dal celebre Cuvier.
I più de’ Mammiferi compresi in questo Or-
dine VII. sogliono essere di mole assai vi-
stosa, ma sono generalmente tozzi e qua-
si deformi; hanno la più o meno densa
loro pelle coperta o di setole, o di corti
peluzzi, e portano ad ogni loro piede più
di due unghioni o corna pedali; lo che è
da intendersi ponendo mente a’ Porci, i
quali nel fondo hanno anch’ essi sempre
ad ogni piede quattro unghioni, o se così
vogliasi, quattro corna pedali.
GENERE XXXIX. Porco. (Sus: fr. Porc: ted.
Schwein: ing. Boar). Il grugno ne è mobile, molto
prominente, o prodotto innanzi in lunghezza, e ter-
mina come troncato; nel maggior numero delle spe-
cie i denti incisivi superiori ne sono in numero di
quattro convergenti, e gl’ inferiori, in numero di
sei, ne riescono prominenti; quanto poi a’ canini, ve
[Seite 281] ne sono due sopra e due sotto, scoperti e manife-
sti (exserti).
SPECIE 1. Scrofa, o il Porco comune o dome-
stico, che suole poi dirsi propriamente il Cin-
ghiale o il Cignale, quando è salvatico. (S. Scrofa:
fr. le Cochon, quand’ è domestico, le Sanglier,
quand’ è salvatico: ted. das haus-Schwein – za-
hme Schwein, se domestico, das wilde Schwein,
se salvatico: ing. the Hog, se domestico, the wild
Boar, se salvatico). – Questa specie ha la schiena
vestita di setole, e la coda pelosa.
Il Cignale ha sempre il grugno ancora più bi-
slungo di quel che non abbialo il Porco propria-
mente detto o il Porco domestico, come ne ha in
generale una forma di cranio o di teschio, manife-
stamente diversa, come ne ha più corte e ne
porta più ritte le orecchie, e come ne ha anche
assai più grosse le zanne, o i denti canini; alle
quali cose resta ulteriormente da aggiugnersi, che
il Cignale non si sa che vada mai soggetto a quelle
Idatidi (Hydatis Finna), le quali sono così fre-
quenti nel Porco domestico, e che il primo suole
aver quasi sempre la pelle o il pelame di colore
affatto grigio-nero.
Pochissimi animali sono tanto, quasi direbbesi,
universalmente diffusi per tutta la Terra, come si
è in fatto trovato esserlo il Porco domestico, il
quale è dotato di finissimo odorato, e può riguar-
[Seite 282] darsi quasi come omnivoro. Le femmine di questa
specie sgravansi non di rado due volte all’ anno e
perfino di venti porcelletti ad ogni volta. In Ame-
rica, ove la specie ne fu trapiantata dall’ Europa,
in parte i Porci sono rinsalvatichiti, e tali sono ap-
punto quelli che i Francesi contraddistinguono
col nome di Cochons marrons, che presso di noi
suonerebbe: Porci col pelame di color castagno.
Nell’ isola di Cuba questi animali ingigantirono,
per così dire, mentre gl’ individui ne divennero
del doppio più voluminosi di quello che nol fos-
sero i Porci Europei onde derivano; ed a Cubagua
degenerarono per caso in strano modo, da che la
razza di Porci, ivi resasi indigena, porta ora un-
ghioni, o corna pedali, così lunghe da pigliar ca-
dauna in lunghezza uno spazio di circa mezzo
palmo. – I Porci Chinesi (les Cochons de Siam
de’ Francesi: die schinesischen Schweine de’ Te-
deschi), hanno sempre le gambe o le zampe più
corte che i Porci nostrali, ed hanno il loro dorso
inarcatissimo, ma senza traccia di criniera. – In
Isvezia, com’ anche in Ungheria, non è infrequente
l’abbattersi in una varietà di Porci, che hanno
l’unghione indiviso, varietà che non rimase sco-
nosciuta nemmeno agli Antichi. – Si sono del pa-
ri veduti talvolta Porci che, invece de’ quattro
soliti unghioni, ad ogni piede ne portavano cin-
que.
SPECIE 2. Porco Etiopico, o anche l’Emgalo.
(S. Aethiopicus: fr. le Sanglier du Cap Verd: ted.
das Emgalo: ing. the Emgallo). – Questa specie
è affatto mancante di denti incisivi, ed ha i canini
della mandibola superiore conformati a foggia di
mezza luna, esternamente curvi; oltre a tali carat-
teri, porta dessa poi ancora certe tasche, o borse
molli, o veramente sacchi verrucosi, situati al di
sotto degli occhi. (Vedi Abbildungen etc. Tab. 92).
Abita nell’ interno dell’ Affrica meridionale, e
rinviensi anche al Madagascar. È questo un Cin-
ghiale o Porco salvatico terribile, colla testa gros-
sissima, e con un grugno dell’ ampiezza d’una
buona spanna, portante, come si è accennato, al-
cuni vistosi porri, escrescenze, o verruche car-
nose, sotto gli occhi.
SPECIE 3. Tajassu, o anche il Pecari. (S.
Tajassu – Pecari – Pakira: fr. le Pecari: ted.
das Bisam-schwein – Nabelschwein: ing. the
Pecary). – Questa specie non ha traccia alcuna
di coda, e porta in fondo alla schiena un borsel-
lino, o un follicolo, con entrovi una sostanza fra-
grante, analoga al Muschio. (Vedi Schreber Tab. 325).
Dessa frequenta a stormi, o a foggia di mandrie
salvatiche, le regioni più calde dell’ America meri-
dionale. L’individuo può pesarne tutt’ al più ses-
santa libbre.
SPECIE 4. Cerviporco, o il Babirussa. (S. Babi-
[Seite 284] russa: fr. le Babiroussa: ted. das Hirsch-Schwein
– Babirussa: ing. the Babiroussa1). – Questa spe-
cie ha i denti canini superiori grandissimi, paral-
leli, e inarcati all’ indietro. (Vedi Schreber Tab. 328).
Rinviensi, più che altrove, all’ isole Molucche;
vive moltissimo nell’ acqua, e nuota così bene da
reggere ottimamente al viaggio dall’ una all’ altra
di quell’ isole, sebbene a bastanza tra di loro di-
stanti. Sarà difficile il decidere a quale uso siano
propriamente destinati i grandi denti canini, con-
formati quasi a perfetto circolo, onde volle Natura
provvederne la mandibola superiore, e che negli
individui femmine riescono di gran lunga più
piccioli.
GENERE XL. Tapiro. (Tapir: fr. Tapir: ted.
Tapir: ing. Tapir). I denti incisivi ne sono sei
per lato, tanto sopra, quanto sotto; i canini ne
sono in numero di quattro; le palme, o i piè d’in-
nanzi ne portano quattro unghioni distinti, men-
tre alle piante, ossia a’ piè di dietro, non se ne con-
tano che tre soli.
SPECIE 1. ed UNICA. Tapiro americano. (T. Ame-
ricanus – altre volte T. suillus: fr. le Tapir: ted.
der Tapir – Anta: ing. the American Tapir). –
(Vedi Schreber. Tab. 319).
È questo il più grande quadrupede, che vantar
[Seite 285] possa l’America meridionale, tutto che non per-
venga esso a maggiore grossezza di quella che cor-
risponderebbe ad un nostro mezzano Bue comune;
la testa e le gambe ne sono conformate, a un di-
presso come il sono tra di noi nel Porco, le parti
corrispondenti, se non che nel Tapiro poi il
labbro superiore, che ne riesce mobilissimo, ter-
mina in una punta molto acuminata. Ha desso
per costume di sedere bene spesso sulle zampe po-
steriori, appunto come sogliono fare i Cani; get-
tasi assai volentieri nell’ acqua, ed è ottimo nuo-
tatore.
Troviamo opportuno l’avvertire ora qui che il
Maïta1, indigeno dell’ Indie orientali e segnata-
mente della Penisola di Malacca, e anche dell’ isola
Sumatra, debb’ essere un animale sommamente
analogo al Tapiro d’America.
GENERE XLI. Elefante. (Elephas: fr. Éléphant:
ted. Elephant: ing. Elephant). Ha questo il lab-
bro superiore terminante in una molto lunga Pro-
boscide carnosa, robustissima ed afferrante (Pro-
boscis prehensilis), ed ha voluminosi assai, curvi
e pendenti all’ ingiù fuor di bocca alla scoperta
(exserti), i suoi due denti canini della mandibola
superiore, che sono d’avorio, e che sogliono de-
[Seite 286] nominarsi appunto avorii, o zanne, o anche talora
difese (Défenses de’ Francesi).
SPECIE 1. Elefante d’Asia. (E. Asiaticus: fr.
l’Éléphant d’Asie: ted. der Asiatik-Elephant:
ing. the great Elephant). – Questa specie ha il
capo in proporzione più lungo, e le angolose sue
orecchie più picciole, di quello che non abbia l’Ele-
fante Affricano; ha poi la fronte in certo modo
infossata, o alcun poco concava, ed ha la corona
de’ suoi denti molari segnala nel piano terminale
da linee o solchi paralleli che procedono alquanto
ondulati. (Vedi Ménagerie du Muséum national Livraison II.
Tab. 2 e Livraison VII. Tab. 3. – e Vedi eziandio le nostre
Abbildungen etc. Tab. 19, Fig. B.).
Questo Elefante è propriamente indigeno delle
Contrade meridionali dell’ Asia, e soprattutto poi
dell’ isola Ceylan. È desso il più colossale di tutti
i quadrupedi, a tale che perviene fino all’ altezza
di quindici piedi, e giunto all’ età di vent’ anni,
può pesare anche più di settanta quintali. La sua
pelle, che d’ordinario suol essere di color grigio,
comunque densissima e sul dorso spessa quasi un
pollice, riesce pur tuttavia sensibile anche alle
morsicature o alle punture degl’ insetti. Uno degli
organi più importanti dell’ Elefante è senza dubbio
la sua Proboscide, o come altri dicono, la sua
tromba dal Francese trompe, che gli serve, non
meno per respirare, che per procurargli uno squi-
[Seite 287] sito e finissimo odorato, per sorbir l’acqua, per
assumere il proprio cibo e recarselo così fin dentro
la bocca, e per giovarsene in mille casi a foggia
di mano, eseguendo anche con essa moltissimi
giuochi di destrezza, che gli si facciano imparare.
L’individuo può a beneplacito prolungare questo
suo organo, che abitualmente è lungo tre piedi,
fino al doppio di tale misura, e l’estremità, che
ne è fornita d’una sorte d’uncino carnoso flessi-
bilissimo, gli serve a diversi maneggi, o vogliam
dire operazioni delicatissime e straordinariamente
industriose, come per esempio, a scioglier nodi,
ad aprire diverse affibbiature, a sturar bottiglie,
a pigliar su in un tratto solo un mucchio di mo-
nete, e così via discorrendo. Vive desso principal-
mente di fronde arboree, di fogliami, di riso, e
d’altri erbaggi; nuota poi con somma leggerezza
e facilissimamente anche in tempo di forte burra-
sca, ed eziandio lungo i torrenti. Per accoppiarsi
è forza che il maschio monti la femmina, a quel
modo che suol fare la massima parte degli altri
quadrupedi mammiferi. Quanto al neonato Ele-
fantino, è oggimai fuor di dubbio ch’ ei poppa
usando la bocca, e non già valendosi della Pro-
boscide, come a torto hanno alcuni opinato o vo-
luto dar ad intendere. A un dipresso all’ età di tre
o di quattro anni soltanto spuntano, tanto agli Ele-
fanti maschi, quanto alle femmine, quelle due zan-
[Seite 288] ne, che ci forniscono poi l’Avorio, che possono
giugnere per fino alla lunghezza di sette e anche di
otto piedi, cadauna pesandone ben talora oltre
a due quintali. È probabile che l’Elefante per-
venga non di rado fino all’età di dugento anni.
Si fa uso frequentissimo di questo quadrupede co-
lossale e suscettibile di molta domesticità, come
di bestia da soma, potendo esso sopportare in
viaggio oltre a dugento quintali, e trasportare ca-
richi anche varcando monti alti e scoscesi. L’in-
cesso suo ha qualche cosa di non comune, men-
tre, senz’ alzare gran fatto i piè da terra, consiste
più che altro in un tal quale svelto spingere in-
nanzi le gambe, con tanta sicurezza che l’animale
non vacilla e non inciampa mai, nemmeno in quei
luoghi ne’ quali non v’ ha strada segnata1.
SPECIE 2. Elefante d’Affrica. (E. Africa-
nus: fr. l’Elephant d’Afrique: ted. der Africani-
sche Elephant: ing. the African Elephant). – Que-
st’ altra specie d’Elefante ha più rotonda la testa
che non abbiala l’Asiatico; ha la fronte piuttosto
convessa che concava: ha di gran lunga più grandi
l’orecchie esterne, col lembo loro subrotondo, ed
[Seite 289] ha poi la corona de’ denti molari divisa in parti,
quasi direbbesi, romboidali. (Vedi Abbildungen etc.
Tab. 19. Fig. C.).
È dessa indigena delle regioni centrali e meri-
dionali dell’ Affrica, e non è infino ad ora tenuta al-
trove, nè adoperata come animale domestico, se non
appunto nell’ Affrica centrale; mentre del resto
non gli si danno cacce con altro scopo, fuorchè
quello d’ammazzarne gli individui per cibarsi poi
della lor carne, e per giovarsi dell’ Avorio delle
loro zanne nel commercio.
GENERE XLII. Rinoceronte. (Rhinoceros – Aba-
da: fr. Rhinocéros: ted. Nashorn: ing. Rhinoceros).
Questo genere ha come caratteristico un corno
solido, di forma conica, impiantato al di sopra
del naso.
SPECIE 1. Rinoceronte d’Asia. (R. Asiaticus:
fr. le Rhinocéros d’Asie: ted. der Asiatik Nashorn:
ing. the one horned Rhinoceros). – Questa specie
ha i denti incisivi da ogni parte in numero di quat-
tro, conici quelli della mascella inferiore, ed alcun
poco lobati quelli della mascella superiore; man-
canvi poi del tutto i denti canini. (Vedi Abbild. etc.
Tab. 7. Fig. B.).
È dessa indigena dell’ Indie orientali. Il corno che
questa specie porta, il più delle volte solo, sul naso
non è già, come noi sono mai neppure i due che
la specie Affricana vi porta l’uno dietro all’ altro,
[Seite 290] concresciuto o radicato nell’ osso nasale sottopo-
sto, ma vi è semplicemente sovrapplicato e rite-
nuto in sesto per opera soltanto degl’ integumenti
cutanei.
SPECIE 2. Rinoceronte d’Affrica. (R. Africa-
nus: fr. le Rhinocéros d’Afrique: ted. der Africani-
sche Nashorn: ing. the two horned Rhinoceros). –
Questa seconda specie di Rinoceronte non ha nè
denti incisivi, nè denti canini. (Vedi Abbild. etc.
Tab. 7. Fig. A.).
È dessa indigena dell’ Affrica meridionale, co-
me a dire de’ dintorni del Capo di Buona Spe-
ranza, e delle regioni ivi adjacenti. L’individuo
porta poi sul naso il più delle volte, non già un
solo corno come il Rinoceronte Asiatico, ma bensì
due, aderenti piuttosto alla pelle che al teschio,
e posti non all’ impari, o come suol dirsi di fronte,
ma l’uno al di dietro dell’ altro, con questo di più
che l’ultimo, vale a dire il più innoltrato verso
l’estremità del naso, è sempre molto maggiore di
quello che ne sta più verso la fronte.
GENERE XLIII. Ippopotamo. (Hippopotamus: fr.
Cheval marin – Hippopotame: ted. Nilpferd: ing.
Seahorse: al Capo di Buona Speranza detto in tede-
sco Seekuh ossia Vacca lacustre o marina). Questo
Genere ha distanti i denti incisivi della mandibola
superiore, e quelli della mascella inferiore pro-
cumbenti o sporgenti innanzi all’ infuori, ed ha
[Seite 291] poi curvi i canini della mascella inferiore e tron-
cati obbliquamente.
SPECIE UNICA. L’Ippopotamo. (H. Amphibius:
fr. l’Hippopotame – le Cheval marin, sebbene im-
propriamente, non essendo esso in fatto animale
marino: ted. das Nilpferd: ing. the Seahorse). –
(Vedi Buffon. Supplément Vol. III. Tab. 62 e 63. – Vol. VI.
Tab. 4 e 5).
Questa specie è frequente nelle regioni meri-
dionali dell’ Affrica, come debbe esserlo stato al-
tre volte nel Nilo. Le forme dell’ animale sono
estremamente pesanti o massicce, e per verità la
testa ne riesce ad un tempo goffa, mostruosa, in-
forme e colossale; enorme ne riesce, non meno la
bocca, che l’apertura delle fauci; il corpo n’è greve
assai e voluminosissimo, con corte e grosse molto
le gambe, e così via via. L’individuo cresciuto a
dovere, pesa per lo meno da trentacinque a qua-
ranta quintali; il suo cibo ordinario consiste in
vegetabili ed in pesci.
Gli animali mammiferi compresi in quest’ Or-
dine viii, hanno sempre i piedi natatorii o
palmati in modo che, mercè d’una floscia
membrana o raddoppiatura della cute in-
terposta fra le dita, l’estremità delle zampe
serve loro ottimamente alla natazione. I
Generi poi che lo compongono possono an-
che qui, come nell’ Ordine de’ Digitati o dei
Fissipedi, caratterizzarsi da prima sul fon-
damento della varia loro dentatura, che dà
luogo di ripartirli nelle analoghe tre di-
verse famiglie di A. Ghiri – B. Fiere
– C. Bruti.
A. Ghiri o Gliri, o Rosicchiatori (Glires), che
hanno subulati, o fatti a foggia di subbia o di
scarpello i loro denti rosicchiatori.
GENERE XLIV. Castoro. (Castor: fr. Castor:
ted. Biber: ing. Beaver). I piè di dietro ne sono
palmati com’ è detto qui sopra, e i denti incisivi
ne sono in numero di due per ogni parte, tanto
sopra, quanto sotto.
SPECIE 1. ed UNICA qui per noi. Castoro pro-
priamente detto, o il Fiber. (C. Fiber: fr. le Ca-
stor: ted. der Biber: ing. the Beaver). – Questa
specie ha la coda piatta, ed orizzontalmente schiac-
ciata, di forma ovale allungata, od ovoidea, quasi
squamosa. (Vedi Abbildungen etc. Tab. 43.).
Abita dessa ne’ luoghi più solitarii e deserti
sulle sponde de’ laghi, degli stagni e de’ fiumi mag-
giori che trovinsi nelle regioni le più settentrio-
nali del Globo. La finezza del suo pelo rende que-
sto animale di molta importanza per il commer-
cio, come lo hanno reso di qualche importanza
per gli usi dell’ arte salutare que’ follicoli, deno-
minati talora anche testicoli di Castoro, che rac-
chiudono la droga così detta Castoreo (Castoreum)
che, tanto il maschio, come la femmina, portano
in fondo al ventre. Ciò però che contribuì più che
altro alla grande rinomanza in cui venne il Ca-
storo, si è quello sfoggio d’istinto, o quella ma-
niera d’industria veramente sorprendente ond’ ei
sembra dotato, e in forza della quale, quando gli
accade di trovarsi insieme con molti altri individui
della medesima sua specie, lo che avviene anche
al dì d’oggi per esempio nel Canadà, attende a
costruire per tutta quanta l’associazione persi-
stenti abitazioni e, se ve n’ ha bisogno, perfino di-
ghe artificiali ingegnosissime, a riparo dell’ acque,
che altrimenti nuocerebbero al domicilio comune.
[Seite 294] Comunque rendasi molto verisimile che parecchi
scrittori di viaggi abbiano esagerato più che non
occorreva, e poeticamente amplificato ed abbellito
le loro esposizioni a riguardo dell’ arte che impie-
gano i Castori nel fabbricarsi i loro abituri, e nel
ripararli all’ occorrenza, pure la concordanza per-
fetta di non sospetti numerosissimi osservatori di
ogni Nazione, e anzi di Nazioni spettanti a varie
parti fra loro distantissime del Globo, nell’ asse-
rire, e dimostrar poi col fatto, che questi animali
sanno effettivamente adattarsi alle diverse circo-
stanze locali, ed anche bene spesso alle eventuali,
sembra sforzarci a dovere accordar loro alcun che
di più di quel semplice istinto industrioso, costan-
temente uniforme, che riscontrasi in molti altri
animali.
B. Fiere (Ferae), o Mammiferi Palmati, i quali
hanno la loro dentatura analoga a quella de’ pre-
cedenti Digitati Fiere, ossia de’ Carnivori, ovvero
di que’ quadrupedi che diconsi propriamente Be-
stie feroci.
GENERE XLV. Foca. (Phoca: fr. Phoque: ted.
Meerkalb: ing. Phoque – Sealion, ec.). I piè di
dietro ne sono sporgenti lateralmente all’ infuora
(Pedes postici exporrecti); le dita ne sono insie-
me riunite o collegate in forma d’una palma di
mano umana, per mezzo della membrana natato-
ria, e quanto alla dentatura, in questo Genere han-
[Seite 295] nosi superiormente sei denti incisivi, e inferior-
mente poi quattro soltanto; i denti canini ne sono
solitarii ed isolati.
Gli animali racchiusi nel presente Genere, in-
sieme con quelli del Genere precedente, costitui-
scono tra i mammiferi i così detti Anfìbj, ne’ quali
la totale conformazione, o come altri amano me-
glio esprimersi, l’abito complessivo del corpo, scor-
gesi costituito a bella posta perch’ essi possano
del pari vivere sopra terra nell’ aria, come nel-
l’ acqua1.
SPECIE 1. Vitello marino, o la Foca vitulina.
(P. Vitulina: fr. le Veau marin: ted. der Seehund
– die Robbe – das Seekalb: ing. the Seal). –
Questa specie ha liscio il capo; non ha mani-
feste le orecchie esteriori, ed ha il corpo di
color grigio (Vedi Abbildung. etc. Tab. 73).
Abita dessa segnatamente ne’ Mari del Nord,
ma trovasi anche nel Mar Nero, nel Mar Caspio, e
in molti altri così fatti mari entro terra, o piut-
tosto laghi, della Siberia. Essa riesce d’indicibile
utilità non meno per gli Isolani Finni o Finlandesi,
di quello che pegli abitanti del Kamtschatka, ma
soprattutto poi per i Groenlandesi, e per gli Eschi-
mali (Esquimaux) indigeni del Labrador, men-
tre principalmente quest’ ultime due nazioni val-
gonsi della carne di Foca per loro cibo abituale,
vestonsi della loro pelle, di cui fanno uso ezian-
dio, così per coprirne le proprie loro abitazioni
estive, come per vestirne i loro battelli di pelle,
e per altri usi di tal fatta. La caccia, o vogliasi
dire pesca, ch’ esse danno appunto a questi ani-
mali, forma la principale occupazione di quelle
genti, e quanta è più l’attitudine e destrezza che
possono gl’ individui sfoggiarvi, tanto più repu-
tansi felici, tanto più se ne glorian essi, e tanto
ne vanno quindi più superbi ed orgogliosi. Può
assai agevolmente questa specie, al pari della
susseguente, divenire dimestica e rendersi perfi-
no famigliare con chi pigliossi la briga d’edu-
carla.
SPECIE 2. Monaco, ossia la Foca monaca. (P.
Monachus: fr. le Phoque à ventre blanc: ted. die
Mönchsrobbe: ing. the Monkseal). – Questa spe-
cie non ha manifeste l’orecchie esterne; ha da
[Seite 297] per tutto quattro denti incisivi; ha le palme dei
piè d’innanzi affatto indivise, ed ha poi prive di
unghiette le piante de’ piè di dietro. (Vedi Buffon;
Supplément. Vol. VI. Tab. 44).
È dessa indigena particolarmente del Mare Me-
diterraneo, e riesce, come s’è detto poco sopra,
con bastante facilità addimesticabile, anzi in certo
tal qual modo si può anche educarla. È degna
d’essere rimarcata eziandio la continua, e per così
dire sempre irrequieta mutabilità od alterabilità
del complesso di sua fisionomia.
SPECIE 3. Orso di mare, ossia la Foca ur-
sina. (P. Ursina: fr. l’Ours de mer: ted. der
Seebär: ing. the ursine Seal). – Questa specie
ha manifeste l’orecchie esterne, comunque abbiale
assai picciole, ed ha poi liscio e nudo il collo.
(Vedi Buffon; Supplément. Vol. VI. Tab. 47).
Durante la stagione estiva rinviensi dessa in tor-
me numerosissime su per le isole dell’ Arcipelago
del Katmschatka, e sverna poi, a quanto pare,
in altre non quinci lontane isole, alcun poco più
meridionali, del Mar Pacifico. Questo animale è
poligamo, vale a dire che ogui individuo ma-
schio ne suole avere da trenta a quaranta diverse
femmine, tutte a piena ed assoluta sua disposi-
zione, sulle quali ei tiene con somma cura, e
anzi gelosamente, aperti sempre gli occhi, combat-
tendo con estremo coraggio e anzi con accanimento
[Seite 298] i rivali che per caso si facessero a contrastargli di
alcuna di quelle l’esclusivo possesso1.
SPECIE 4. Leone di mare, o la Foca jubata.
(P. jubata: fr. le Phoque à crinière – le Lion de
iner: ted. der Stellersche Seelöwe: ing. the hooded
Seal). – Questa specie ha anch’ essa manifeste
l’orecchie esterne, ma ha poi il collo tutto al-
l’ intorno guernito d’una chioma o criniera, quasi
a quella foggia che portanla i veri Leoni maschi.
(Vedi Buffon; Supplément. Vol. VI. Tab. 48).
Abita dessa poco meno che per ogni dove nel-
l’ Oceano Pacifico, ed è la specie di maggior mole
corporea che annoverisi nel Genere delle Foche.
Il nome di Leon di mare, e l’epiteto analogo
che aggiugnesi per l’ordinario al nome generico
di Foca, per contraddistinguerla dell’ altre specie,
le proviene appunto dalla criniera ond’ ha essa
guernito il collo a modo del Leone terrestre ma-
schio.
SPECIE 5. Elefante di mare, ossia la Foca
dalla Proboscide. (P. Proboscidea – olim Phoca
cristata: fr. L’Éléphant de mer, ovvero anche le
Phoque à capuchon: ted. der Ansonsche Seelöwe:
ing. the Sea Elephant). – Questa specie ha il
naso conformato a foggia di Proboscide retratti-
[Seite 299] le, o che l’individuo può a piacer suo muovere
in diversi sensi, accorciare, e prolungare. (Vedi
Péron, Voyage aux Terres Australes Tab. 32).
È dessa indigena dell’ isole le più meridionali,
tanto dell’ Atlantico, quanto dell’ Oceano Pacifi-
co. L’individuo ne perviene talora fin oltre alla
lunghezza di trenta piedi; non ne sono però che
i maschi soltanto, che portano il naso così stra-
namente conformato a tromba, o prolungato in
un grugno, a foggia quasi di Proboscide elefantina,
come s’ è detto.
GENERE XLVI. Lontra. (Lutra: fr. Loutre:
ted. Otter: ing. Otter). Tanto le palme de’ piè
d’innanzi, quanto le piante de’ piè di dietro, ne
sono natatorie, o conformate in maniera da ser-
vire ottimamente alla nutazione, mercè di quella
membrana che ne collega le falangi e le dita; i
denti incisivi ne sono da per tutto in numero di sei,
con questa diversità però, che quelli della mandi-
bola superiore ne sono distinti e separati, mentre
quelli dell’ inferiore ne sono stipati e posti in-
sieme a perfetto contatto.
SPECIE 1. Lontra propriamente detta, o anche
la Lontra volgare, vulgo la Ludria. (L. vulgaris:
fr. la Loutre, o la Loutre comune: ted. die Fischot-
ter: ing. the Otter). – Questa specie ha nude af-
fatto le piante de’ piè posteriori, ed ha la coda più
breve che no ’l sarebbe la metà del corpo del-
[Seite 300] l’individuo. (Vedi von Wildungen Taschenbuch für das
Jahr 1789).
È dessa indigena anche fra noi, come lo è di
tutte le regioni temperate delle parti settentrio-
nali del Globo; le più belle però ne sono quelle
del Canadà.
SPECIE 2. Lontra del Brasile. (L. Brasilien-
sis: fr. la Saricovienne, o anche la Loutre du Bré-
sil: ted. die Brasilianische Flussotter – der Was-
serwolf: ing. the river-Otter – Saricovienne). –
Questa specie ha il pelo di color bajo; porta sotto
il mento una macchia bianca, ed ha poi anch’ essa
la sua coda più corta di quello che non sialo la
metà del corpo dell’ individuo. (Vedi Abbildungen etc.
Tab. 93).
Dessa vive lungo i fiumi, gli stagni ed i la-
ghi entro terra delle regioni più orientali e più
centrali dell’ America meridionale, e fu troppo a
lungo finora, e troppo comunemente, confusa colla
specie seguente, da cui è però essenzialmente di-
versa.
SPECIE 3. Castoro di mare, o meglio ancora la
Lontra di mare. (L. Marina: fr. le Castor de mer
– la Loutre de mer: ted. die Seeotter: ing. the
Sea-Otter). – Questa specie ha il pelo sempre
di color nero; ha pelose le piante de’ piè di die-
tro, ed ha la sua coda più corta che nol sarebbe
la quarta parte della lunghezza del corpo del-
[Seite 301] l’ individuo. (Vedi Cook’s Voyage to the Northern Hemi-
sphere Vol. II. Tab. 43).
Abita dessa soprattutto al Kamtschatka, ed an-
che al di là, lungo la Costa del Nord-ouest del-
l’ America settentrionale, fino al di sotto del Nut-
kasound, ossia fino oltre allo stretto di Noutka;
però rinvengosene alcune anche alla Corea, e più
ancora lungo il Mar Giallo; la bella pelle di que-
sto mammifero anfibio, mista di nero e di color
grigio-argentino, costituisce l’oggetto il più ricer-
cato, e ad un tempo il più costoso, di pellicceria
di lusso per i Chinesi.
C. Bruti (Bruta), o mammiferi palmati sden-
tati, che effettivamente o non hanno denti af-
fatto, o per lo meno mancano al tutto di denti
incisivi.
GENERE XLVII. Ornitorrinco. (Ornithorhyn-
cus: fr. Ornithorhynque: ted. Schnabelthier: ing.
Duck-bill). Le due mandibole ne sono prolun-
gate innanzi, a foggia quasi d’un becco d’Ani-
tra; i denti ne mancano affatto1.
SPECIE 1. ed anzi UNICA. Ornitorrinco para-
dossale. (O. paradoxus: fr. l’Ornithorhynque pa-
radoxe: ted. das Schnabelthier: ing. the Duck-bill).
– (Vedi Abbildung. etc. Tab. 46).
Questa, per verità straordinariissima, ed anzi
affatto strana, specie di quadrupede mammifero
distinguesi tosto a primo colpo d’occhio da qua-
lunque altra delle specie, che infino ad ora se
ne conoscono, mercè della conformazione singo-
lare, e non ammettente ne’ mammiferi esempio
alcuno nemmeno lontanissimo, delle sue mandi-
bole, che in complesso a chi le guarda rammen-
tano quasi perfettamente un ampio e ben grande
becco d’anitra, alcun poco più piatto ancora o
schiacciato d’alto in basso; con questo di più poi
che, oltre all’ essere amendue anche qui rivestite
d’una morbida pelle ricchissima di nervi e quindi
sensibilissima, che serve all’ animale d’organo del
tatto, i lembi ne sono anche serrati, o per dir
meglio conformati a denti minuti come il tagliente
d’una sega. I piedi ne sono tutti quanti muniti
[Seite 303] della membrana natatoria solita a riscontrarsi ne-
gli anfibii, la quale anzi ne’ piè d’innanzi oltre-
passa sensibilmente in lunghezza l’unghie, ed è
disposta in modo che l’animale può a benepla-
cito tenerla raccolta, od aprirla e spiegarla quasi
a foggia d’un ventaglio. Questo stravagantissimo
e maraviglioso quadrupede anfibio vive in alcuni
laghi che trovansi entro terra, non molto lunge
da Botanybay nella Nuova Olanda, ossia in quella
quinta parte del Globo nostro, che si trova es-
sere più ricca d’ogni altra, quanto al numero e
alla varietà delle strane Creature animali, che ne
sono esclusivamente indigene.
GENERE XLVIII. Tricheco. (Trichechus: fr. Mor-
se: ted. Wallross: ing. Walruss). I piè di dietro-
ne sono coadunati o intricati insieme, quasi di-
rebbesi, inceppati.
SPECIE 1. Cavallo di mare, la Morsa o meglio
il Rosmaro. (T. Rosmarus: fr. le Morse: ted. das
Wallross: ing. the Walruss). – Questa specie ha
i denti canini della mascella superiore, o per me-
glio dire le zanne, uscenti naturalmente di bocca,
in modo da essere sempre visibili e manifeste an-
che a bocca chiusa (laniariis superioribus exser-
tis). (Vedi Abbildung, etc. Tab. 15.).
Abita questa spesso, per torme di centinaja di
individui, sull’ isolette mobili o gareggianti di ghiac-
cio del Polo nostro settentrionale; nutresi promi-
[Seite 304] scuamente di quelle piante marine, che diconsi
fuchi (Fucus), e segnatamente del Varec (Zo-
stera), e di testacei che rastia o stacca da terra
e dagli scogli col soccorso delle lunghe sue zan-
ne. Gli antichi Normanni propriamente detti, ed
altri popoli del Nord, usavano colla pelle di que-
sto animale, tagliata in fettucce o nastricini sot-
tili, preparar gomene per uso delle ancore da
bastimenti, che quasi poteano ritenersi come af-
fatto indistruttibili1.
Una specie affine molto a questa, quando pure
non sia identica con essa, si è il così detto Du-
gong (T. Dugong), indigeno propriamente del-
l’ Indie orientali più meridionali, e soprattutto
dell’ isole della Sonda e delle Molucche2.
SPECIE 2. Lamentino, la Vacca di Mare, o me-
glio il Manato. (T. Manatus: fr. le Lamantin: ted.
die Seekuh: ing. the Manatee). – Questa specie
ha i denti canini rinchiusi per entro alla bocca,
e non mai uscenti al di fuori. (Vedi Albers, Icones and
illustr. Anat. comparat. Fasc. II. Tab. 4).
Abita dessa ne’ fiumi, e anche lungo le Coste
marittime de’ climi più caldi del Globo, ed è fre-
[Seite 305] quentissima, per cagion d’esempio, nell’ Orenoco;
sembra dessa esser quella che diè luogo alle note
favole, d’origine più o meno antica, che troviamo
sposte sulle Ninfe marine, sulle Nereidi e sulle Si-
rene1.
GENERE XLIX. Monodonte. (Monodon: fr.
Nahrwal: ted. See-Einhorn: ing. Narwhal). Or
l’uno or l’altro de’ due denti, ond’ è munita la
mascella superiore dell’ individuo, riesce lunghis-
simo, dritto, ma spiralmente striato alla superfi-
cie secondo la sua lunghezza, e sorte un gran trat-
to, manifestissimo, fuor di bocca (exsertus).
SPECIE 1. ed anzi UNICA. Unicorno di mare,
o anche il Rinoceronte di mare, o meglio il Nar-
wahl. (M. Narwhal: fr. le Nahrwhal: ted. das See-
Einhorn: ing. the Narwhal). – (Vedi Abbildungen etc.
Tab. 44).
Frequenta questo Cetaceo, più che qualsivoglia
altra regione, le parti più decisamente settentrio-
nali dell’ Oceano Atlantico. L’animale origina-
riamente, e finchè è ancora molto giovine, suol aver
sempre due denti o due zanne, una per parte
della sua mandibola superiore, sebbene sian esse
[Seite 307] di grandezza assai disuguali, ma ben di rado suc-
cede che tutte e due a un tratto riscontrinsi anco-
ra nell’ individuo adulto o compitamente cresciu-
to, mentre per lo più allora delle due zanne, non
gliene rimane se non una sola, quando la destra e
quando la sinistra, senza regola alcuna, ma que-
sta poi lunga a segno da emularne talvolta la lun-
ghezza di tutto il corpo, vale a dire da superar
perfino i dieciotto piedi.
GENERE II. Balena. (Balaena: fr. Baleine:
ted. Wallfisch: ing. black Whale). Non ha mai
dente alcuno in bocca, ma però in sostituzione ai
denti, ha nella sola mascella superiore due lastre,
o due lamine di sostanza cornea.
SPECIE 1. Misticeto, o anche la Balena nera,
o la Balena propriamente detta. (B. Mysticetus:
fr. la Baleine – Baleine franche: ted. der Wall-
fish: ing. the black Whale). – Questa specie
non ha pinna dorsale, o manca di natatoja sul
dorso. (Vedi Abbild. etc. Tab. 94).
La Balena vera, di cui qui ora ragioniamo, è il
più colossale degli animali che si conosca1, men-
tre può in peso talora oltrapassare le cento mila
libbre. Tutto che possa essa dirsi indigena, piut-
[Seite 308] tosto de’ dintorni del Polo artico, che di qualsi-
voglia altra plaga, o regione del Globo, pure ria-
viensi talora anche in mari alcun poco più meri-
dionali, come per cagion d’esempio nell’ Oceano
Atlantico, ed eziandio nel Mare Pacifico. Quelle
che in oggi si vanno pigliando, è rado che superino
i sessanta o tutt’ al più i settanta piedi di lunghez-
za; la mostruosa loro testa poi forma quasi una
terza parte del volume complessivo di tutto quan-
to l’individuo. La sua pelle il più delle volte è
nera, sebbene talora riesca come marmorata, a
cagione di qualche macchia bianca commistavi,
con qua e là sparsovi sopra alcun raro e corto pe-
luzzo, cui spesso attaccasi qualche testaceo, come
a dire nicchi, conchiglie ec. Del resto questo mo-
struoso animale può dirsi che sia quello propria-
mente che fornisce vitto e vestito (Victus et ami-
ctus), tanto agli abitanti dell’ isole vicine al Kamt-
schatka, quanto anche a quelli della Costa Nord-
ouest dell’ America settentrionale, mentre al con-
trario gli Europei non ne vanno in traccia, gene-
ralmente parlando, che soltanto nello scopo di trar-
ne quell’ olio animale, che dicesi poi, ora Olio di
pesce, ed ora Olio di Balena, o quell’ altra sostanza
che ha in commercio il nome di Spermaceti, o infi-
ne quei barbiglioni che ci forniscono il così detto os-
so di Balena, de’ quali più di settecento suole ogni
individuo averne alla mascella superiore, cadauno
[Seite 309] avente la lunghezza media di circa venti piedi.
Computasi per l’ordinario il valor d’una Balena
presa, come equivalente a un di presso a trenta
mila lire Austriache nuove, o a dieci mila fiorini
di Convenzione.
SPECIE 2. Balena rostrata, o Pesce di Giove,
o il Gibbar. (B. Rostrata – altrevolte Balaena
Boops – Physalus: fr. le Boops, – Gibbar,
– la Jubarte – Baleine à nageoires – Balei-
ne à museau allongé: ted. der Finnfisch, in parte,
– altre volte der Jupiterfisch?: ing. the sharpno-
sed Whale). – Questa specie ha il petto sinuoso,
come chi dicesse marcato a solchi, ed ha ottusa
la pinna, o la natatoja dorsale. (Vedi Abbildungen etc.
Tab. 74).
Tanto in questa, come in alcune altre specie
attinenti al Genere medesimo delle Balene, la pel-
le del collo, del petto e della parte anteriore del
ventre, è il più delle volte solcata con molta rego-
larità per lo lungo1.
GENERE LI. Fisetere. (Physeter: fr. Cachalot:
ted. Caschelot. ing. white Whale). Questo genere
porta guernita di denti la mascella superiore.
SPECIE 1. e qui anzi UNICA. Capo d’olio, os-
sia il Fisetere Microcefalo. (P. Macrocephalus:
fr. le Cachalot: ted. der Caschelot – Pottfisch:
ing. the white Whale). – Del pari che nella Ba-
lena vera (Balaena mysticetus), mai non iscorgesi
in questo Cetaceo traccia alcuna di pinna dorsale,
o di natatoja posta sulla schiena; i denti poi del
Fisetere macrocefalo sono inflessi, o rivolti all’ in-
dentro, ma terminano all’ estremità loro in una
punta piuttosto acuta. (Vedi Abbildungen etc. Tab. 84).
Più frequenti che altrove incontransi così fatti
Cetacei ne’ Mari meridionali, e soprattutto lungo
le Coste del Brasile, e lungo quelle della Nuova
Galles meridionale, che fa parte della Nuova Olan-
da. L’individuo ne perviene ad una grandezza ana-
loga a quella a cui dicemmo pervenire la Balena
vera o propriamente detta, ed ha poi fauci così
smisurate da poter inghiottire a un tratto un Pe-
sce Cane o uno Squalo (Squalus Carcharias) della
lunghezza di una tesa, o di sei piedi. La mascella
superiore ne è sempre grandissima in confronto
della inferiore la quale ne è di gran lunga più pic-
ciola. La specie riesce di molta importanza per il
commercio, segnatamente a cagione del così detto
Bianco di Balena (Spermaceti), che essa ci fornisce
[Seite 311] in grande abbondanza, e che perciò appunto, più
che per altro, ne conduce i pescatori avidamente
sulle traccie. È noto, questa singolare sostanza es-
sere come un olio di color bianco-latte, che rin-
viensi qua e là in diverse parti del corpo dell’ ani-
male, vicina all’Olio di Balena, o all’Olio di pesce
ordinario più triviale, ma in maggior copia poi in
certi speciali ed appositi serbatoj ch’ esso ha nella
testa, e segnatamente nella parte anteriore della
amplissima sua mandibola superiore. Lo Sperma-
ceti, che è fluido quando è appena estratto, rima-
nendo a contatto coll’ aria s’indura e rappigliasi
in una specie di sego translucido, di cui si fanno
molti usi, e con cui in Inghilterra si preparano
ora candele, più belle che non sogliano esserlo
quelle di cera. – L’ambra grigia, che noi deno-
miniamo anche più volontieri Ambracane e che
forma, come si sa, un prezioso e ricercatissimo pro-
fumo, non è precisamente altra cosa che un indu-
ramento particolare delle materie fecali, che for-
masi più che altrove nelle intestina crasse di
questo animale, il quale allora trovasi realmente
in istato di malattia.
GENERE LII. Delfino. (Delphinus: fr. Dauphin:
ted. Delphin: ing. Porpoise). Le specie racchiuse
in questo Genere portano denti in amendue le loro
mascelle.
SPECIE 1. Porco di mare o la Focena. (D. Pho-
[Seite 312] caena – Tursio di Plinio: fr. le Marsouin: ted. das
Meerschwein – der Braunfisch: ing. the Porpoise).
– Questa specie ha il corpo conformato quasi a
foggia di un cono; ha larga assai la schiena con
sopravi una pinna o natatoja dorsale, ed ha il
grugno rostrato, ma terminante ottuso, quasi tronco
all’ estremità, a un di presso come quello del nostro
Porco. (Vedi Ménagerie du Mus. Nat. Livrais. VII. Tab. 4).
Rinviensi dessa a bastanza frequentemente, e
non altrimenti che la specie di cui faremo men-
zione tosto qui sotto, ne’ mari che lambiscono la no-
stra Europa; giugne, come anche quest’ altra, alla
lunghezza’ di nove piedi all’ incirca ed è, soprat-
tutto per il Pesce Sermone, o Salamone, come de-
nominasi più trivialmente (Salmo Salar), un vero
animale da preda che reca gran danno.
SPECIE 2. Delfino propriamente detto, o il Del-
fi. (D. Delphis: fr. le Dauphin: ted. der Delphin
– Tümmler: ing. the Porpesse). – Questa specie
ha il corpo piuttosto terete, o quasi cilindrico, e
più allungato che non abbialo la specie precedente;
ha il dorso munito di una pinna sua propria, o di
natatoja dorsale, ed ha il grugno alcun poco più
sottile e terminante quasi in punta. (Vedi Abbil-
dungen etc. Tab. 95).
È questo propriamente anche il Delfino che
conoscevano gli antichi.
SPECIE 3. Orca. (D. Orca: fr. l’Èpaulard –
[Seite 313] e fors’ anche l’Orgue? ted. der Nordcaper – Speck
hauer: ing. the Grampus). – Questa specie por-
ta altissima la sua pinna o natatoja dorsale, ed
ha i denti quasi conformati a cono, poco curvi.
(Vedi Schreber. Tab. 340).
È assai più frequente che altrove ne’ mari del
Nord, ma però rinviensi anche nel Mediterraneo,
e può pervenire fino alla lunghezza di venti piedi1.
Ars, sive additus rebus Homo: Bacon. de Verulam. De
Augmentis scient. L. II. – L’art en général est l’industrie
de l’homme appliquée par ses besoins, ou par son luxe, aux pro-
ductions de la Nature: Diderot, Système figuré des connais-
sances humaines.
O almeno fino al primo loro stipite, o fino a’ primi Au-
tori loro, poichè nella prima parte de’ miei Beytrage zur Na-
turgeschichte (Supplimenti per servire a’ progressi della Storia
naturale) ho esposti fatti tali che sembrano metter quasi fuor
di dubbio che, anche nella Creazione presente, tra’ corpi orga-
[Seite 4] nizzati emergano tratto tratto nuove specie, per così dire, se-
condarie o create posteriormente all’ epoca della Creazione
generale. Così pare effettivamente abbia da ritenersi che sia il
modo di prima produzione d’alcuni corpicciuoli organizzati
semplicissimi e microscopici, quali sono, per cagion d’esempio,
i così detti animaletti infusorii.
Veggansi a questo proposito le ricerche del Signor Con-
sigliere Aulico Haussmann sulle forme proprie della natura non
vivente (Haussman’ s Untersuchungen über die Formen der
leblosen Natur. Parte I., pag. 20 e segg.).
I Tedeschi pigliando quasi sempe il vocabolo Fossilien
come sinonimo di Mineralien, alcuni Francesi, e troppi
Italiani sull’ esempio loro, vollero ritenere anche nelle
rispettivamente proprie lingue loro fossiles per sinoni-
mo di mineraux, e fossili come sinonimo di minerali,
non però plausibilmente a parer nostro, da che presso
le due nazioni ultimamente citate è invalsa quasi univer-
salmente l’abitudine di riserbare l’espressione di fossiles
in francese, e quella di fossili in italiano per dinotare
così in generale i corpi organizzati già un tempo viventi,
o le loro vestigia e le loro rimanenze petrificatesi in gra-
zia dell’ esser esse state lunga pezza sotterra sepolte. –
N. del T.
Facilius plerumque est rem praesentem discernere, quam ver-
bit exacte definire – gaubius. Il difetto però non proviene
[Seite 10] già dal carattere distintivo, che in realtà esiste sempre, né può
mancar mai, ma ben piuttosto dipende dalla somma difficoltà,
che molte volte s’incontra nel rinvenirlo e nell’ esattamente
determinarlo.
Molte più cose ho detto io stesso su questo proposito nella
seconda edizione, Parte I., pag. 106 e segg., de’ miei Beytrage
zur Naturgeschichte.
Non crediamo che convenga il soprassedere a dar con-
tezza agli studiosi della Storia naturale, che cominciano
a moltiplicarsi anche fra noi, della seguente novella di-
stribuzione de’ corpi naturali, non più in tre, ma bensì
in cinque diversi regni, proposta pur ora da Bory de
S. Vincent, tanto più ch’ essa li racchiude effettivamente
tutti, ciò che l’anticamente adottata non otteneva, e
che ci sembra avere a cadauno assegnato, meglio che
[Seite 16] non facesse l’antica, il posto che gli compete precisa-
mente. – Giusta una tale distribuzione, di cui è dato
un prospetto all’ articolo Histoire Naturelle, pag. 247
del Tomo VIII del Dictionnaire Classique d’Histoire
Naturelle,
I corpi naturali ‘„Naturalia: definiti de Linneo nel
suo Syst. Nat. – Corpora cuncta, Creatoris manu com-
posita, Tellurem constituentia„’. distinguonsi da pri-
ma com’ anche nel nostro testo, in corpi inorganici, e in
corpi organici.
I corpi inorganici, eterni, perpetui o permanenti, ogni
singola molecula de’ quali rappresenta un corpo com-
pleto, e la forma de’ quali può dirsi accessoria del tutto,
altro non essendo se non l’effetto d’una inerte agglo-
merazione dipendente da leggi d’indole meccanica, onde
nulla può mai risultare che somigli alla vita, e che qua-
lifichi un individuo, sono ripartibili in due regni diversi:
I.° Regno etereo, racchiudente i fluidi imponderabili,
quali sono la Luce, il Calorico, l’Elettricità, forse il
Fluido magnetico e altre simili sostanze, composte di mo-
lecule constantemente invisibili anche col microscopio, e
quindi di forme indefinibili, penetranti e non operanti
sopra alcuno de’ nostri sensi, se non in forza di qualche
loro proprietà;
II.° Regno minerale, racchiudente i sali diversi, le rocce,
le sostanze minerali, ed altre così fatte, composte di mo-
lecule generalmente dotate di forme determinabili, o
almeno sempre percettibili da alcuno de’ nostri sensi,
tanto se siano desse naturalmente agglomerate in masse
omogenee o misturate, quanto se si rinvengano sparse
o mascherate nel resto del dominio della Natura e ser-
venti di base a’ corpi organizzati.
I corpi organizzati poi peribili o transitorii, ne’ quali
[Seite 17] qualunque base moleculare, obbedendo sempre a certe
leggi d’assimilazione onde il movimento sembra essere il
primo e potissimo principio, è subordinata a forme spe-
cifiche, dalla complicazion delle quali vengono poi a ri-
sultare individui dotati, qual più qual meno, di facoltà
vegetative o vitali, o anche delle une e dell’ altre a
un tratto, distinguonsi in semplicemente vegetanti, in ve-
getanti e viventi successivamente, e in vegetanti e vi-
venti simultaneamente, e quindi sono ripartibili ne’ se-
guenti altri tre diversi regni:
III.° Regno vegetabile, racchiudente i corpi organizzati
semplicemente vegetanti, vale a dire tutte l’erbe o le
piante (eccettone alcune poche criptogame), ogni sin-
golo individuo delle quali, per sè stesso insensibile, sem-
pre e costantemente privo d’ogni maniera di coscienza
della propria esistenza, e destituto affatto di locomotività
spontanea, abbandonato a sè, finisce per perire in quel
luogo medesimo ove ha vegetato;
IV. Regno psicodiario, racchiudente i corpi organiz-
zati vegetanti e viventi successivamente, vale a dire le
Artrodiate, le Spungarie e i più de’ Polipaj (les Arthro-
diées, les Spongiaires, et la plupart des Polypiers),
ogni singolo individuo de’ quali, per sè apatico, si svi-
luppa e cresce alla foggia de’ minerali e de’ vegetabili
fino all’ epoca in cui le piccole propaggini animate, che
li abitano o vi insistono, vengano a diffondere la propria
specie in luoghi di loro elezione;
V. Regno animale, racchiudente i corpi organizzati
vegetanti e viventi ad un tempo o simultaneamente, vale
a dire i Radiati, i Vertebrati, i Molluschi e gli Arti-
colati (les Rayonnés, les Vértébrés, les Mollusques,
et les Articulés), ogni singolo individuo de’ quali, in
sè stesso sensibile, avente coscienza della propria esi-
[Seite 18] stenza, e dotato di locomotività spontanea, è tale da po-
tersi scegliere, per condurvi la vita, il luogo che meglio
conviene alla propria specie. – N. del T.
Veggasi in questo proposito l’opera di Kant, intitolata:
Critik der Urtheilskraft, pag. 285 e seg.
Haller, che fu il capo della Setta de’ partigiani della evo-
luzione, si esprime a tale proposito nel seguente modo: ‘„Tutte
le viscere e perfino le ossa erano già presenti ed esistevano
già belle e formate nel germe, sebbene fossero allora in istato
fluido„’: e questa sua opinione, tutto che affatto ipotetica, ha
[Seite 24] per lo meno il merito d’essere qui esposta secca ed isolata,
con franchezza e in tuono positivo; ma quando alcuni moderni
novatori, i quali vorrebbero pure conciliare l’ipotesi della
evoluzione o dello sviluppamento con quella della Epigenesi,
pretendono che i germi non esistano preformati nella sostanza se-
minale, e poi sostengono che però questa sostanza seminale
contiene già un embrione, che non può più considerarsi come
sostanza bruta, grezza ed assolutamente inorganica, e soggiun-
gono altre simili cose assurde o improbabili e affatto inso-
stenibili, noi più non sappiamo in così fatte proposizioni rav-
visar altro che una farragine di termini vaghi e di parole
inutili, che non offrono alla mente alcuna precisa idea soddi-
sfacente e determinata, e di questi loro quasi-germi ci é al-
lora almeno lecito il dire ciò che Cicerone diceva del Dio degli
Epicurei: ‘„Corpus quid sit, intelligo; quasi corpus quid sid, nullo
prorsus modo intelligo„’.
E diciam qui specialmente forze fisiche per opposizione
al predetto apparato ultrafisico.
Causas rerum naturalium non plures admitti debere quam
quae verae sint, et earum phaenomenis explicandis sufficiant;
cosi è espressa la prima delle auree Regulae philosophandi sta-
bilite da Newton.
Sotto il nome di Epigenesis intendesi l’opinione di coloro
che, non ammettendo i germi preformati, sostengono che i corpi
organizzati effettivamente si generino mano a mano, e produ-
cansi all’ occasione in virtù dell’ azione delle potenze formative
sulla sostanza generativa suscettibile d’organizzazione.
In realtà, quando per esempio Mazini mostrò di credere
che nell’ atto del concepimento il feto in certo tal qual modo,
e quasi come farebbe lo zucchero candito, si cristallizzi nel
seno materno, egli emise una proposizione affatto analoga alla
opinione della Epigenesi; se non che poi l’idea che ci siam
fatta de’ corpi organizzati, importando seco necessariamente an-
che quella di uno scopo, d’un oggetto o di un fine, osta affatto
per noi all’ ammissione di qualsivoglia spiegazione meramente
meccanica della formazion successiva de’ corpi organizzati per
mezzo di quella forza che gli antichi denominarono forza pla-
stica (Vis plastica), e che sarebbe simile a quella che ha luogo
nel regno minerale. Vedi Kant opera citata a pag. 292.
Le cristallizzazioni propriamente dette distinguonsi già
a bastanza di per sè stesse da’ corpi spettanti a’ due regni
organizzati, in grazia della geometrica regolarità delle loro facce
quasi sempre rettilinee, e in grazia delle forme loro esteriori
riducibili ad un limitatissimo numero di forme primitive o
fondamentali, mentre al contrario le configurazioni che sogliono
esser proprie degli animali e de’ vegetabili e delle singole parti
loro, in ragione anche della indefinita moltiplicità del fine, cui
tendono le funzioni loro rispettivamente assegnate, fu forza
che riuscissero di forme corrispondentemente moltiplici, d’am-
bito esteriore indefinitamente vario, e quasi non mai rettilineo.
A riguardo di questa riunione de’ due qui ora enunciati
principii, meccanico e teleologico, ossia avente uno scopo deter-
minato, riunione che tennesi già come inconciliabile per la spie-
gazione del modo d’origine de’ corpi organizzati, e nella quale
consiste precisamente il contrassegno caratteristico del qui
da noi stabilito conato formativo, trovo opportuno di soggiu-
gnere che soprattutto l’Anatomia comparata ne fornisce lumino-
sissimi esempii in gran copia, parecchi de’ quali ebbi cura di
addurre a tempo e luogo nel corso della presente mia Opera. –
Può anche consultarsi utilmente in questo proposito il Voigt’ s
neues Magazin Parte II, pag. 213.
Di tutto ciò ho reso io stesso più ampio conto nella terza
edizione del mio scritto: Ueber den Bildungstrieb, stampato
in Gottinga nel 1791. in 8.°
Ho diffusamente trattato io medesimo di queste deviazioni
in un mio Commentar. de anomalis, et vitiosis quibusdam nisus
formativi aberrationibus. Gottinga 1813, in 4.° con rami.
Contro natura – (Forme contro natura o contrannaturali)
– S’intende pur sempre che tali espressioni son prese giusta
l’uso universalmente ammesso ed accettato della parola. –
Taluno opinò che potesse forse esser meglio il dire forma
non comune, non naturale, inusitata o straordinaria, che non
forma contro natura; ma le idea derivanti da tali espressioni
sono talmente insufficienti a spiegar l’idea racchiusa nell’ ul-
tima, che lo scambio ne riuscirebbe anch’ esso contro natura.
Una testa di porcelletto, che tengo nella mia collezione,
per caso difformata in modo che comprende a un tratto tutte
e quattro queste diverse maniere di mostruosità, può vedersi
disegnata nella Tav. 61. della mia opera Abbild. nat. Hist. Ge-
genst.
Di quest’ anomalia ho io stesso avuto occasion di parlare
nell’ Hannoverschen Magazin per l’anno 1787. a pag. 753 e
seg.
Possono in questo proposito consultarsi le molte più cose
da me riferite nel mio Specimen Historiae naturalis antiquae
artis operibus illustratae eaque vicissim illustrantis. Gottinga
1808 in 4.° con rami, a pag. 14. e seg.
Ritenuto il vocabolo Bastardi (in tedesco Bastarde) nel
senso qui ora attribuitogli, l’altra parola tedesca Blendlinge
può ritenersi, a norma anche dell’ uso oggimai introdottosene,
per indicare individui bastardiformi che, invece di ripetere
l’origine loro prossima dalla riunione di parenti specificamente
diversi, la ripetono dal congiungimento d’individui spettanti
a razze diverse della medesima specie, come succede appunto
de’ cosi detti Mulatti anche tra gli uomini. – NB. Il Tradut-
tore italiano crede qui conveniente di far osservar come rendasi
assai difficile l’attenersi scrupolosamente alle vedute del be-
nemerito Autore, tanto più che la parola Bastardi vien presa
tra noi di preferenza in un senso del quale non è qui fatto
cenno; e si fa lecito di soggiugnere che per avventura perver-
rebbesi ad ovviare ad ogni inconveniente, ritenendo il vocabolo
italiano bastardi precisamente nel senso pel quale è tra di
noi accettato, e traducendo poi il tedesco Bastarde per indi-
vidui ibridi, e il Blendlinge all’ occorrenza appunto per l’adot-
tato mulatti (Mulâtres de’ Francesi).
Così pensiamo, a malgrado che non ignoriamo che non tutti
i Naturalisti abbianla pensata e la pensino pur tuttavia come
noi. V’ ha in fatto chi non crede, come crediamo noi, che i
così detti Asinotori (Jumards de’ Francesi) siano animali al tutto
favolosi, e leggesi anzi nella Décade Philosophique, anno 5.°,
trimestre 2.°, n.° 15, pel giorno 13 Piovoso, un articolo tratto
dalla Bibliothéque Physico-économique, nel quale un certo
Sutiéres parla di così fatti bastardi come da lui cogli occhi pro-
prii veduti, asserendovisi perfino averne egli stesso posseduto
qualche individuo che servivagli ottimamente ne’ rurali lavo-
ri. Ivi ei sostiene che que’ bastardi siano dotati d’una forza
straordinaria, che tirino il carro senza dar mai indietro, e
altre simili baje. A corroborazione però della franchezza e
positività con cui giudicammo l’esistenza di que’ Mostri, come
quella di molti altri, onninamente favolosa, soggiugneremo
soltanto che il redattore di quel giornale, citando la Biblio-
théque onde avea tratto l’articolo, mostra a bastanza in pro-
posito la propria diffidenza, e previene che tale opera perio-
dica gode ben poco concetto, per esser compilata con troppa
negligenza e porche di rado osserva l’usanza lodevole di citar
le fonti onde attingonsene le materie. – Nota del Tradut-
tore che la trasse dalla Traduzione Francese di Soulange Ar-
taud. Metz 1803.
Il celeberrimo Trascendentalista Kant fu il primo che deter-
minasse colla conveniente esattezza questa differenza reale tra
le razze propriamente dette, e le varietà nel Deutschen Mercur
per l’anno 1788, Vol. I. pag. 48. – Si può anche consultare
con vantaggio in questo proposito ciò che scrisse Girtanner
sopra il principio di Kant, per rispetto alla Storia naturale.
Gottinga 1796 in 8.°.
Vedi a riguardo delle razze d’uomini, e a riguardo delle
razze di porci, il VI.° Tomo del Voigt’ s Magazin, fascicolo 1.°
pag. 1 e segg.
I. Ellis. Vol. LIX dell’ opera: Philosophical Transactions.
Part. I, a pag. 138 e segg., e a Tav. 6, figure da 1 a 6.
Abr. Trembley. Ibid. Vol. XLIII, N.° 474 a pag. 175 e segg.
e Vol. XLIV, N.° 484 a pag. 138 e segg.
Questa ingegnosissima osservazione appartiene al sig. Con-
sigliere di Sömmering, di cui voggasi la Dissertazione De Basi
Encephali a pag. 17.
L’Istinto forma nella Storia naturale un argomento di
molta importanza, come quello che confina colla morale,
e tende a ricongiungere questa scienza colla prima. Nel-
l’ istinto consiste, al dire di Bory de S. Vincent (Diction-
naire Classique d’Histoire Naturelle tome huitième,
articolo Instinct), la prima conseguenza vitale dell’ or-
ganizzazione, e quasi direbbesi, l’essenza della indivi-
dualità. Dal momento in cui comincia l’organizzazione,
l’Istinto ne risulta tosto di necessità e in proporzione
della complicazione organica. Esso non può già ritenersi
come una facoltà, ma bensì come un effetto d’onde de-
riva ogni sorta di stimolo operante internamente, ed è
da calcolarsi quale conseguenza di quella forma essen-
ziale, o Entelechia, come chiamavala Aristotile, che co-
stituisce l’essenza dell’ individuo, e che determina que-
st’ essenza verso que’ fini che gli convengono; forma su
cui tanto divagarono i Metafisici, e che Cuvier da vero
[Seite 70] Naturalista caratterizzò mirabilmente, dicendo ‘„la forma
del corpo vivente è per esso corpo più essenziale di quello
che non sialo la stessa materia„’. Mentre effettivamente
è questa forma, o vogliam dirla Entelechia, che da prima
determina i fenomeni spettanti all’ Istinto, e quindi poi
i fenomeni intellettuali. Troppo si è finora parlato d’Istinto,
e in ciò fare abusaron molti del raziocinio; in somma però si
può dire che l’Istinto sia, a riguardo de’ corpi organizzati,
a un dipresso quello che il suono, o il peso, sono pe’ corpi
non organizzati; mentre realmente, a quel modo che un
numero di particelle metalliche, disposte comunque, non
può a meno di produrre, mercè della percussione, un
certo determinato suono, o non può a meno di far tra-
boccare il piatto d’una bilancia, se il contrappostovi
peso è troppo leggiero, a quel modo medesimo un corpo
organizzato qualunque non può a meno di appetire le
cose dalle quali dipende la propria individuale conser-
vazione o quella della propria specie, e non può a meno
di schivare possibilmente tutto ciò che sarebbe capace di
nuocergli. Lunge dal convenire con Cartesio, che con-
siderava gli animali come automi destituti d’Istinto, di
[Seite 71] sensibilità e perfino d’anima, noi crediamo di non po-
ter esimerci dall’ ammettere in essi l’Istinto, ma ne
scorgiamo le tracce perfino ne’ vegetabili, ritenendo che
mercè di esso le piante traforino un muro solido per at-
tingere dal terriccio posto al di là di quello, l’umore
che meglio loro conviene, e che mercè di esso i due
sessi della Vallisneria, e i due filamenti delle Salmacis
si avvicinino, come mercè di esso i rami d’alcuni ve-
getabili tenuti nelle stufe, tutti quanti rivolgonsi verso
la luce, a quel modo che mercè di esso i Polipi privi
d’occhi afferrano la preda che debbe loro servire di nu-
trimento, che l’insetto senza istruzione esercita le stesse
abitudini che esercitarono i suoi parenti, che gli uc-
celli cantano come i padri loro, che i mammali neonati
pigliano colla bocca loro il materno capezzolo, e ne suc-
chiano il latte, senza che ciò sia loro stato mai suggerito.
Pertanto si può dir francamente che l’Istinto sia real-
mente un senso comune organico primitivo il quale, non
solo determina, dirige e spinge verso l’oggetto che gli è
necessario la creatura avvertita da un qualunque siasi de-
terminato bisogno, ma la previene eziandio del pericolo
cui dessa trovisi per avventura esposta; e realmente lo
spavento conservatore, e gli appetiti stimolanti del co-
raggio, altro in sè non sono se non mere emanazioni del-
l’ Istinto che, come s’ è detto poco sopra, è un effetto
immanchevole dell’ organizzazione. – N. del T.
Veggansi in proposito: Herm. Sam. Reimarus Betr. über
die Triebe der Thiere. Ediz. IV, 1798. Amburgo in 8.° – Du
Pont de Nemours, nelle sue Memoires sur différens sujets etc.
Parigi 1807 in 8.°, dalla pag. 147 alla 373. – The Percy
Anecdotes of Instinct, by Sholto, and Reuben Percy. Londra
1821 in 12.
Ch. G. Le Roy, Lettres philosophiques sur l’intelligence
et la perfectibilité des animaux. Paris. 1802.
Veggansi: J. Spix’ s Geschichte und Beurtheilung aller
Systeme in der Zoologie. Norimberga. 1811 in 8.° – e J. Fr.
Meckel’ s System der vergleichenden Anatomie. Parte Prima, a
pag. 64. e segg.
Di tutti quanti gli organi esteriori de’ mammiferi, le poppe
[Seite 83] o le mammelle sono i soli che variino tanto, così pel numero,
come pel loro collocamento, nelle diverse specie. – In taluni,
e fra questi, a quanto sembrami, nell’ Istrice o Porco spino
(Hystrix), non se n’è per anche rinvenuto traccia ben ma-
nifesta; io però in due così fatti Istrici non nati, che serbo
nella mia raccolta, credo d’aver distinto quattro capezzoli per
cadauno, disposti a due per due, per verità in un luogo che
non aspetterebbesi, vale a dire, rasente lateralmente la parte
posteriore dell’ articolazion della spalla (seitwärts dicht hinter
dem Schultergelenk). (Veggansi le mie Abbildungen Nat. Hist.
Gegenstände Tab. 81). – Meckel ha del pari scoperto di re-
cente le glandule del latte nella femmina di quella curiosa
specie di mammale lacustre della Nuova Olanda, chiamato Or-
nitorinco paradosso (Ornithorhyncus paradoxus) da ciò ch’ e
desso munito d’un becco, quasi a foggia d’ un’ Anitra.
Nella maggior parte de’ mammiferi i denti incisivi supe-
riori si trovano solidamente infissi in un osso particolare, che di-
cesi intermascellare (Os intermaxillare) il quale talora è semplice
e talvolta è doppio. – Delle singolarità ragguardevoli di questo
osso mi sono io medesimo diffuso a parlare, tanto nella terza
edizione del mio Opuscolo De generis humani varietate nativa
a pag. 34 e segg., quanto nel mio Handbuch der vergleichen-
den Anatomie a pag. 22 e segg. della terza edizione. – Nelle
mie Abbildungen Nat. Hist. Gegenstände poi può vedersi alla
Tav. 52 un teschio d’Orangoutang che ne porge esempio.
Mi sono dilungato assai più diffusamente su quest’ argo-
mento nel mio Handbuch der vergleichenden Anatomie, come
puo vedersi alla pag. 130 e segg.
Qui è pur da notarsi eziandio la grande importanza che,
pel ragguardevole guadagno ond’ è motivo, l’Uomo attribuisce
talora anche ad un solo individuo di così fatte specie di ani-
mali, come accade quando pigliasi una grande Balena (Balaena
mysticetus), o un grande Capod’ olio o Caschalot (Physeter ma-
crocephalus), anche tacendo de’ più nobili animali domestici,
ne’ quali la bellezza, la finezza del pelo, e talora, come nel
Cavallo, l’educazione avuta o, giusta la comune espressione,
la scuola, sogliono crescerne d’assai il pregio e quindi il
prezzo d’affezione.
E soprattutto di quell’ altr’ olio, che l’arte sa trarre dalla
carne de’ Cavalli e di simili altri quadrupedi, col mezzo d’una
convenientemente applicata macerazione ec. Veggasi Voigt’s
neues Magazin. Parte II, a pag. 772. e segg.
Non enim methodicorum scholis se adstringere voluit natura
– systemata artificialia nostra flocci faciens. Pallas.
W. Lawrence’s Lectures – on the natural Hystory of
Man – London 1819. in 8.° con 12 rami.
Consultisi a tale proposito anche lo scritto del sig. Con-
sigliere di Stato Hufeland ‘„Ueber die Gleichzahl beider Ge-
schlechter in Menschengeschlecht„’, stampato in Berlino 1820
in 8.°
Ho io stesso a bastanza diffusamente di ciò trattato nella
terza edizione del mio scritto: De generis humani varietate
nativa.
Sono qui da consultarsi le carte geografiche illuminate e
analoghe alla ora da me proposta distribuzione, che trovansi
nel I.° Volume dell’ opera intitolata: Archiv für Ethnographie
und Linguistik von J.F. Bertuch, und J.S. Vater.
‘„Cadauna di queste cinque principali razze d’uomin i in-
[Seite 116] chiude d’altronde in se di bel nuovo or questa or quell’ altra
nazione che, a riguardo della propria conformazione, si segnali
più o meno marcatamente da tutte le rimanenti come una sua
sezione. Per tal modo potrebbero, a cagion d’esempio, riguar-
darsi rispettivamente quali sotto specie, gl’ Indi (Hindous), della
razza Caucasea; i Chinesi e i Giapponesi, della razza Mon-
gola, e gli Ottentotti, della razza Etiopica, come gli abitanti
originarii dell’ America settentrionale sarebbero da riguardarsi
formar una sottospecie della razza d’uomini nativi, che po-
pola la metà meridionale del nuovo Continente, e come i Ne-
gri Papous della Nuova Olanda e dell’ Isole vicine, sarebbero da
riguardarsi formanti una sottospecie de’ bruni abitanti d’ O’tahiti
e dell’ altr’ Isole del Mar Pacifico„’. – Vedi la sopraccitata
Opera: Beytrage zur Naturgeschichte. Parte I, a pag. 72 della
seconda Edizione.
Ciò potrà forse intendersi meglio, ove si rifletta che le nazioni
sparsesi mano mano nelle varie parti del Globo, debbono necessa-
riamente aver risentito effetti diversissimi dalla più o meno forte
[Seite 117] e lunga influenza de’ differenti climi, e delle rimanenti già sovra
accennate cause di degenerazione, tanto allontanandosi sempre
più dalle forme dell’ aspetto proprio alla primigenia o centrale
razza Caucasea, quanto riavvicinandosi di bel nuovo a quella.
I Jacuti, per esempio, i Cosacchi, gli Eschimali (Esquimaux
de’ Francesi), e altre così fatte popolazioni polari della razza
Mongola, hanno troppo manifestamente degenerato da quella
bellezza e regolarità di forme, ch’ è propria della razza Cau-
casea primigenia o centrale, mentre al contrario la razza Ame-
ricana, sebbene stabilitasi in terre di gran lunga più distanti
dal Caucaso, pure, in grazia soprattutto del clima più tempe-
rato sotto cui vive, si è di bel nuovo, quanto all’ aspetto, riav-
vicinata a quella medesima razza centrale; e in fatto non ac-
cade se non nelle regioni più meridionali, situate all’ altra
estremità del nuovo Continente, e segnatamente nella gelata
Terra del Fuoco, che la razza Americana ripigli di bel nuovo
marcate rassomiglianze di conformazione colla razza Mongola.
La stessa cosa succede d’altra parte della razza Etiopica che,
passata sotto l’ardente Cielo dell’ Affrica, all’ altro estremo
della serie delle varietà della specie umana, nella Nuova Olanda
e nella Nuove Ebbrdi, ove il clima è di gran lunga più tem-
perato di quello che non è in generale nell’ Affrica, fa passaggio
alla razza Malaja.
Ritengo che non occorra il farci qui carico eziandio della
speciale influenza che in queste variazioni debbe necessaria-
mente esercitare il cosi detto incrociamento o la confusione
delle diverse razze, che vanno mano mano incontrandosi nelle
loro rispettive migrazioni.
È d’uopo avvertir bene alla marcatissima differenza che
passa sempre tra questi Albinos o Mori-bianchi (Nègres-blancs
de’ Francesi), e certi altri Negri che sono semplicemente mac-
chiettati o screziati di bianche macchie sul negro corpo loro.
Ebbi io stesso occasione di vedere in Londra uno di questi
ultimi, che ho fatto disegnare dal vivo, come scorgesi alla Tav. 21
delle mie Abbildungen nat. hist. Gegenstände, e conservo an-
che al presente presso di me un saggio della sua capellatura
parte nera, e parte bianca.
Di ciò ho più diffusamente parlato io stesso nella parte II.
de’ mici Beyträge zur Naturgeschichte da pag. 13 a pag. 44.
Ho già superiormente fatto cenno della differenza che vi
ha, per foltezza di capellatura, tra le razze Mongola e Malaja
o Malese; ma la totale mancanza di barba osservatasi in alcuni
Americani, è assolutamente da ritenersi effetto d’uno speciale
artificio, come lo è la estrema picciolezza de’ piedi nelle donne
Chinesi – Struthopodes di Eudoxus presso Plinio.
Diversi celebri scrittori di Storia naturale occuparonsi
con vario successo delle distribuzioni del genere Uomo
nella Zoologia. Linneo, Buffon, Duméril e Cuvier s’ac-
[Seite 121] cordarono col nostro Autore a non ammetterne se non
una sola specie divisibile in un numero or più or meno
grande di varietà, o di razze. Duméril lo distribuì nelle
sei razze principali: 1.° Caucasea o Arabo-Europea,
2.° Iperborea, 3.° Mongola, 4.° Americana, 5.° Malaja
o Malese e 6.° Etiopica; mentre Cuvier, non ammettendone
se non le sole tre varietà, 1.° Caucasea o bianca, 2.° Mon-
gola o gialla, 3.° Etiopica o negra, dichiara poi di non
sapere precisamente a quale di queste debbano riferirsi
i Malai o Malesi, i Papus e gli Americani. Invece Vi-
rey, Desmoulins e Bory de S. Vincent, vollero in que-
sto genere riconoscere varie specie; il primo ne fe’ due
sole contraddistinguibili dalla diversa misura dell’ angolo
facciale, la prima delle quali, avente per carattere un
angolo facciale da gradi 85 a 90, racchiude le tre razze:
1.° Bianca, Arabo-Indiana, Celtica e Caucasea, 2.° Gial-
lo-bruna, o color di baggiana (basanée de’ Francesi)
Chinese, Calmucco-Mongola, Lapponico-Ostiaca, 3.° Co-
lor di rame (cuivrease), Americana o Caraiba; la se-
conda specie poi, avente per carattere un angolo facciale
da gradi 75 a 82, comprende l’altre tre razze: 4.° Bruno-
scura, Malaja o Indica, 5.° Negra, de’ Caffri, e de’ Ne-
gri propriamente detti, e 6.° Nerastra, degli Ottentotti
e de’ Papus. Desmoulins ne ammise perfino undici specie
diverse, che sono: 1.° la Celto-Scito-Araba, 2.° la Mongola,
3.° l’Etiopica, 4.° l’Euro-Affricana, 5.° l’Austro-Affricana,
6.° la Malaja, Malese od Oceanica, 7.° quella de’ Papus,
8.° la Negro-oceanica, 9.° l’Australasiana, 10.° la Colombia-
na, e 11.° l’Americana. Finalmente Bory de S. Vincent al-
l’ articolo Homme, e a pag. 281 e segg. Tomo VIII del
Dictionnaire Classique d’Histoire Naturelle, Paris, Se-
ptembre 1825, che si sta ora proseguendo, ha proget-
tato una nuova distribuzione del genere Uomo, ch’ ei di-
[Seite 122] vide da prima nelle tre sezioni d’uomini: Lejotrichi
(Léjotriques), o aventi i capelli distesi e lisci (à cheveux
unis): d’uomini Ulotrichi (Oulotriques), o aventi i ca-
pelli crespi o ricciuti (à cheveux crépus), che sempre sono
uomini negri, mentre non v’ è uomo bianco che vi ap-
partenga: e d’uomini mostruosi, racchiudenti unicamente
i così detti Cretini (Crétins) o gozzi, e i così detti Albi-
nos, quando invece le prime due sezioni, d’uomini Lejotri-
chi ed Ulotrichi, ne contengono complessivamente quin-
dici diverse specie. I Lejotrichi ne racchiudono le prime
cinque, proprie soltanto dell’ antico Continente, le tre
successive, comuni all’ antico Continente e al nuovo, e
le tre seguenti, proprie esclusivamente del nuovo Conti-
nente; l’ultime quattro specie poi comprendonsi tutte negli
uomini Ulotrichi, e sono in parte spettanti all’ antico, e
in parte al nuovo Continente. Ecco ora quali siano pro-
priamente queste quindici diverse specie d’uomini, e a
quali regioni esse appartengano.
Specie I. Giapetica. (Homo Japeticus). Questa prima
specie, che quasi direbbesi essenzialmente tutta monoga-
ma, occupa un lungo tratto di paese stendentesi d’oriente a
ponente, dalle sponde occidentali e meridionali del Mar Ca-
spio, fino al Capo Finisterre il quale sporgesi molto in-
nanzi nell’Oceano Atlantico, è, giusta il tra noi uni-
versalmente invalso gusto, di tutte la più bella, quanto
alle proporzioni delle sue parti; l’angolo facciale n’è più
o meno vicino a’ 90 gradi; il vertice n’è rotondato, la
faccia ovale, il naso dritto o prossimamente dritto, le
pomelle non troppo acuminate o prominenti, le soprac-
ciglia conformate ad arco di circolo più o meno grande,
le palpebre piuttosto sottili, discretamente allungate e
riccamente guernite di ciglia, in generale più lunghe che
nol siano nell’ altre specie, la bocca ben fessa, le lab-
[Seite 123] bra d’un bel rosso e non mai enfiate, la superiore dello
quali, alquanto più ristretta, si rialza alcun poco verso il
filtro del naso, le orecchie piuttosto picciole e per lo
più aderenti col loro lembo alla testa, i capelli stesi, lisci,
fini e morbidi, talora inanellali, di color vario, or nero,
ora castagno-scuro e ora affatto biondo-chiaro, la barba
folta ne’ maschi, la pelle bianca, mista d’incarnato e se-
gnatamente suscettibile di rossore in forza di qualche com-
mozione morale, le gambe generalmente assai ben fatte,
il portamento nobile e fermo; nelle femmine poi le mam-
melle più o meno emisferiche, munite d’un capezzolo
il più delle volte roseo, sebbene talora alquanto brunic-
cio, e il pelo sul pube. In questa prima specie racchiu-
donsi: (a) la Gens togata, che contiene la razza Cau-
casea (occidentale) e la razza Pelagica (meridionale), e
(b) la Gens togata, che contiene la razza Celtica (occiden-
tale) e la razza Germanica (settentrionale), divisibile ul-
teriormente nelle due varietà Teutonica e Slava o Schia-
vona.
Specie II. Arabica. (Homo Arabicus). Questa seconda
specie, quasi da per tutto poligama, e nella quale si può
dire poco meno che universalizzata la costumanza reli-
gioso-civile-sanitaria della circoncisione, ammette costan-
temente l’osservazione che, mentre i maschi ne sono di
bellissima corporatura e d’alta statura, le femmine in-
vece ne sono forse le più picciole di tutte l’altre. Del
resto la pelle loro riesce sempre fina, morbida al tatto,
e di colore più o meno scuro, ma non mai nero, e quanto
alla faccia loro, essa ne suol essere ovale, ma sensibil-
mente allungata, tanto dalla parte del mento, quanto
da quella della fronte, che protraesi ampia ed estesa
molto all’ insù verso il sincipite; il naso ne è alquanto
affilato, per lo più aquilino, e terminante in punta acu-
[Seite 124] minata; gli occhi ne sono neri o di color bruno-carico,
grandi e bene aperti, ma non mai spalancali, stupidi e
goffi, come accade in alcune razze d’altra specie; i ca-
pelli ne sono neri, lisci e generalmente distesi, un po’
grossicelli e disposti ad allungarsi assai; le sopracci-
glia ne sono ad un tempo ricche, folte ed arcuate,
e le labbra piuttosto sottili, formanti una bocca rego-
larmente bella, come generalmente belle ne sono le pro-
porzioni di tutte le membra coll’ intiero complesso del
corpo loro, raramente inclinante ad una alquanto smodata
grassezza, se ne eccettuiamo le femmine nelle quali, pas-
sato a pena il primo fior dell’ età, bene spesso succede
di osservare, combinata con un’ ammirabile sveltezza e
venustà in tutto il rimanente della figura, una tal quale
sovrabbondanza di volume nel seno e nelle natiche, che
però non è neppur essa priva di qualche leggiadrìa. Que-
ste loro femmine poi riescono nubili assai precocemente,
ma perdono in compenso prestissimo l’attitudine a fi-
gliare, mentre i maschi perseverano fino ad un’ età molto
più avanzata nell’ esser atti alla generazione; disparità che
debbe aver introdotto in questa specie medesima l’in-
valsavi poligamia. Due razze sole rimarcansi nella spe-
cie Arabica, e sono la razza Atlantica (occidentale), il
tipo della quale, diramatosi in diverse direzioni dal Monte
Atlante, sembra essersi, meglio che nelle Spagne e che al-
trove, conservato fino a’ dì nostri ne’ Guanci dell’ Isole
Canarie, e la razza Adamica o Adamitica (orientale), di-
partitasi originariamente da’ monti dell’Abissinia, e di là
diffusasi in ogni direzione, tanto per l’Affrica, quanto per
l’Asia, a segno che ne rimangono pur tuttavia manife-
stissime le tracce al Zanguebar, nelle Isole Comore, a So-
cotora, nelle parti settentrionali del Madagascar, in tutto
quanto l’Oriente e nell’ India, e che se n’ hanno attuali
vestigia perfino nella Polinesia.
Specie III. Indica (Homo Indicus – e pe’ Francesi
Espéce Hindoue). Questa terza specie è in generale di
più bassa statura che non sogliano esserlo le prime due,
e ha come caratteristico un colorito della pelle giallo-ca-
rico, che male non assomiglierebbesi a quello del bronzo,
suscettibile però d’esprimere, mercè d’un certo pallore,
alcune speciali commozioni dell’ animo; la corporatura
n’è talora sveltissima, e d’ordinario a bastanza svelta,
agile e proporzionata, di rado obesa, ma quasi non mai
eccessivamente gracile. Gl’individui che le appartengono,
non sono gran fatto longevi, divengono puberi precoce-
mente, ma cosi i maschi, come le femmine, perdono anche
assai di buon’ ora ogni attitudine alla generazione; le
femmine per esempio, che ne sono nubili talora all’ età
di nove anni, a trenta cessano di poter più diventar
madri; hanno desse le spalle ben conformate, e bello a
bastanza anche il seno, a meno de’ capezzoli che ne rie-
scono nerastri o di color bruno-scuro, e sogliono avere
le estremità sensibilmente allungate, in confronto del tronco
loro, pochissimo pelo hanno esse sul pube, e quel poco
ne è, più che altro, setoloso. Del rimanente il naso in
questa specie d’uomini è per l’ordinario non isconcia-
mente ritondato, non mai compresso o schiacciato, e senza
che perciò le narici ne stiano splancate; la bocca n’è
mezzanamente fessa, ed è guernita di denti tutti verti-
cali; le labbra ne sono sottilissime, di buon colore il più
delle volte, e di forma piacevole; il mento n’è roton-
dato e marcato bene spesso nel mezzo da una fossetta,
che vi apparisce incavata; gli occhi ne sono rotondi,
esprimenti dolcezza, umidetti sempre, di fondo giallo
più che bianco, coll’ iride nera o bruno-scura, difesi da
lunghi peli ciliari, e ornati di sopracciglia arcuate e sot-
tili; i capelli ne sono costantemente nero-lucenti, fini,
[Seite 126] lunghi e distesi o non inanellali, e ne’ maschi la barba
riesce rada assai, ove se ne eccettuino i baffi. Debb’ es-
sere uscita in prima origine questa specie dalle terre
ove nascono l’Indo e il Gange, ed essersi di là dif-
fusa, da un lato a popolar prima la Penisola occidentale
dell’ India o l’Indostan, penetrando fino nel Ceylan,
nelle Maldive e altre isole non lontane, mentre d’altra
parte recossi verso Occidente a domicilio fino sul Golfo
Persico, e verso l’Est, per la Polinesia, fino alle Moluc-
che, fino a Timor, e fors’ anche fino in alcuni punti
dell’ Oceania, senza varcar per altro, a quanto pare,
le montagne di Mogs, che dividono il Bengala dall’ Aracan.
Specie IV. Scitica (Homo Scythicus). Questa specie
che, divisa in gran numero di nazioni ancora assai poco
civilizzate e portanti nomi diversi, occupa quell’ immenso
Altipiano dell’ Asia Orientale, che stendesi dalle sponde
Orientali del Mar Caspio, fino a’ Mari del Giappone e
d’Ockotsk, e versa la maggior parte dell’ acque sue per
le inospiti Coste settentrionali della Siberia, nel Mare
Glaciale, ha per principali note caratteristiche una sta-
tura mezzana, una corporatura robusta, muscolosa e
bastantemente proporzionata, ove se n’ eccettuino le co-
scie grosse, le gambe corte, le ginocchia sporgenti al-
l’ infuori, e le punte de’ piedi rivolte all’ indentro; ha
il color della pelle olivastro carico, i denti lunghi, sem-
pre verticalmente disposti, se pure non devianti. Le idee
del bello invalse fra di noi, non tornano certamente in
favore dell’ aspetto loro; ciò non essendo compatibile
con facce ampie e schiacciate, come sono le loro, nè con
occhi brunicci picciolissimi, infossati e assai distanti, con
palpebre enfiate, grossolane, e con irte, dure e folte so-
pracciglia, con un naso largo in base, piatto, quasi schiac-
ciato, sicchè a pena si può, anche negl’ individui gio-
[Seite 127] vani, dall’ ampie narici janti scorgerne la presenza, con
pomelle, ed ossa delle guance, sporgenti molto all’ in-
fuori, colla mascella superiore ritratta all’ indentro, col
mento assottigliantesi fino a terminar in punta acumi-
nata, e finalmente con una barba folta a bastanza, se
si vuole, soprattutto ne’ baffi, ma di color bruno ten-
dente il più delle volte al rossastro. A questa specie ap-
partengono i Turcomanni, i Kirguisi, i Cosacchi, tutti
i così detti Tatari o Tartari Calmucchi, Mongoli e
Mantchoux, ec.
Specie V. Sinica o Chinese (Homo Sinicus). Questa
quinta specie d’uomini che, sebbene male a proposito,
pure fu quasi sempre confusa colla precedente Scitica,
sotto il nome di Mongola o Mogolese, la quale in sè non
è altro fuorchè una razza Scitico-Tartara, o Scitico-Ta-
tara, ne differisce marcatissimamente a più d’un carat-
tere. Diremo intanto che comprendonsi in massa nella
medesima gli abitanti della Corea, del Giappone, del-
l’ Impero Chinese, del Tonchin, della Cocchinchina,
del Siam e dell’ Impero Birmano. Sembra che essa traesse
la sua prima origine nelle Montagne e negli Altipiani
del Thibet, e che di là si stendesse poi successivamente,
lungo il corso di parecchi grandi fiumi che, scorrendo
pianure tutte ubertosissime, vanno a versare le proprie
acque nel Mare, dirigendosi parte verso Levante e parte
verso Mezzodì, di modo che presentemente occupa essa
un territorio che, se non è cosi vasto come quello che
occupa la specie Arabica, non la cede certo in esten-
sione a quello ch’ è occupato dalla specie Japetica. Ri-
guarderemo ora qui noi, non senza buoni fondamenti,
la nazione Chinese come formante il tipo attuale di questa
specie, e osserveremo che gli individui ne superano ge-
neralmente alcun poco gl’ Indi quanto alla statura, come
[Seite 128] li superano eziandio in grassezza; tanto più che una tal
quale alquanto eccedente grassezza è tra essi conside-
rata come circostanza essenziale a costituire la loro vera
bellezza. Del rimanente sono dessi assai bene proporzio-
nati nella corporatura, quantunque la testa ne riesca
un po’ grossa e pesante; la faccia loro è rotonda, se pure
non troppo allargata verso la sua metà, dove le due
pomelle sporgono salienti all’ infuori; gli occhi loro,
aventi le pupille brune o tutt’ al più nere, ma cerulee
non mai, sono piuttosto piccioli, sempre poco aperti, e
hanno obbliqua, e convergente all’ ingiù verso il naso,
l’apertura delle palpebre, con forti rugosità al canto
esterno; le palpebre poi ne sono costantemente spesse
e quasi direbbesi enfiate, poco meno che al tutto de-
stitute di peli ciliari; le sopracciglia ne sono sottili as-
sai, nere e molto arcuate; il naso loro arrotondato, e
ad un tempo schiacciatello, sembra staccarsi dalla fronte
per mezzo d’un marcatissimo interposto solco, e ter-
mina in narici più aperte, che non sogliamo averle noi;
hanno la bocca grande, co’ denti piantati verticalmente
e colle labbra rosso-livide piuttosto troppo grosse o spesse
che sottili e fine; il mento ne è picciolo e guernito di
pochissima barba, a meno delle basette che alcuni hanno
di pelo finissimo, quasi serico e che portano anche lunghis-
sime; le loro orecchie sono sempre grandi assai, e co’ lembi
loro maggiori staccati dalla testa; i capelli, neri co-
stantemente, ne sono radi, grossolani, lisci, lucenti e
distesi, non suscettibili d’inanellarsi; la pelle poi n’è
in generale untuosa e di un colore gialliccio volgente più
o meno al bruno, e talora anche al bruno-carico; e quanto
alle donne loro, può dirsi che il colorito n’è sempre più
chiaro che ne’ maschi, a motivo forse della vita ritira-
tissima che sono obbligate a condurre: che hanno forme
[Seite 129] di gran lunga più svelte di quello che non abbianle gli
uomini, e che sono fecondissime, generalmente precoci,
tanto nel diventar nubili, che nell’ invecchiare.
Specie VI. Iperborea (Homo Hyperboreus). Questa sesta
specie d’uomini abita, sotto il nome di Lapponi e di
Samojedi o Samogizi, le regioni più fredde e settentrio-
nali dell’ Europa e dell’ Asia, in vicinanza del Circolo
polare artico, e diramasi anche nel Nord della Scan-
dinavia e della Russia, estendendosi fino all’ estreme
parti orientali e ad un tempo boreali dell’ antico Con-
tinente per gli Ostiaki, i Tongusi, i Jakuti, i Juka-
ghiri, i Tsutsci, i Kuriaki e per porzione eziandio dei
Kamtschalkadali; anzi dall’ ultime terre del Nord-Est
dell’ Asia è da credersi ch’ essa, per lo Stretto di Behring,
rinvenisse non troppo malagevole il passo, onde recarsi
a popolare, prima le isole Aleute e Noutka, poi a for-
mare la poderosa, grande e antica nazione Atzeca nel
nuovo Continente la quale, col mezzo degli Eschimali
(Esquimaux de’ Francesi) che sono pur sempre Iperborei
anch’ essi, diffusesi ad abitare la Terra di Labrador, le
spiagge della Baja d’Hudson e tutto l’estremo Nord
dell’ America da quel lato, fino al banco di Terra Nuova.
Del resto la statura degl’ Iperborei suol essere sempre
assai picciola, e peccano essi, più che altro, di eccessiva
gracilità, sebbene appariscano di forma concentrata; hanno
corte le gambe e non bistorte, ma così grosse che sem-
brano bene spesso malsane, gonfie ed edematose; la te-
sta loro è globosa e grande sproporzionatamente; la faccia
n’è corta, allargatissima e sommamente piatta, e anzi
in certo modo schiacciata verso la fronte; il naso n’è
anch’ esso schiacciatissimo, senz’ essere perciò largo straboc-
chevolmente; le ossa delle guance o le pomelle ne spor-
gono assai all’ infuori; le palpebre ne sono come attratte
[Seite 130] verso le tempia; l’iride ne riesce bruna, o giallo-bru-
niccia, non mai cerulea, glauca nè cenerognola; grande
molto n’è la bocca, e verticalmente ne sono piantati i denti,
staccati l’un dall’ altro, quando non sono devianti all’ infuori;
i loro capelli sono neri sempre, duri, irti e stesi, natural-
mente bisunti, e rada la barba. I maschi di questa specie
hanno in generale anch’ essi la voce fioca, quasi direbbesi
femminile, come l’hanno gli Etiopi. Le femmine loro poi
sogliono essere schifosissime, quantunque di statura pari
e più nerborute che nol siano per l’ordinario i maschi; le
loro mammelle flosce, anche nel fior dell’ età divengono
lunghe e pendenti a segno tale che, come fanno le donne
Etiopiche, possono gettarsele dietro le spalle per por-
gerle così a’ figli che portano sulla schiena; i capezzoli
ne sono neri, grossi, lunghi e rugosi; esse divengono
nubili tardi assai, e qualunque possa esserne il motivo,
partoriscono sempre con indicibile facilità. È cosa degna
di considerazione che, contro ciò che se ne penserebbe,
gl’ Iperborei, aventi già sempre fosco ed abbronzato il
color della pelle, si vanno facendo sempre più scuri od
anche neri, a misura che di stabile domicilio s’avvicinano
di più a’ ghiacci eterni del Nord; e infatto non è rado
trovarne alcuni in quegli aspri climi, neri di carnagione,
quanto possa esserlo mai un Etiope che dimori sotto al-
l’ Equatore.
Specie VII. Nettuniana (Homo Neptunianus). Questa
settima specie, che assai di rado riscontrasi fuori dei due
Tropici, sembra essersi limitata a tener domicilio lun-
ghesso le spiagge; popola l’isole, generalmente parlan-
do, e a pena il lembo o il margine de’ Continenti che
corrisponde al Mare. Riconoscibile già fin sulle Coste
orientali di Madagascar, si può seguirla quasi di continuo
per tutte le Terre dell’ Oceano Pacifico, fino alla Cali-
[Seite 131] fornia e al Chili, o insomma lungo tutta quasi l’esten-
sione delle Coste Occidentali del Nuovo Mondo, dalle
quali non hannosi se non ben pochi esempi ch’ essa si
scostasse, per recarsi nell’ interno, varcandone le interpo-
ste catene di monti. Tre sono le razze che, per giudizio
nostro, concorrono a formare il complesso di questa spe-
cie d’Uomini, vale a dire la Malaja o Malese (Orien-
tale), l’Oceanica (Occidentale), e la Papua, o quella
de’ Papus (intermedia fra le prime due). Gli Uomini di
razza Malaja, razza diffusissima e che sembra essersi
estesa fino al Messico e al Perù, ed essere di là penetrata
poi anche in Ispagna, sono di bella statura, svelti, muscu-
losi, bene proporzionati, non mai tendenti a soverchia
grassezza, ma inclinanti piuttosto ad una tal quale, non
morbosa, ma naturale macilenza, e hanno sempre il pié
picciolo, sebbene il più delle volte non stato mai rinser-
rato da calzatura alcuna; il colorito della pelle ne suol
essere castagno, o piuttosto giallo di rabarbaro volgente,
ora al rosso laterizio, or al gialliccio, or al bruno, ora
al color rosso di rame, e talora anche al bianchiccio, al
color grigio di cenere e perfino al nero, a norma delle
speciali circostanze locali, quali sarebbono per cagion
d’esempio, la plaga, la maggior vicinanza della Linea equi-
noziale e la mistion di sangue colle diverse specie o razze
finitime d’Uomini ec. Nell’ Isola di Francia, e a Formoso,
son eglino quasi bianchi al pari degli Spagnuoli; a Timor
ve n’ ha de’ bruni, e anche de’ rossi; a Ternate sono
bruno-scuri, e a Nicobar sono quasi negri affatto, seb-
bene siano i più belli di tutti, quanto alle forme. Del
resto i Malaj che, a meno delle difformazioni artificiali,
invalsevi talora per abitudine, hanno la testa regolarmente
conformata alla maniera della specie Japetica, sogliono
aver sempre gli occhi di fondo giallastro, alcun poco di-
[Seite 132] stanti, come socchiusi e aperti obbliquamente, col canto
esterno rialzato verso le tempia; nera n’è costantemente
la pupilla; le pomelle ne sono più o meno protube-
ranti; il naso n’è regolare come fra noi, la bocca mez-
zanamente aperta, co’ denti impiantativi verticalmente
e sempre sani, e colle labbra un po’ grosse, di bellissimo
color rosso-violetto; i capelli ne sono stesi, lisci, neri
e lucenti, e suscettibili di diventar lunghi, ove la con-
suetudine non importi di raderli; la barba n’è dura, e
anche bastantemente folta, presso le nazioni di tal razza
che ne sono fornite, ma manca quasi del tutto in al-
cune altre, quale che possa esserne la vera cagione, e
tra quest’ ultime è per avventura da annoverarsi quella
varietà Americana, che vorrebbecisi far credere come na-
turalmente imberbe. Le femmine in generale ne sono belle
assai, ben conformate, di bella e morbida carnagione,
sveltissime, nubili molto precocemente, libidinosissime
e poco feconde. I così detti Gitanos delle Spagne, che si
pigliano per Zingani, sembrano propaggini di questa raz-
za. Quanto agli Uomini della razza Oceanica, originarii
principalmente, a quel che pare, della Nuova Zelanda,
ove le forme loro si conservano pur sempre più che al-
trove gigantesche o colossali, sembra che da quella siansi
diffusi verso il Nord, occupando mano mano le Isole Fi-
dji, le Mulgrave, gli Arcipelaghi degli Amici, della
Società, delle Marquesas e di Sandwich, e stendendensi
per via, verso Levante, fino all’ Isola di Pasqua, impa-
dronendosi insomma di quant’ isole trovarono nell’ Oceano
Pacifico non ancora abitate da’ Melaniani, da’ Papus,
da’ Chinesi o Sinici, e dagli Indi o Hindous, sono in
generale di statura più alta che nol sogliano essere gli
altri Nettuniani, hanno più volgente al giallastro e meno
fosco il color della pelle, e hanno poi picciole le orec-
[Seite 133] chie, nerissimi, corti, fini, lucenti, affatto distesi e non
mai inanellati, i capelli, i piedi grandi, goffi, piatti, e
grossolanamente conformati, torosissime, forti e grosso-
lane anche le gambe. Le donne loro, partecipanti assai
della grossolanità di forme, che indicammo propria dei
maschi, sicchè cadauna di esse direbbesi una virago, a
malgrado de’ brutti loro piè piatti e grandissimi, hanno
bellissime le forme de’ fianchi, delle spalle e soprat-
tutto del seno, e quando si tengono pulite, come quelle
dell’ Arcipelago degli Amici, e dell’ Isole Fidji, pos-
sono meritare a buon dritto gli elogi che il sommo Bo-
tanico Labillardiére ha voluto fare delle donne di Ton-
gatabou, la più grande appunto dell’ isole da sezzo no-
minate.
Finalmente i Papus, o gli uomini di razza Papua,
de’ quali il domicilio sembra ristretto ad una penisola
della Nuova Guinea e ad alcune poche non quinci lon-
tane isolette, formano una razza propria e a parte, che
sarebbe da riguardarsi, più che altro, come ibrida e de-
rivante dalla miscela delle due specie, Nettuniana, a cui
questa avvicinasi per la forma del cranio, e Melaniana
ossia de’ Negri Oceanici, alla quale tendono a ricondurla
i lineamenti della fisionomia, la somiglianza de’ capell i
e l’analogia del carattere morale. La statura de’ Papus
è a pena discreta, tanto a riguardo dell’ altezza loro, che
delle forme e proporzioni corporali, sebbene molti in-
dividui se ne incontrino di troppo fievole complessione e
aventi le membra assai gracili; il colorito della loro car-
nagione è piuttosto bruno-fosco, che decisamente nero;
i capelli ne sono nerissimi, nè affatto distesi, nè ben ric-
ciuti o crespi, ma fini a bastanza. quasi chi dicesse la-
nuginosi, e naturalmente inanellantisi, per modo che la
testa, a chioma incolta, ne riesce di mole enormemente
[Seite 134] voluminosa; la barba n’è scarsa per tutto, fuorchè nelle
basette, ove suol essere nerissima quanto i loro capelli;
nerissime ne sono pur sempre le pupille; il naso mani-
festamente allargato in base e schiacciato, le labbra gros-
solane e rigonfie, e le pomelle ampie e prominenti, non
bastano a renderne la fisionomia in complesso del tutto
spiacevole, e il riso destituto affatto d’ogni finezza, o
d’ogni interesse. Del resto i Papus possono effettiva-
mente dirsi, insieme cogli Australasiani, de’ quali tosto
imprenderemo a parlare, gli Uomini i più selvaggi che
esistano sulla Terra; a tale che ben di rado sociano an-
che tra di loro, e vivono costantemente in uno stato di
universale assoluta diffidenza.
Specie VIII. Australasiana (Homo Australasicus).
Giusta l’ultime indagini, risultanti dalla relazione della
celebre spedizione di Baudin fatta da Pèron e Freycinet,
è assegnato per carattere a questa novellamente instituita
specie d’Uomini indigeni dell’Australasia, più universal-
mente nota infino ad ora sotto il nome meno appropria-
tole di Nuova Olanda, un cranio subrotondo, e non de-
presso al vertice, ma colle mascelle assai prolungate in
avanti, di modo che l’angolo facciale non potrebb’ es-
serne mai che tutt’ al più di settantacinque gradi, e coi
denti, della superiore principalmente, assai proclivi od
obbliquamente diretti all’ infuori e in avanti. Del resto, una
fronte che sembra fuggire indietro, un mento quadro,
le due pomelle larghe e salienti, un naso picciolo,
goffo e alcun poco aquilino, colle due narici allargatis-
sime, co’ lembi loro laterali, ampi, grossolani e sporgenti
all’ infuori, le labbra, e segnatamente la superiore, gon-
fie, schifosamente spesse e prominentissime, non possono
se non contribuire in complesso al viso di questa brut-
tissima specie d’Uomini, una tal quale forma di muso
[Seite 135] bestiale o di grugno, che già di troppo li raffronterebbe
alle più laide Scimmie, anche senza la cooperazione di
quell’ artificio, con cui sogliono essi rendersi a quelle
sempre più somiglianti, tingendosi con una mistura ter-
rosa di color rosso di sangue le pomelle, la fronte, la
punta del naso e il mento, emulando così persino i co-
lori co’ quali la natura sembra aver preso piacere a cre-
scere la natia bruttezza del muso de’ Mandrilli. Gli Au-
stralasiani hanno poi gli occhi di color bruno, non mai
feroci, non male conformati, sensibilmente assai meglio
aperti che quelli de’ Sinici o Chinesi, e più grandi di
quelli de’ Nettuniani; le loro folte sopracciglia sono po-
ste sopra un arco assai rilevato e prominente; i baffi ne
sono a bastanza forniti di pelo, segnatamente nel mezzo;
le chiome loro, sempre nere, riescono molto corte e di-
sposte per fiocchi, ma non mai crespe o ricciute e nè
tampoco lanuginose; la barba n’è rada assai sul mento,
ma più copiosa verso le non difformi orecchie; la pelle
loro è di un colore prossimamente analogo a quello della
così detta Terra d’ombra de’ pittori, e s’avvicina pel
colorito a quella ch’ è propria ad alcune varietà della
specie Nettuniana. Ma oltre a quanto sopra, ci piace ora
qui di soggiugnere, non esservi carattere alcuno che me-
glio valga a contraddistinguere, da tutte quante le pre-
cedenti, la specie Australasiana di quello che il faccia
costantemente la naturale disproporzione, che vi si osserva
tra ’l tronco assai bene costituito, e le estremità oltre-
modo gracili, sottili, e sempre debolissime; dispropor-
zione che riscontrasi, così ne’ maschi, come nelle fem-
mine, nelle quali, mentre il seno suol essere assai ben
conformato, si è creduto di riconoscere che il ca-
tino o il pelvi non differisca, a riguardo dello sporgi-
mento de’ fianchi all’ infuora, tanto quanto ne differisce
[Seite 136] da’ maschi generalmente nell’ altre specie d’Uomini. Gli
Australasiani sono decisamente selvaggi, diffidentissimi,
stupidi affatto ed insociabili, e in generale vivon poco.
Specie IX. Colombiana. (Homo Colombicus). Que-
sta ottava specie d’Uomini, come le susseguenti Ameri-
cana e Patagona, propria esclusivamente del Nuovo Con-
tinente, sembra aver tratto la prima sua origine nei
Monti Alleghany, e Apalaches, d’onde discese da
prima a popolare le terre che formano l’ampia valle
del fiume S. Lorenzo, e poscia diffusesi, attraversando
le Floride, per l’isole interposte verso il Sud, fissandosi
a domicilio, ora lungo le spiaggie del Messico, or nelle
Antille, ora nella così detta Terra Ferma e nella Gujana,
da Cumana fin sotto la Linea equinoziale, sempre paral-
lelamente alle Coste, d’onde gli Europei vanno costante-
mente ingegnandosi di rispingerla ogni di più. Per tal
modo gli abitanti nativi del Canada, le nazioni indigene
dell’ America settentrionale e finitime cogli Stati Uniti,
i Jucatanesi, gli Honduras, i Caraibi, e i Galibis ven-
gono necessariamente a far parte di questa specie d’Uo-
mini da noi contraddistinta col nome di Colombiana, la
quale sottraendosi, in quanto può, dalla violenza Europea,
sembra conservarsi bastantemente pura in alcune parti
delle così dette Isole del Vento, e anche nelle solitudini
che stanno fra l’Orenocco, e il Rio delle Amazzoni. Gli
Uomini di questa specie, quasi sempre di temperamento
bilioso-flemmatico, sono di bella statura, benissimo con-
formati e proporzionati, agilissimi ad un tempo e forti
e robusti; la bella loro testa è di forma ovale, se non
che la fronte, qualunque siane il motivo, ne suol es-
sere sempre in singolar modo appianata e quasi chi di-
cesse depressa; lungo n’è quasi sempre il naso, affilato
e molto aquilino; la bocca mezzanamente fessa, colle lab-
[Seite 137] bra regolari come fra noi, e co’ denti piantati vertical-
mente nelle due mascelle; gli occhi grandi, ben aperti
e generalmente di color bruno; i capelli neri e a quanto
dicesi, non suscettibili d’incanutir mai, affatto distesi,
grossolani, duri, lisci e lucenti, a bastanza lunghi per
arrivar fino alle spalle senz’ arricciarsi. Gli Uomini, quale
che possa esserne la cagion vera, sono non solo quasi
affatto imberbi, ma non sogliono mostrar pelo in nes-
suna delle parti che presso a’ maschi dell’ altre specie,
ne sono più o meno provvedute, e quando sudano, dif-
fondono un odore che si pretende analogo a quello che
mandano i cani; il colorito della loro pelle è d’un rosso
che s’avvicina a quello del così detto rame rosetta. Le
donne loro sono nubili assai per tempo, e comunque
condannate a quanto di faticoso può avere la vita uma-
na, poichè i maschi se ne sottraggono per accudire uni-
camente alla caccia e alla guerra, sono non pertanto as-
sai robuste, svelte e ben conformate anch’ esse, ove se
ne eccettui il seno, che senz’ essere difforme, in ragione
della laboriosissima vita che sono costrette a menare,
n’è sempre alcun poco depresso, anche se non hanno
ancora dato il latte a’ loro bimbi. Si pretende che non
siano infrequenti in questa specie gli esempi di longevità.
Specie X. Americana (Homo Americanus). Questa
specie, indigena e probabilmente originaria, di quel vasto
Altipiano che nell’America meridionale è formato dalla
così detta Cruz de la Sierra, la quale collegasi colla Cor-
dillera dell’ Andes, e in cui racchiudonsi la valle supe-
riore dell’ Orenocco, tutta quanta la valle del Rio delle
Amazzoni, il Brasile, il Paraguai, parte delle valli del
Rio de la Plata e del fiume Para, e fors’ anche por-
zione di quegli Araucanos, al di là de’ quali è posto il
Chili, è di tutte le specie d’Uomini, infino ad ora, la
[Seite 138] meno esattamente conosciuta, e quella che, se non è
piuttosto costituita di molte specie diverse, ammette per
lo meno un maggior numero di razze o di varietà che
non facciano le altre. Di fatto, è forza per ora d’inchiu-
dervi ad un tempo i Botocudos che, stando a domicilio
vagante presso al Tropico, hanno la carnagione di color
bruno-chiaro e talora quasi affatto bianco, i Guagacas
che sono perfettamente bianchi, sebbene dimorino sotto
la Linea equinoziale, i Charruas di Buenosaires che, sotto
il 40.° grado di latitudine meridionale, sono quasi affatto
negri e senza mai la più lieve tinta che volga al rossa-
stro, gli Omaguas che, abitando regioni poste sotto il
quinto parallelo meridionale, sono di color nero di fu-
liggine, hanno stranamente difformata la fronte, il ven-
tre naturalmente enfiato, la barba foltissima e molto
pelo sullo sterno, e i Guaranis e i Coruados, che sono
quasi affatto imberbi, e senza pelo sul torace. General-
mente parlando, può dirsi che tutti gli individui ascritti
interinalmente a questa decima specie d’Uomini, tutti
partecipano, qual più, qual meno, delle note caratteristiche
proprie de’ Sinici, Sini o Chinesi e degli Ottentotti;
di modo che quasi verrebbe voglia di formarne una
specie intermedia fra quelle due. Del rimanente, a meno
di poche eccezioni, sogliono dessi avere la testa rotonda,
sproporzionatamente grossa e pesante, conficcata, direm
così, tra le spalle, col vertice schiacciatissimo, colla fronte
vasta e in sommo grado depressa; hanno l’arco soprac-
cigliare rilevatissimo all’ infuori, le due pomelle molto
prominenti, gli occhi piccioli e quasi chi dicesse, lan-
guenti, il naso schiacciato colle narici spalancate, ri-
gonfie le labbra, grande la bocca, sebbene co’ denti im-
piantati verticalmente nelle mascelle, la pelle piuttosto
di un tal quale color di tannino o di concia da pelli, di
[Seite 139] quello che gialla o color di rame, i capelli neri diste-
si, duri, lucenti e più che altro setolosi, piedi e mani
finalmente proporzionatissime ed anche belle, se alcun
che di bello può risultar mai dalla descrizione fatta in
complesso di così brutti individui. È singolare l’antipa-
tia decisissima ed invincibile, che gli Uomini di questa spe-
cie hanno per tutti quelli che appartengono alla specie
Colombica.
Specie XI. Patagona (Homo Patagonus). Questa, forse
recentissima, troppo poco conosciuta, e pochissimo nu-
merosa undecima specie d’Uomini di statura colossale o
gigantesca, ma di forze mentali scarsissime, e corporali
non corrispondenti in conto alcuno alla mole loro,
che oltrapassa bene spesso in altezza i sei piedi, e
confinata, al di là del 40° grado di latitudine Sud,
nelle fredde Coste Orientali dell’ estrema punta in cui
termina verso il Polo Antartico il Continente Ameri-
cano, vive miserissimamente di pescagione, incolta af-
fatto e in istato selvaggio; il colorito della pelle n’è
bruno-fosco (basanè), e i capelli ne sono distesi al tutto,
in generale lunghissimi, di color bruno, o di color nero,
nè più che tanto se ne sa finora.
Specie XII. Etiopica (Homo Aethiopicus). Di tutte le
specie d’Uomini, che qui proponiamo di stabilire, non
ve n’ ha alcuna che sia meglio caratterizzata, anche a
primo colpo d’occhio, e più agevolmente distinguibile
che questa, da qualunque altra; da che, oltre alle chiome
lanuginose, che le sono proprie costantemente, disposte
sulla fronte ad arco secco, senza far mai alcun an-
golo, oltre al colorito negro della pelle, oltre al tuono
di voce effemminato, acuto, argentino e garrulo, a con-
traddistinguere l’Etiope da’ rimanenti Uomini tutti, con-
corrono possentemente parecchi caratteri risultanti da ben
[Seite 140] avverati confronti anatomici. Di fatto le ossa ne riescono
in generale più bianche; il cranio, che in parità di cir-
costanze fu calcolato corrispondere in mole soltanto a
nove decimi del nostro, ne è sempre anteriormente ri-
strettissimo, schiacciato al vertice, e posteriormente ar-
rotondato, col forame occipitale trasposto più all’ indietro
di quello che non accada nel nostro, avente le suture
in qualsivoglia epoca di gran lunga più stipate, col-
l’ osso intermascellare e il mento inclinati l’uno con-
tro l’altro, co’ denti incisivi impiantativi obbliqua-
mente e coll’ osso nasale compresso o schiacciato; le
creste degl’ Ilii ne sono sempre divariatissime, di modo
che, soprattutto nelle donne, formano fianchi mostruosa-
mente rialzati, e le ossa delle coscie e quelle delle gambe
ne sono costantemente incurvate colla convessità all’ in-
fuori. Oltre a ciò consta oggimai fuor di dubbio dalle
osservazioni di Soemmering che, mentre il cervello degli
Etiopi è sensibilmente più ristretto del nostro, i nervi
alla loro origine ne sono assai più grossi, che la faccia
loro si va allargando di mano in mano a misura che il
cranio va in certo modo restringendosi, che il sangue,
e le parti loro muscolari, ne sono d’un color rosso più
carico di quello che sogliano esserlo fra noi, e che la
materia della loro traspirazione è fetida, ammoniacale e
colorata. Le femmine loro, anche fin dall’ età di dieci
anni, in cui divengono nubili e sono regolate, hanno le
mammelle flosce e penzoloni, a segno di potersele gittar
dietro le spalle per allattare, e sono di tutte le donne le
più soggette agli aborti. Del resto al semplice vedere un
Uomo di tal fatta, colla fronte ristretta, che sembra scap-
pare all’indietro, colle tempia ampie, carnosissime e pre-
cocemente rugose assai, colle sopracciglia prominenti e
increspate, con occhi grandi, rotondi, protuberanti allo
[Seite 141] infuori, umidi sempre, di fondo giallastro e colla pupilla,
piuttosto castagno-scura, che nera affatto, con ciglia cortis-
sime, colle pomelle rialzate molto, colle orecchie diver-
gentissime, col naso grosso, goffo e schiacciato in base,
con due labbra rigonfie, di color bruniccio, co’ denti
forti bensì e bianchissimi, ma inclinati in modo da non
permettere all’ individuo di poter pronunciare la let-
tera R, col mento corto e rotondato che sembra scap-
pare all’ indietro, con poca barba sparsa qua e là ir-
regolarmente per pennicilli, è ben difficile che tosto
non abbiasi a dire: eccovi un Etiope. L’Affrica infino
ad ora è stata, esclusivamente ad ogni altra regione, la
patria di questa specie, la quale ne occupa tutto quel
tratto di Coste Occidentali che stendesi fra i due Tro-
pici, dal Golfo di Guinea, o per meglio dire dal Sene-
gai, fino alla latitudine dell’ Isola di Sant’ Elena, sotto
i differenti nomi di Foulahs, di Joloffi, di Sousous,
di Mandinghi, di Ascantidi e di Negri della Costa di
Ardra, del Regno di Benin, della Costa di Gabon, di
Loango, del Congo, d’Angola e di Benguela. Sembra
poi che, da queste regioni occidentali, numerose orde
d’Etiopi, attraversando tutto l’interno dell’ Affrica, siansi
a quando a quando recate ad occuparne i terreni abita-
bili fin sulle Coste Orientali, ove stanno a domicilio i
Caffri, popoli Negri, de’ quali ragioneremo tosto qui sotto,
parlando della 13.a specie d’uomini come diversa da
quella degli Etiopi di cui stiamo ora trattando, mentre
Etiopi sono pure effettivamente gli abitanti del Mono-
motapa sopra il Canale del Mosambico, come il sono
quelli della Costa di Zanguebar, d’onde spingendosi essi
entro terra, penetrarono ben anche a confondersi co’ po-
poli indigeni della Nubia e dell’ Abissinia, e varcando il
Mare, recaronsi ad occupare l’Occidente dell’ Isola di
[Seite 142] Madagascar. Questi Negri soleano essere in addietro quasi
esclusivamente le vittime infelicissime della così detta
Tratta de’ Mori, che grandissimo numero recavane so-
prattutto nelle Colonie del Nuovo Mondo, onde sup-
plirvi al difetto delle bestie da soma.
Specie XIII. Caffra (Homo Cafer). Questa 13.a spe-
cie di Negri, diversi dagli Etiopi e dagli Ottentotti, è a
domicilio, quasi diremmo, stabile nell’ Affrica, in uno spa-
zio triangolare di cui il vertice è formato dalla estre-
mità Antartica della Costa di Natale, mentre la base ne sta
presso al Tropico sotto al 20.° grado di latitudine Sud.
I Caffri hanno il cranio conformato a volta, come l’ab-
biamo noi; non hanno mai il naso schiacciato, ma ben
piuttosto inclinante alla forma convessa o aquilina; hanno
le labbra rigonfie come gli Etiopi, e le pomelle pro-
minenti come gli Ottentotti; la loro capellatura è ric-
ciuta, increspata e non mai lanuginosa al segno, a cui
hannola gli altri Negri, e la loro barba riesce più dura
di quello che non sogliano averla gli Ottentotti; a ba-
stanza elevata, svelta, proporzionata e robusta è in ge-
nerale la loro corporatura, e il colorito della loro pelle
è un tal quale grigio-nericcio o grigio di ghisa, asso-
migliabile appunto, più che ad altro, al ferro tratto di
recente dalla fornace. Le donne loro riescono sempre
picciole assai, in proporzione della bella statura de’ ma-
schi, ma sono però ben fatte anch’ esse, a tale che non
è rado lo scorgere, in una giovinetta di questa specie, ve-
rificati tutti que’ venustissimi contorni curvilinei o tondeg-
gianti, che tanto ci aggradano nelle forme de’ disegni
antichi. I Coussas, i Betjounas, i Matjapins, i Marout-
zés, e i Makinis, sono i popoli principali di questa spe-
cie, alcune famiglie della quale penetrarono fino nell’ Isola
di Madagascar, ove anche di presente ne occupano un pic-
[Seite 143] ciolo tratto di paese postone, nella estremità la più me-
ridionale.
Specie XIV. Melanzana. (Homo Melaninus). Questa
specie a prima giunta potrebbe quasi confondersi colla
Etiopica, se le sempre gracili membra lunghe, simili
a quelle degli Australasiani, non ne la contraddistingues-
sero a bastanza. Del resto il color della pelle, e la forma
del capo e del tronco, assomigliano questi Negri in qual-
che modo a’ Negri Affricani d’amendue le specie, come
l’estremità loro fievoli, lunghe e macilenti li approssi-
mano agli Uomini indigeni della Nuova Galles meridio-
nale. Ebbero essi sempre per costume di limitare alle
spiagge marittime, al pari de’ Nettuniani e de’ Males,
il loro domicilio senza spingersi mai per entro alle terre,
e diffondendosi invece per via d’acqua di Capo in Ca-
po; di modo che se ne rinvengono anche presentemente
orde o famiglie nella Terra di Diemen, nella Terra del
Fuoco, nell’ isola di Formosa, nelle Filippine, alla Coc-
chinchina, nella penisola di Malacca, a Borneo, a Ce-
lebes, a Timor, nelle Molucche, nella massima parte della
Nuova Guinea, nell’ Arcipelago dello Spirito Santo, nella
Nuova Caledonia, nell’ isole Fidji, fors’ anche nell’ isola
Niphon poco discosta dal Giappone e nell’ isola di Ja-
va, se pure non n’è stata in quest’ ultime isole recente-
mente distrutta, come credesi, ogni rimanenza. Bellicosis-
simi, feroci ed antropofagi in sommo grado, i Melaniani
nell’ Arcipelago dello Spirito Santo, nella Nuova Cale-
donia e nelle isole Fidji, son dessi al contrario per tutto
altrove stupidi, timorosi, inviliti ed affatto infingardi,
vivendo miserissimamente di nicchi marittimi, coll’ ag-
giunta di poche radici vegetabili che spontaneo esibisce
loro il suolo che calcano indolenti. A torto si confusero
infino ad ora i Melaniani co’ Papus, siccome dimostra-
[Seite 144] rono pur testè le attente indagini de’ benemeriti signori
Quoy e Gaimard, mentre il colorito della pelle de’ Me-
laniani è più decisamente nero ancora che nol sia quello
degli Etiopi più negri, e mentre hanno dessi tondeggiante
il capo, col cranio depresso, non meno anteriormente che
a’ lati, senza che perciò l’angolo facciale ne riesca acuto
com’ è negli altri Negri; mentre i capelli loro lanuginosi,
sono sempre cortissimi, quasi direbbesi, stretti contro
la testa, e piantati costantemente sulla fronte e sulle
tempia, in modo che descrivono una linea curva regolare
e senz’ angoli; mentre prominentissimi ne sono così gli
archi sopraccigliari come le pomelle; mentre gli occhi,
fessi per lo lungo, ne sono più piccioli che presso gli
Australasiani, coll’ iride verdiccia volgente al bruno; men-
tre il naso n’è schiacciatissimo in base, colle pinne as-
sottigliate, depresse d’alto in basso ed janti, o tanto
smodatamente spalancate che corrispondono a’ canti della
grande loro bocca, non già formante grugno, ma risul-
tante bensì da due grosse e goffe labbra arcuate, e di
color rosso vivo di carne invece d’essere bruniccie, e
mentre finalmente hanno dessi il mento quasi quadro, con
poca barba, molto più folta sotto la gola che altrove, e
le coscie e le gambe al paro degli Australasiani lunghe,
magre e sottili, per niun verso proporzionate alla loro
corporatura. Quanto alle loro donne, sono desse lorde,
sporche, schifose, puzzolenti, invilite, ed hanno le
mammelle voluminose, flosce, depresse, ma però di forma
a bastanza emisferica finchè dura la gioventù, che cascano
poi penzoloni a pena passato il primo fiore dell’ età.
Specie XV. Ottentotta (Homo Hottentotus). Que-
st’ ultima specie d’Uomini, la più diversa d’ogni altra
dalla nostra, cosi risguardo all’ aspetto in complesso,
come per marcatissimi caratteri anatomici, fu da noi
[Seite 145] ritenuta ultima di tutte a motivo della transizione che
sembra fare dal genere Uomo al genere Orang, e quindi
immediatamente alle Scimmie. Ed in vero negli Otten-
totti, al modo medesimo che ne’ Macachi, le due ossa na-
sali trovatisi già congiunte in un osso solo, depresso e
di gran lunga più allargato di quello che non soglia
esserlo in qualsivoglia altra specie d’Uomo; la cavità
dell’ omero, in cui articolasi l’olecrano, n’è già perforata, e
le ossa delle mandibole, al pari de’ denti, vi sono già affatto
obblique. Il colorito della loro pelle suol essere grigio
scuro e come impastato di nero di fuliggine, inclinante
più o meno al giallastro, ma non mai affatto nero. Sebbene
in questa specie d’Uomini l’angolo facciale non corri-
sponda se non tutt’ al più a 75 gradi, riesce desso però
più acuto che nell’ altre, e la fronte n’è sempre pro-
minente in alto, ma il vertice n’è poi depresso in strano
modo e anzi bene spesso perfino incavato, con curva
e affatto senz’ angoli la linea di demarcazione descrit-
tavi dall’ inserzione de’ capelli neri o anche a mala pena
bruni, corti assai, lanuginosi, e disposti sul capo per
ciocche, alla foggia del pelo sulle così dette Pellicce
d’Astracan; le sopracciglia, comunque sottili e non gran
fatto prominenti, ne sono però marcatissime, anche in
grazia di una tal quale increspatura de’ peli onde sono
guernite, e gli occhi ne sono di color bruniccio, costante-
mente socchiusi, non aprentisi se non per lo lungo,
alla maniera de’ Sinici, Sini o Chinesi, e col canto interno
rialzalo verso le tempie; guardandolo in faccia, l’aspetto
complessivo d’un Ottentotto rammenterebbe a bastanza
bene quello d’un Chinese, o anche quello d’un Boto-
cudos del Brasile; ma non accade poi lo stesso guar-
dandolo di profilo, mentre in tale secondo caso scorgesi
nell’ Ottentotto una conformazione che tiene senza con-
[Seite 146] fronto più del bestiale, da che quelle livide sue lab-
bra sporgonsi innanzi propriamente in un grugno, con-
tro cui vengono a schiacciarsi, e in certo modo a con-
fondersi le due narici brutte e schifosamente aperte per
lo lungo; pochissima barba hanno in oltre gli Ottentotti
a’ baffi e sotto il mento, senza mai che ve ne sia traccia
ne’ cosi detti Favorites presso all’ orecchie, la conchetta
delle quali è piuttosto inclinata verso la parte posteriore
di quello che, come fra noi, dalla parte posteriore verso
l’anteriore; perfino i piedi riescono negli Ottentotti con-
formati così diversamente da’ nostri, e da quelli di tutti
quanti gli altri Negri, che al semplice scorgerne sul suolo
le traccie, si può tosto giudicar senza timor d’abba-
glio essere ivi passato un Uomo di tale specie. Essi in-
vecchiano per tempo assai, e sono decrepiti all’ età di
50 anni. Le loro donne, sempre picciolissime in paragone
de’ maschi, ne sono d’aspetto anche più schifoso, colle
loro mammelle flosce, e prolungate penzoloni a modo
di potersele gittar per di dietro oltre le spalle, onde
porgervi il latte a’ loro bambini, come le donne Iperbo-
ree colle quali hanno una maravigliosa analogia di con-
formazione; ve n’hanno alcune che sembrano avere la
testa di forma quadrata, tanta n’è la schiacciatura che
debbesi averle fatto subire d’alto in basso, anteriormente
e anche posteriormente. Celebre è poi il così detto grem-
biale naturale delle Ottentotte, che diè luogo a tante e
così lunghe questioni perfino sulla realtà di sua esi-
stenza; ma è oggimai al tutto fuori d’ogni contestazione
che in molte di queste donne, e più che frall’ altre, fra
le Boshismene, come in alcune donne Negre d’altra spe-
cie, e com’ anche in qualche donna della specie Ara-
bica, che perciò s’assoggettano poi ad una maniera di
circoncisione, pervenendo esse all’ età nubile, e appunto
[Seite 147] quando sbucciano loro le mammelle, gonfiansi anche,
quale che possa esserne la cagione, le grandi ninfe alle
pudende, e prolungansi poi mano mano talora fino a
pendere per la lunghezza da tre a sei ed anche a più
pollici per davanti alle loro parti della generazione. Tal-
volta a tutte queste difformità delle donne Ottentotte, un’
altra non meno mirabile se ne aggiugne dopo il parto,
la quale consiste in un enorme ingrossamento adiposo
delle natiche, sporgente in forma di mostruosa gibbosità
quasi quadrata dal di sotto delle reni ed occupante i
due fianchi. Sta la specie Ottentotta, incolta affatto e sel-
vaggia, lordissima ed indolente, a stabile domicilio, come
la Caffra, nella estremità meridionale dell’ Affrica, senza
però stendersi al di qua dal Tropico del Capricorno,
e ne occupa a un dipresso, sotto i differenti nomi di
Namachesi, di Koranas, di Boshismeni, di Gonachesi
e di Houzouanas, la metà più occidentale, nella quale
dilatasi lungo la valle del fiume Orange, dopo che gli
Europei la costrinsero a sgombrar da’ dintorni del Capo
di Buona Speranza e dalla Costa del Sud, che occupava
da prima.
Non abbiamo creduto di lasciar privi i nostri leggi-
tori di questa recentemente proposta distribuzione del
Genere Uomo in quindici specie considerate come af-
fatto diverse l’una dall’ altra, a malgrado che colle
plausibili ragioni filosofiche nel testo addotte dal bene-
merito Blumenbach, altre tratte da fonte ancora più ri-
spettabile se ne combinino a ritenerci pur sempre nel-
l’ opinione, che effettivamente esista una sola specie d’Uo-
mini, e che questi, qualunque possano esserne le differenze
da riguardarsi atte a stabilirne quante mai varietà o
razze riputerannosi opportune, abbiano tutti avuto in
comune una sola e affatto unica origine. – N. del T.
Histoire naturelle des Singes, péints d’aprés nature par
J.D. Audebert. Paris 1797, folio gr.
È quindi questa una assai ristretta specie di mammiferi;
mentre al contrario la specie umana, risultante da circa mille
milioni d’individui, è la più grande di tutte.
Originariamente osservabili nel Viaggio a Ceylan di Ber-
nardo von Breydenbach stampato a Magonza nel 1486 in fol.
Come per ragion d’esempio avvenne nella VI Parte della
traduzione tedesca dell’ Opera di Buffon fatta a cura del Martini.
Possono vedersene esempii nell’ opera intitolata: Rouleau de
Papyrus, publiée par Cadet, 1805.
La mirabile, e in vero sorprendente, maniera colla quale
gli animali di questa specie, riuniti in torme più o meno nu-
merose, incatenansi per così dire tutt’ insieme gli uni cogli
altri, e così incatenati poi scagliansi da un albero piantato, pon-
ghiamo sulla sponda destra d’un fiume, sopra un altro albero
situato al di là del fiume medesimo sulla sponda sinistra, tro-
vasi disegnata e descritta nell’ edizione originale in folio pub-
blicata a Madrid nel 1748 dell’ Opera intitolata: Viage de Ant.
De Ulloa. Volume I. da pag. 144. a pag. 149.
Vedi Gotth. Fischer’s Anatomie der Maki. Parte I. Fran-
coforte 1804 in 4.° con rami.
Non è molto tempo che qui, da’ dintorni di Gottinga, mi
[Seite 169] venne fatto di avere un’ assai bella varietà di questa specie di
Topo, tutt’ affatto bianca, quanto può esserlo mai un Armel-
lino (Mustela erminea), a meno di due macchie grigio-bru-
niccie sul dorso.
Della patria originaria, dataci troppo di rado da’ moderni
naturalisti, com’ anche del traspiantamento progressivo di que-
sti Topi Ratti, e di molti altri animali presentemente diffusisi
assai lunge e moltiplicatisi in grande numero, ho io stesso
dissertato diffusamente nella mia Commentatio de quorundam
[Seite 171] animantium Coloniis, sive sponte migratis, sive casu aut studio
ab hominibus aliorsum translatis. Gottinga 1823 in 4.°, e
Tom. V. Comm. rec. Soc. R. Scient. Gottingensis.
Ho avuto cura d’esporre i mici dubbii sull’ attendibilità di
cosi fatta favola, nella mia opera intitolata: Handbuch der ver-
gleichenden Anatomie, a pag. 33. e seg.
Certum est Balearicos adversus proventum cuniculorum
auxilium militare a Divo Augusto petiisse. Plinius.
La così detta Piedra del Porco, sorte di calcolo biliare,
altre volte dispendiosissima perchè allora ritenuta come una
vera Panacea, deve trovarsi quando a quando in una specie
particolare d’Istrice, non per anche ben determinata, ma indi-
gena certamente dell’ Indie Orientali.
É ben difficile l’accordarci qui con Linneo, il quale non
concede agli Erinacei, o a’ così detti Ricci, se non due soli
denti incisivi per cadauna mandibola; da che incisivi supe-
riori sono precisamente da ritenersi tutti quelli che scorgonsi
impiantati nell’ osso intermascellare (di cui veggasi ciò che
dicemmo nella nota apposta al §. 44), come per incisivi in-
[Seite 183] feriori sono senza dubbio da ritenersi quelli che, posti nella
parte più anteriore della mandibola inferiore, corrispondono
esattamente a’ summentovati incisivi superiori.
Tanto testifica eziandio il Dottore Patr. Russel, nella no-
vella edizione ch’ egli ci diede, della Natural History of Aleppo
del di lui fratello. Tom. II. a pag. 419.
Possono vedersi nella Parte III del Voigt’s Neu. Magazin, a
pag. 683. e seg. alcune mie osservazioni sopra un individuo di
questa specie, che ho conservato vivo per ben lungo tempo
presso di me.
Molte cose risguardanti, non meno quest’ Orso polare, di
quello che alcuni altri animali del Labrador, possono leggersi
nell’ Opera di G. Cartwright, intitolata: Journal during a
Residence of nearly 16. years on the Coast of Labrador.
Stampata a Newark nel 1732. III. vol. in 4.°.
Il prime Orso di questa specie che si trasportasse a Lon-
dra oggimai 37 anni fa, avea al tutto perduto i suoi denti in-
cisivi, e quindi potea a ragione pigliarsi allora per un Bra-
dipo (Faulthier).
Ray e Linneo, oltre a qualche altro Naturalista, hanno a
torto dato il nome di Cane graio (C. graius) al nostro Levrie-
re qui sopra descritto, mentre sembra provato a bastanza che
gli antichi Greci non lo conoscessero affatto.
La pelliccia oltre modo bella d’una sola di queste Volpi
argentee del Labrador, fu pagata tempo fa in Londra fino ol-
tre a trecento talleri.
Accennero qui per incidenza come, misurando una Lio-
nessa dell’ età di dieci anni, ch’ ebbi occasione di notomizzare
alcuni anni sono ne trovai, di quattro piedi e dieci pollici la
lunghezza dall’ apice del muso infino all’ origine della coda,
e che questa misura coincide assai bene con quella di quattro
piedi e tre pollici, che ci diede ne’ suoi viaggi Lord Valentia, de-
scrivendo una così fatta Crocuta non per anche compiutamente
[Seite 215] cresciuta. – Uno scheletro superbo di Jena maculata, o di Cro-
cuta, del quale volle l’ora defunto Sopraintendente alle Foreste
von Wildungen arricchire la mia Collezione, è per lo meno
della grandezza medesima che indicai osservata nella da me
dissecata Lionessa.
All’ articolo Chien del Dictionnaire Classique d’Hi-
stoire Naturelle: Parigi. Tomo IV, 1823, veggiamo espo-
sta da Antoine Desmoulins una nuova distribuzione del
genere Canis che, tanto più reputiamo siavi il prezzo
dell’ opera di fare qui ora distintamente conoscere ai
nostri leggitori, in quanto che può dessa tenersi come il
risultato della attentissima considerazione di tutto ciò
che a’ nostri tempi si conosca sull’ argomento. La con-
correnza di varie diversità costanti di conformazione, di
indole e d’istinto tra certune, e parecchie altre delle
specie affastellate finora quasi promiscuamente nel genere
Canis, parve al Naturalista francese atta a fornirci un
ragionevole fondamento d’averne a stabilire almeno due
sezioni, o com’ egli s’esprime, due sotto generi: quello
cioè de’ veri Cani (Canis legitimus), e quello delle
Volpi (Canis Vulpes). Le più recenti ed accurate os-
servazioni hanno effettivamente constatato che ne’ primi
i denti incisivi superiori sono sempre profondamente divisi
in tre lobi, e gl’ incisivi inferiori in due lobi, mentre
[Seite 216] nelle Volpi tutti que’ denti incisivi hanno il loro lembo
estremo quasi affatto rettilineo, o se ammettono qualche
frastagliatura, i solchi o le sinuosità non ne riescono mai
cotanto profonde, come il sono costantemente ne’ Cani
legittimi, ne’ Chakals ec. Desse documentarono del pari,
oltre a molte altre differenze anatomiche rimarcabili so-
prattutto nella struttura de’ loro cranii, che nelle Volpi
la proporzione in cui sta, coll’ intiera lunghezza del corpo
dell’ animale, quella delle loro intestina gracili, è molto
più picciola di quello che non accada ne’ Cani legittimi,
ne’ Lupi e ne’ Chakals. Si sa poi d’altronde che molte
Volpi, a motivo della speciale conformazione delle loro
pupille, sono da ritenersi veri animali notturni, a diffe-
renza de’ Cani legittimi che non possono qualificarsi tali;
e si sa eziandio che le Volpi hanno sempre, tutte quante,
un pelo di gran lunga più fino, più morbido e folto,
più lungo, più sericeo e più disteso, segnatamente sulla
coda, e più apprezzato per valersene poi ad uso di pellic-
cia, di quello che non abbiano mai i Cani legittimi;
che la mole totale o la struttura di questi ultimi suol es-
ser sempre sensibilmente maggiore di quella delle Vol-
pi, le quali hanno costantemente le gambe più corte, il
corpo più prolungato, la testa più picciola e più acumi-
nata e le forme più svelte, che non abbiano i veri Cani;
come si sa finalmente che, se nelle Volpi prevale l’istinto
di scavarsi fosse solitarie sotterra, ne’ Cani legittimi prevale
al contrario un tal quale istinto d’associazione, che l’ac-
crescimento de’ bisogni non fa se non rendere sempre mag-
giore, come ce ne porgono esempio, il contegno abituale
de’ Lupi, quando sono numerosi, quello de’ Chakals,
quello di tutti quanti i Cani viventi in istato di selvati-
chezza, e quello perfino de’ Cani non selvatici, ma vi-
venti independenti e senza padrone in varie città della
Turchia.
Ciò premesso, ecco quale in fatto sia la novellamente
proposta distribuzione del genere Canis.
I.° SOTTO GENERE: Cane vero (Canis legitimus),
avente le pupille circolari, avente il cranio conformato
in modo che la fronte in traverso ne è uniformemente
convessa tra le due apofisi postorbitali, le quali scen-
dono alcun poco, senza infossatura e senza alcun’ altra
linea sporgente all’ infuori, eccetto le due prominenze
lineari delle tempia che tosto confondonsi nella cresta o
sutura sagittale, e non aventi mai la coda fioccosa come
le Volpi.
Specie I. Lupo (Canis Lupus: fr. Loup: ted. Wolf:
ing. Wolf: Wilk de’ Polacchi: Wolk de’ Russi: Ulf –
Warg de’ Svedesi: Graben de’ Danesi: Boijuku dei
Tongusi: Schonu de’ Buratti: Kuorcha de’ Kamtscatka-
desi: Zeeb degli Ebrei: Gmeli de’ Georgiani) – Vedi il
nostro Lupo nel Testo.
Specie II. Lupo nero (Canis Lycaon: fr. Loup noir:
ted. schwarzer Wolf: ing. black Wolf: Tscherno-Bu-
roi de’ Russi: Vulpes nigra di Gmelin). – Sembra
non essere questo che una varietà del Lupo descritto
da noi nel Testo, forse derivante accidentalmente dalla
seconda congiunzione d’un Lupo con una Cagna nera,
o viceversa, accaduta ne’ Pirenei.
Specie III. Chakal, o Lupo dorato (Canis aureus:
fr. Chakal – Loup doré: ted. Schakal: ing. Jackal:
Schakall de’ Tartari, de’ Turchi, de’ Persiani e de’ Rus-
si: Deeb – Dib de’ Barbareschi: Waui degli Arabi: Adi-
ve – Adibe de’ Portoghesi nell’ Indie Orientali: Gôlà
degli Indostani: Nari degli indigeni della Costa di Co-
romandel: Tura de’ Georgiani: Mebbia degli Abissinii:
Thos di Plinio. E qui avvertasi che il Tulki de’ Tur-
chi non è per essi altro che una Volpe comune, e che
[Seite 218] nell’ Ukrania chiamasi abitualmente Tschakal il Lupo
comune). – Vedi il nostro Lupo aureo nel Testo.
Specie IV. Mesomelas (Canis mesomelas: fr. Cha-
kal à dos noir du Cap: Tenlie – Kenlie degli Ot-
tentotti, e quindi di tutte l’altre nazioni). – Questo
animale, così s’esprime Cuvier, venne senza sufficienti
ragioni confuso coll’ Adive di Buffon, ossia colla Volpe
Corsac (Canis Corsac), circa alla quale vedi più sotto
la specie XIV, da che non ha, come ha questo, gli oc-
chi da animale notturno, e a malgrado della lunga sua
coda debb’ essere ricondotto, in vista della conforma-
zione appunto degli occhi, e in forza della struttura del
suo capo, piuttosto fra i Chakals e altri Cani legittimi,
che non fra le Volpi. Per altro forma desso una grande
e bella specie di Cane affatto distinta, a fianchi di color
fulvo, e avente sulla schiena una maniera di mantello
nero a onde bianche, che termina poi in una punta verso
la regione lombare; la testa ne è di un color misto di
grigio di cenere e di gialliccio; il muso n’è rosso bruno,
come il sono pure le zampe; la coda, che ne riesce nera
alla sua estremità, prima di divenir tutta d’un tal co-
lore, porta due o tre anelli, neri anch’ essi. Questa spe-
cie è comunissima ne’ dintorni del Capo di Buona Spe-
ranza, ed è peccato che Kolb nella sua descrizione di
quel paese non ci abbia fornito se non troppo poche
notizie a riguardo delle sue abitudini„.
Specie V. Lupo di Java (Canis Javensis – Lupus
Javae: fr. Loup de Java). – Sarebbe questa una nuova
specie di Lupo, esistente all’ isola di Java, d’onde lo
avrebbe riportato in Francia l’Eschenault, la quale avreb-
be la statura e le proporzioni del nostro Lupo comune
(Canis Lupus), ma coll’ orecchie più piccole, e col dor-
so di un color bruno tendente, tanto al fulvo, quanto al
[Seite 219] nerastro, color che ne hanno anche le zampe e la coda.
Cuvier però, che ha emesso una così fatta opinione,
non ne parla punto nè poco nel suo Prècis sur le gen-
re Canis. (Ossemens fossiles Tom. IV Chap. 6).
Specie VI. Lupo del Messico (Canis Mexicanus: fr.
Loup du Mexique). – Questo Lupo è un po’ più pic-
ciolo del nostro Lupo comune, ed ha il pelo d’un co-
lore rossastro, misto qua e là d’alcun poco di nero,
col pelo del ventre e de’ piedi bianchiccio, come bian-
chiccio n’è pur quello che gli sta intorno al muso. –
Cuvier lo ha ultimamente considerato come diverso da
quello di cui imprendiamo a ragionare immediatamente
qui sotto.
Specie VII. Lupo rosso del Paraguay. (Canis Para-
guayensis rufus: fr. Loup rouge du Paraguay: Agua-
ra-guazou d’Azara). – Il pelo n’è generalmente
per tutto di color rosso carico, a meno delle parti in-
feriori del corpo, nelle quali il colore riesce chiaro assai,
e della coda e dell’ interno dell’ orecchie, ov’ è bianco
affatto, e a meno de’ piedi, del musa e dell’ estremità
della coda, che riescono neri; a cominciar dalla nuca, scen-
dendo fino dietro le spalle, è desso ornato d’una sorte
di criniera, l’estrema metà de’ peli della quale è nera.
La statura n’è quella d’uno ben grande de’ nostri Lupi
comuni; la femmina ne somiglia affatto affatto al ma-
schio e porta sei zinne. Questa specie vive solitaria nelle
paludi o lungo i fiumi; va predando in tempo di notte;
è coraggiosissima, e nuota a maraviglia; urla spesso in
modo da far sentire lontano assai, e a bastanza bene
articolato, un suono che corrisponde a gouaaa.
Specie VIII. Lupo grigio e talora, sebbene a torto,
anche Volpe grigia del Paraguay (Canis Paraguayen-
sis griseus: fr. Loup gris du Paraguay: Guaracha del
[Seite 220] Brasile, e probabilmente, giusta il sospetto di Cuvier,
lo stesso che l’Aguarachay d’Azara). – Il mantello n’è
d’un colore grigio bruniccio, col muso e co’ piedi bruno-
nerastri, colla coda lunga e coperta di pelo ben folto,
nera per di sotto e terminante nera anche all’ estremità.
Viene questo un po’ più grande d’uno Chakal, ed ò cer-
tamente indigeno del Brasile. Crediamo opportuno d’av-
vertire qui che questa specie venne male a proposito rap-
presentata nell’ Atlante di Azara sotto la figura di Volpe
tricolorata (Renard tricolore), mentre una tale Volpe
assolutamente non esiste in America.
Specie IX. Cane de’ boschi di Cajenna, o anche Cane
Crabiere. (Canis Thous: fr. Chien des bois de Ca-
yenne – Chien Crabier). – Somiglia assai alla specie
precedente, se non che n’è alquanto più picciolo di mole,
e ne ha più gracile la coda. Viene però un po’ più grande
d’uno Chakal, di cui a parità di circostanze, ha anche
più corta la testa e più nericcio il pelame; è del pari
un po’ più grosso che non sialo un nostro Cane da Pa-
store, ma ne ha ad un tempo più piccole, tanto le gam-
be, quanto la coda; ha nero il margine delle palpebre,
come ha nero il muso, e nere due picciole strisce che
porta sulle guance, il fondo delle quali è di color fulvo
misturato di grigio, mentre il mantello in totale n’è
di colore grigio-nerastro, ove predomina il fulvo. Tiene
desso ritte in piedi le orecchie lunghe due pollici, ve-
stite esternamente d’un pelo corto bruno-rossastro, e
guernite, lungo l’orlo loro interiore, di pelo bianco-gial-
liccio; ed ha la sua coda lunga e gracile terminante in
punta di color nero, coperta di pelo minuto, come rasato,
di un colore giallo che inclina al grigio con qualche
mistura di bruno. Questi Cani che vivono anche di sem-
plici frutta in picciole associazioni, vengono addestrati
[Seite 221] dagli indigeni della Cajeuna, alla caccia degli Agoutis,
degli Akoukis, de’ Pacas e d’altri così fatti animali;
dessi accoppiansi fruttuosamente co’ nostri Cani domestici
Europei, e i Cani che poi ne risultano sono riguardati
come migliori di tutti gli altri per gli usi della caccia.
Specie X. Cane Antartico (Canis Antarticus: fr. Chien
Antarctique). – Cuvier ne ha fatto ultimamente una
specie a parte, sebbene troppo poco se ne sappia infino
ad ora; quanto se ne può dire riducendosi: al color del
mantello, che n’è grigio colla cima della coda di color
bianco; alla sua statura un po’ maggiore di quella di
uno Chakal; al suo abbajare che vuolsi analogo a quello
de’ nostri Cani comuni; all’ abitudine che ha di scavarsi
covili sotterranei nel terreno smosso e sollo delle dune,
e alla località ove se ne vide qualche individuo che è
nell’ isole Malouine. Del resto non si conosce tampoco
com’ abbia desso conformate le pupille.
Specie XI. Cane fossile (Canis fossilis: fr. Chien
fossile). – Alcuni teschii rinvenuti nelle spelonche, o a
Gayleureuth, o a Kirkdale nel Yorkshire, o a Oreston
presso Plymouth, o negli scavi di Romagnano fra noi,
e di Aichstädt in Germania, esaminati da Cuvier, ne
furono dichiarati appartenere a qualche specie del Ge-
nere Canis, senza che perciò si possa assentatamente de-
terminar quale; specie che può forse non esister più.
Specie XII. Cane domestico. (Canis familiaris: fr. Chien
domestique). – Vedi per questo il nostro Cane fami-
liare nel Testo.
II.° SOTTO GENERE: Volpe (Canis Vulpes), aven-
te le pupille notturne, o lineari e prolungate vertical-
mente; avente una fossetta o un’ incavatura per di dentro,
e alquanto anteriormente, in cadauna apofisi postorbitale
dell’ osso frontale, colle prominenze lineari delle tempia
[Seite 222] che s’avvicinano bensì tra di esse, ma che lasciano la
sutura sagittale procedere a foggia piuttosto d’una picciola
fascia, che non d’una vera cresta come ne’ Cani legit-
timi, in confronto co’ quali, gli animali che racchiudonsi
in questo secondo sottogenere, hanno poi anche la coda
più lunga e ricca d’un pelo più lungo, più fino e
più folto, e più acuminato od aguzzo il muso, ed emet-
tono quasi costantemente dal corpo loro un odore più
fetido; e tutto ciò oltre alla marcatissima diversa confor-
mazione rispettiva de’ loro denti incisivi, ed oltre alla
diversità del numero complessivo degli individui esistenti
che, quanto alle Volpi, sembra essere di gran lunga mi-
nore di quel che non sia quello de’ Cani legittimi; tanto
più che le prime non si crede che esistano ne’ tanti Ar-
cipelaghi dell’ Asia e della Polinesia, nè alla Nuova Olan-
da, ove pure moltissimi Cani si rinvennero all’ atto della
scoperta fattane.
Specie XIII. Volpe comune (Canis Vulpes: fr. Renard
commun: ted. Fuchs: ing. Fox – Vos de’ Germani an-
tichi: Llwinog de’ Bretoni: Raf degli Svedesi: Zorra
degli Spagnuoli: Rapoza de’ Portoghesi: Lis – Liszka
de’ Polacchi: Lisitza de’ Russi: Tulki de’ Persiani e dei
Turchi: Sculack de’ Tongusi: Schual degli Ebrei: Taa-
leb – Doren degli Arabi: Nari sulle Coste dell’ Indo-
stan). – Vedi la nostra Volpe nel Testo.
Specie. XIV. Corsac (Canis Corsac: fr. Corsac – pro-
priamente l’Adive di Buffon: le Corsac di Pallas: le
Chien du Bengale di Pennant). – È questa una piuttosto
picciola Volpe, indigena dell’ india orientale e della Tar-
taria, grande a un dipresso quanto uno Chakal, ma
avente la coda più lunga, guernita di pelo più folto, e
nera all’ estremità, come suol essere appunto la coda delle
nostre Volpi comuni; ha poi dessa come distintivo una
[Seite 223] striscia di color bruno che, tanto a destra, quanto a si-
nistra, dipartendosi dall’ occhio, perviene fino al muso;
vive dessa numerosissima in sotterranei cunicoli o nelle
tane che va scavandosi per le Steppe della Tartaria;
si vuole che non beva mai. I Cirguisi o Tartari Kirguis,
che danno essi pure a questo animale il nome di Cor-
sac, lo distinguono continuamente da un altro, che chia-
mano Karagan, di cui eglino portano annualmente un
grandissimo numero di pellicce ad Orenburgo, e che
sembra dover costituire una distinta specie di Volpe, col
pelo di color consimile a quello del Lupo comune. Cu-
vier sostiene che il Corsac corrisponda fuor di dubbio
a quell’ animale, cui Buffon attribuì il nome di Adive.
Specie XV. Volpe azzurra, o Isatis (Canis Lago-
pus: fr. Renard bleu – Isatis: Fialtraka degli Sve-
desi: Pesez de’ Russi; Nedo-Pesez quand’ è perfetta-
mente bianca, e Krestowiki quando ha disegnata quasi
una croce sulla schiena). – Vedi per questa il nostro
Lagopo nel Testo. Sembra poi qui il luogo d’accennare
anche la Volpe di Lalande (Canis Lalandi – e Canis
Megalatis per qualche altro Naturalista: fr. Renard de
Lalande), la quale ha più alte le gambe di quel che
non abbia la Volpe nostra ordinaria, come ne ha più
corta la testa, ancora più ricca di folto pelo la coda, e
assai più lunghe le orecchie; il manto di questa è gri-
gio-bruniccio, ma per di sotto riesce piuttosto fulvo-
pallido; la parte superiore della coda, e l’estremità della
medesima ne sono nere; in generale tutta quanta la pellic-
cia n’è molto più lanuginosa ed increspata, di quello che
non soglia accader mai in qualsivoglia altra specie di Vol-
pe; a tale che ne riescono increspati perfino i peli
delle zampe. Dessa è indigena dalla Caffreria.
Specie XVI. Volpe nera (Canis argentatus: fr. Re-
[Seite 224] nard noir, a tutto torto confuso da Gmelin col pre-
cedente Lupo nero, o Canis Lycaon: fr. Loup noir). –
Questa Volpe, decisamente indigena delle regioni più set-
tentrionali del nuovo Continente e che talvolta, seb-
bene assai di rado, rinviensi anche ne’ dintorni del Kamt-
schatka, è nel fondo nera da per tutto, a meno della
estremità della coda, dell’ interno degli orecchi, e delle
sopracciglia, che ne sono bianchi, del muso e degli oc-
chiali, che ne sono grigi; ma il nero, che n’è purissimo
sulla parte esterna degli orecchi, lungo le spalle e in
tutto il rimanente della coda, in ogni altra parte del
suo pelo riesce, quasi chi dicesse cangiante dal nero al
bianco lucente dell’ argento; ha poi dessa le pupille di co-
lor giallo, e del resto somiglia moltissimo alla nostra Volpe
comune, non solo quanto alla conformazione del corpo,
ma anche a riguardo del suo procedere, portando come
essa basse, tanto la testa, quanto la coda; ronza però alla
maniera de’ Cani, quando qualche cosa non le aggra-
da, e tramanda quasi costantemente un odore ingrato
a bastanza, ma non identico con quello che suol esa-
lare dal corpo della Volpe nostrana comune; sembra
dessa suscettibile di grande dimestichezza.
Specie XVII. Volpe tricolorata, o Volpe a tre co-
lori, o anche Volpe generegnola inargentata (Canis
cinereo-argenteus: fr. Renard tricolore: ted. grau
Fuchs: Gris-Fuchs di Schreber). – Questa Volpe ha
in complesso il mantello di fondo nero, superficialmente
quasi tempestato di grigio; però guardandola a parte a
parte, si trova che il corpo n’è superiormente di color
fulvo, come il sono anche le facce delle membra che guar-
dano indentro, più vivace verso i fianchi, e più pallido
sulla pancia e sul petto; che la linea di distinzione dei
due colori procede diritta d’un bel colore di cannella
[Seite 225] lungo i fianchi; che la parte più elevata della testa, tra
gli occhi e l’inserzione delle orecchie, n’è grigio-rossa-
stra, mentre il rimanente del muso n’è bianco e nero;
che il di dietro delle guance n’è fulvo chiaro, e che
n’è bianco l’interno delle orecchie. Le unghie e l’al-
tre parti nude ne sono di color nero, e l’iride n’è di
color bruno-rossastro. I peli poi, morbidi come seta, ne
nascono sul principio bianchi, poi divengono neri per una
loro porzione, indi tornano a farsi parzialmente bian-
chi, e terminano alla fine in nero. La borra lanuginosa
n’è copiosissima, d’un color grigio pallido colle cime
rossastre nelle parti che sono di color fulvo. Diffonde
anch’ essa cattivo odore, ed è indigena de’ climi freddi,
più ancora che de’ climi temperati, dell’ America setten-
trionale. – Cuvier non è di sentimento che la Volpe
grigia della Virginia (Canis Virginianus griseus: fr.
Renard gris de la Virginie: grey Fox di Catesby),
sia effettivamente diversa dalla Volpe tricolorata di cui
femmo pur testè menzione.
Specie XVIII. Volpe dalla croce (Canis decussatus
– Canis cruciger: fr. Renard croisè). – Questa
Volpe, indigena segnatamente delle regioni Nord-ouest
dell’ America, d’onde per lo stretto di Behring scende
talora fino al Kamtschatka, è rimasta infino a questi
ultimi tempi confusa, come semplice varietà, nella specie
della nostra Volpe comune, a cui somiglia per la sta-
tura; ma Cuvier la ritiene ora come atta a formare da
per sè stessa una specie distinta; il corpo tutto, ed in
particolare poi la schiena, la coda, le zampe e le spalle
ne sono di un colore grigio-nericcio, derivante da peli
misti per tratti di nero e di bianco, alquanto più scuro
verso le spalle; l’apice della coda poi n’è bianco, e
ha dessa inoltre una grande macchia fulva, che le si stende
[Seite 226] dalle spalle fino alla testa, e alla quale fanno simme-
tria, in forma di croce, due altre macchie di quel colore
medesimo che scorgonlesi a’ due lati del torace. I riflessi
del color nero, e la negrezza dell’ unghie, ravvicinereb-
bero questa Volpe alla specie precedente, dalla quale
però essa distinguesi anche perciò che l’iride n’è gialla.
Specie XIX. Volpe fulva della Virginia (Canis Vir-
ginianus fulvus: fr. Renard fauve de la Virginie). –
Questa Volpe non è ammessa da Cuvier come formante
da sè specie distinta, a malgrado della seguente unica dif-
ferenza ch’ ei ne determinò nella testa, d’altronde af-
fatto simile in confronto colla nostra Volpe comune; dif-
ferenza che consiste in una tal quale diversa direzione delle
due creste ossee nelle quali s’inseriscono i due muscoli
temporali, mentre invece d’avvicinarsi a vicenda, come
nella Volpe comune, fino dal primo loro dipartirsi dal-
l’ angolo posteriore dell’ orbita, qui esse rimangono pa-
rallele fino alla metà delle ossa parietali, ove cominciano
ad incurvarsi per riunirsi poi soltanto in vicinanza della
cresta occipitale. Del resto la Volpe fulva d’Europa è
comune alle regioni più settentrionali de’ due Continenti,
e anzi sembra che, a quel modo medesimo che lo è in
Russia ed in Siberia, essa sia più grande in America che
nel rimanente dell’ Europa.
Specie XX. Volpe fossile (Canis Vulpes fossilis:
fr. Renard fossile). – Cuvier ha riconosciuto molte
ossa di Volpe nel sasso della Caverna di Gaylenreuth,
e le considera come spettanti a Volpi antiche; quando
bene quella Calce carbonata stalagmitica non abbia in-
crostato nel medesimo tempo ossa di Volpi attuali, con
ossa d’altri animali di data molto più antica; cosa che
si vede succedere nella breccia ossea de’ dintorni di Niz-
za. – N. del T.
Gli scoliasti che commentarono anticamente Omero (Iliad.
XX. 170) hanno fatto menzione d’un tal quale pungiglione,
d’un aculeo o d’una spina, che propriamente doveasi trovare
nella coda del Leone, ed in fatto qualche cosa d’analogo mi
accadde di scorgere nella coda di quella Lionessa che, come ho
detto nella mia Nota alla Jena, ebbi occasione di notomizzare,
e mi sono anche dato il pensiero di descriverlo nel mio Specimen
Historiae naturalis ex Auctoribus Classicis illustratae, ove ne
ho dato persino la figura.
È bene trovarsi avvertiti che generalmente i Pellicciaj usano
chiamar pelli di Pantera tutte quante le pelliccie d’animali
di questo genere che hanno macchie annulari, e pelli di Tigre
invece tutte quell’ altre pelliccie analoghe che non hanno mac-
chie annulari.
Risulta come fatto costante, e da non mettersi in contin-
genza, dalle prove assuntene a bella posta, che il Cavallo In-
glese da corsa, denominato l’Eclisse (Eclipse), divenuto così
famoso in questi ultimi tempi, percorreva, stendendosi di ga-
loppo, in ragione di cinquantotto piedi Inglesi in ogni minuto
secondo; e ciò è lo stesso come chi dicesse ch’ esso poteva co-
prire ad ogni passo una lunghezza di venticinque piedi, ripe-
tendo due passi e un terzo di tale misura appunto in ogni
singolo minuto secondo. Vedi An Essay on the proportions of
Eclipse nelle Works of Ch. Vial de Sainbel, stampate a Lon-
dra nell’ anno 1795 in 4.°.
Veggasi a questo proposito quanto ne dicono Sir Joseph
Banks nel Nickolson’s Journal of natural Philosophy, Vol. II a
pag. 267, ed il Conte Morton nelle Philosophical Transac-
tions for 1821. Part. I. a pag. 20.
Al contrario molti Scrittori e Viaggiatori chiamano Dro-
medario il Cammello che ha due gobbe.
Un solo corno d’Argali, non ben cresciuto ancora, che
possiede il Museo Accademico di Gottinga, pesa nove buone
libbre.
Ho fornito io medesimo qualche più circostanziata notizia
circa queste maravigliosamente belle Capre degli Schawls
(Schawlziege de’ Tedeschi) nel Göttingisch. Taschenbuch für
das Jahr 1813.
Contansi presentemente non meno di 39 diverse Spe-
cie d’Antilopi, che possono, ritenendone sempre il Ge-
nere unico Antilope, considerarsi ripartite ne’ sottoge-
neri: 1.° Gazzelle, che ne contiene le prime otto specie;
2.° Bubali, che contiene le due susseguenti; 3.° Orici,
che ne racchiude tre altre; 4.° Acuticorni, che ne con-
tiene quattordici; 5.° Tseiran, che ne racchiude altre tre;
6.° Strepsiceri, che ne contiene quattro; 7.° Lejoceri,
che ne racchiude tre altre; 8.° Ramiferi, che ne racchiu-
de le ultime due; e le Specie poi, ommessane l’Antilope
lanigera (Rupicapra Americana; fr. l’Antilope lani-
gere di Blainville), che in fatto riconobbesi appartenere
al Genere delle Capre (Capra), e toltane ogni confu-
sione di sinonimie, ne sono, dietro una così fatta distri-
buzione in sotto generi, le seguenti:
Specie I. Antilope Gazzella, (A. Dorcas – Corinna
– Kevella – Subgutturosa: fr. la Corinne – le Ke-
vel – le Tscheiran de Perse).
II. Antilope colla borsa, (A. Euchorae: fr. l’Antilo-
pe á bourse: ted. der Springbock).
III. Antilope Dseren de’ Mongoli, (A. gutturosa:
fr. l’Antilope Dseren des Mongols: ted. Propk-bock:
– Hoang-yang o la Capra gialla de’ Chinesi).
IV. Antilope Saïga, (A. Sayga – Colus di Strabo-
ne: fr. l’Antilope Saïga).
V. Antilope Pigarga, (A. Pigarga – naso-macu-
lata di Blainville: fr. la Pygargue).
VI. Antilope Cervicapra, (A. Cervicapra: fr. l’An-
tilope Cervicapre).
VII. Antilope del Senegal, (A. Senegalensis: fr. l’An-
tilope du Sénégal: – le Kob di Buffon in parte).
VIII. Antilope Kob, (A. Lerwia: fr. l’Antilope Kob
– le Kob di Buffon in parte).
IX. Bubalo, (A. Bubalis: fr. le Bubale – la Vache
de Barbarie di Buffon).
X. Bubalo Caama, (A. Caama: fr. le Caama).
XI. Orice, (A. Oryx: fr. l’Orix – le Pasan di
Buffon).
XII. Orice Algazel, (A. Gazella: fr. l’Algazel).
XIII. Orice bianco, (A. leucoryx: fr. l’Orix blanc).
XIV. Acuticorno di Delalande, (A. Lalandi: fr. l’An-
tilope Delalande).
XV. Acuticorno lanato, (A. lanata: fr. l’Antilope
laineuse).
XVI. Acuticorno saltatore, (A. Oreotragus: fr. la
Gazelle sautante: ted. der Klippspinger).
XVII. Acuticorno Grimm, (A. Grimmia: fr. le Grimm).
XVIII. Acuticorno Guevei, (A. pygmoea: fr. le Gue-
vei – le Roi des chevrotins).
XIX. Acuticorno Saltiano, (A. Saltiana: fr. l’Anti-
lope Saltienne: – Madoko degli Abissinii).
XX. Acuticorno propriamente detto, o Antilope acu-
ticorna, (A. acuticornis: fr. l’Antilope acuticorne).
XXI. Acuticorno urinatore, o sommergentesi, (A. mer-
gens: fr. le Duikerbock – la Chévre plongeante du Cap:
ted. der Duikerbock).
XXII. Acuticorno setoloso, (A. scoparia: fr. l’Anti-
lope a brosses).
XXIII. Acuticorno Nanguer, o anche la Damma; (A.
Dama: fr. le Nanguer).
XXIV. Acuticorno Nagor, (A. redunca: fr. le Na-
gor).
XXV. Acuticorno fulvo-rossastro, (A. fulvo-rubescens:
fr. le Steenbock – le Nagor fauve-roux; ted. der
Steinbock).
XXVI. Acuticorno rosso-bianchiccio, (A. rubro-albe-
scens: fr. le Grisbock: ted. der Gris-bock).
XXVII. Acuticorno Oleotrago, (A. Oleotragus: fr. le
Ritbock: ted. der Ritbock).
XXVIII. Tseiran, (A. leucophaea: fr. l’Antilope
bleue: – le Tseiran di Buffon).
XXIX. Tseiran cavallino, (A. equina: fr. l’Antilope
chevaline).
XXX. Tseiran di Sumatra, (A. Sumatensis: fr. l’An-
tilope de Sumatra – Cambing-outang de’ Malesi).
XXXI. Strepsicero Canna, (A. Oreas: fr. le Canna).
XXXII. Strepsicero de’ boschi, (A. sylvatica: fr. le
Boschbock: ted. der Bosch-bock).
XXXIII. Strepsicero Guib, (A. Scrypta: fr. le Guib).
XXXIV. Strepsicero propriamente detto o il Condu,
(A. Strepsiceros; fr. le Condous).
XXXV. Lejocero dipinto, o Nylgau, (A. picta –
Trago-camelus: fr. le Nylgau – le Taureau-cerf des
Indes: ted. das Nylghau).
XXXVI. Lejocero Gnu, (A. Gnus: fr. le Gnou).
XXXVII. Lejocero camozza, (A. rupicapra: fr. le
Chamois – l’Isard: ted. die Gemse).
XXXVIII. Ramifero forcifero, (A. furcifer: fr. l’An-
tilope à andouillers).
XXXIX. Ramifero palmato, (A. palmata; fr. l’Anti-
lope à empaumures – le Mazame). – N. del T.
Vedi Jo. Fr. Miller. Fasc. II, tab. 10, e notisi che i Pal-
chi d’un Orignal pesan fino ad ottanta libbre.
Le più recenti naturali investigazioni indussero il
signor F. Cuvier a proporre una novella distribuzione
di questo Genere medesimo sopra fondamenti al tutto
geografici. (Vedi Dictionnaire d’Histoire Naturelle
– e Vedi eziandio il Dictionnaire Classique d’Histoire
Naturelle; Tom. III a pag. 374 e segg.). Le specie per
lui succedonsi ripartite come segue:
SEZIONE I. Cervi comuni ad amendue i Continenti
antico e nuovo.
Specie I. Alce. (Cervus Alces: – Machlis di Plinio:
fr. l’Elan: Elk de’ Germani: Loss degli Slavi: Moosdeer
degli Anglo-Americani).
Specie II. Rangifero; (C. Tarandus – Cervus corona-
tus per altri: fr. la Renne: Caribou al Canadà: Reen
in Lapponia, e quindi altrove ora Regner, or Rainger,
ora Renthier, Rennthier, Reinsthier, Rein o Rangier).
SEZIONE II. Cervi proprii unicamente dell’ America.
Specie III. Cervo del Canada; (C. Canadensis: fr. le
Cerf du Canada: Stag, o anche Reddeer di Warden).
Specie IV. Wapiti; (C. Wapiti – Cervus strongylo-
ceros di Schreber Tab. 247 F: fr. le Cerf Wapiti –
l’Élan des Americains). Sembra in effetto non essere
che un Alce.
Specie V. Cervo della Virginia; (C. Virginianus: fr.
le Cerf de Virginie, ou de la Louisiane: Fallow-Deer
degli Anglo-Americani).
Specie VI. Cervo del Messico; (C. Mexicanus: fr. le
Cerf du Mexique). Sembra questo essere lo stesso che
il Cervo della Virginia.
Specie VII. Cervo orecchiuto, o Cervo Aurito; (C.
[Seite 274] Auritus: fr. le Cerf-mulet – le Cerf à queue noire
– o fors’ anche le Cerf sautant de la Baye d’Hudson
d’Umfreville; the Mule-deer di Warden).
Specie VIII. Guazou-Poucou, o il Cervo palustre; (C.
palustris: fr. le Guazou-poucou, o anche le Cerf des
esters, per avventura lo stesso colla Biche da Barallon
di Laborde, e col Quautlamazame d’Hernandez).
Specie IX. Guazouti, ossia il Cervo campestre; (C.
campestris: fr. le Guazouti).
Specie X. Guazoupita, o il Cervo rufo: (C. rufus
– Moschus delicatulus di Shaw; fr. le Guazoupita,
o anche le Cerf des grands bois de Cayenne).
Specie XI. Guazoubira, o il Cervo de’ boschi; (C. ne-
morivagus: fr. le Guazoubira).
SEZIONE III. Cervi proprii unicamente dell’ antico
Continente.
Specie XII. Cervo comune, o il Cervo propriamente
detto fra di noi; (C. Elaphus: – Elaphus de’ Greci an-
tichi: fr. le Cerf commun: ted. Hirsch, e talora anche
Brand-Hirsch: Laphi de’ Greci moderni; ma non però
mai l’Hippelaphus d’Aristotile che gli dà per patria
l’India Orientale).
Specie XIII. Damma, o anche il Daino: (C. Dama:
– Platyceros de’ Greci antichi – Platogni de’ Greci
moderni: fr. le Daim).
Specie XIV. Cavriuolo o il Capriolo: (C. Capreolus
– Dorcas degli antichi – Caprea di Plinio – Zar-
chodia de’ Greci moderni: fr. le Chevreuil).
Specie XV. Ahu, ossia il Cervo pigargo; (C. Pygar-
gus: fr. l’Ahu). Sembra non esser questo se non una
varietà del nostro Capriolo, propria delle Steppe del
Volga.
Specie XVI. Axis; (C. Axis: fr. l’Axis). Questa spe-
[Seite 275] cie, già accennata da Plinio, è realmente originaria del
Bengala, ma fu traspiantata in Inghilterra anche prima
che lo fosse il nostro Cervo comune; del resto somiglia
dessa alcun poco al Daino.
Specie XVII. Cervo di Malacca; (C. Malacensis: fr.
le Cerf de Malaca). Questa specie, che per la sta-
tura e per l’aspetto suo, somiglia moltissimo alla femmina
del Cervo nostrale, ha la coda coperta d’un pelo bruno-
nerastro, più allargata verso l’estremità che non presso
alla sua inserzione, e lunga quanto lo può essere una
delle sue orecchie; ha quasi nero il duro e grossolano
suo pelo, tanto sulla schiena, quanto sul collo, misto poi
di fulvo sulle cosce; fra i Cervi è questo il più sociabile.
Specie XVIII. Ippelafo; (C. Hippelaphus: fr. l’Hip-
pelaphe: Rusa, o anche Rousso-Itam de’ Malesi, Mejan-
gan-Banjoe, ossia il Cervo d’acqua degli abitanti Ma-
lesi dell’ isola di Java, riguardato dagli Olandesi colà
come una semplice varietà dell’ Alce, e lo stesso forse
col Cerf noir di Blainville, e col grand Axis di Pennant,
col Cervo di Malacca e col Cervo aurito, Cerf-mu-
let). Vuolsi che questa specie, indigena propriamente
delle due Penisole dell’ India orientale, e veduta poi
anche a Sumatra, nell’ isole della Sonda, alla China ed
al Giappone, pervenga fino all’ ordinaria statura d’un
Cavallo.
Specie XIX. Ippelafo d’Aristotile; (C. Aristotelis:
fr. l’Hippelaphe d’Aristote: Cal-Orinn degli Hin-
dous). Questo suol venire anche più grande del prece-
dente, e potrebbe per avventura non essere altra cosa che
il susseguente Cervo delle Mariane, ma indigeno del Ne-
paul, e delle contrade che stanno lungo il fiume Indo.
Specie XX. Wallich del Nepaul, o anche il Cervo di
Wallich; (C. Wallichii: fr. le Cerf Vallich).
Specie XXI. Duvaucel, o il Cervo di Duvaucel; (C.
Duvaucelii: fr. le Cerf Duvaucel). È desso pure indigeno
della Terra ferma nell’ Indie orientali.
Specie. XXII. Cervo di Leschenault; (C. Leschenaul-
tii; fr. le Cerf Leschenault). È indigeno propriamente
della Costa di Coromandel, o di Ciolamandala.
Specie XXIII. Cervo delle Mariane; (C. Marianus:
fr. le Cerf des Marianes). Debb’ esso essere origina-
rio dalle Filippine, d’onde fu poi trapiantato nelle Ma-
riane.
Specie XXIV. Cervo-cavallo; (C. equinus: fr. le
Cerf-cheval). Viene desso grande appunto quanto un
bel Cavallo, e sembra indigeno esclusivamente dell’ iso-
la Sumatra.
Specie XXV. Cervo di Péron; (C. Peronii; fr. le
Cerf de Péron). È desso indigeno soltanto, a quel che
pare, dell’ isola Timor, e potrebbe non essere altra cosa
che l’Axis mezzano (le moyen Axis) di Pennant.
Specie XXVI. Cervo-porco; (C. porcinus: fr. le Cerf-
cochon). Somiglia questo moltissimo all’ Ippelafo, se non
che n’è di molto più picciolo; è indigeno soltanto della
Terra ferma nell’ Indie orientali, e non dovrebb’ essere
che l’Axis comune, comunque alcuni abbian preteso che
le due specie ricusino d’accoppiarsi insieme.
Specie XXVII. Munt-jac, ossia il Cervo Munt-jac;
(C. Munt-Jac, probabilmente la stessa cosa col Cer-
vus moschatus di Blainville; fr. le Cerf Munt-jac, per
alcuni le Chevreuil des Indes – Daguet Munt-jac dei
Malesi di Java, e degli abitanti dell’ isola Ceylan, ov’ esso
è indigeno). È munito di denti canini.
Specie XXVIII. Cervo a palchi uncinati; (C. hama-
tus: fr. le Cerf à boìs recourbés). Questa specie non
si sa bene se esista più, o se non sia forse mai stata al-
[Seite 277] tro che una semplice varietà, avendola Blainville fondata
unicamente sopra i palchi staccati d’un Cervo da lui
veduti a Londra nel Collegio Chirurgico.
Specie XXIX. Cervo subcornuto; (C. subcornutus di
Blainville). È desso affatto simile al Munt-jac, se non
che manca affatto di denti canini.
SEZIONE IV e V. A queste ventinove diverse specie di
Cervi ne aggiunge Cuvier ancora, divise nelle presenti
due Sezioni, altre otto di Cervi, le ossa o le corna dei
quali non si rinvennero più infino ad ora, che soltanto
fossili, e che consistono nelle seguenti:
Specie XXX. Alce d’Irlanda; (fr. l’Élan d’Irlande);
rinvenuto in Irlanda e in altre località molte, insieme
cogli ossami d’Elefanti fossili; come i nostri del Lam-
bro, del Po ec.
Specie XXXI. Daino di Scania; (fr. le Daim de Sca-
nie); rinvenuto in una torbiera nella Scania, o Scandi-
navia.
Specie XXXII. Rangifero d’Étampes; (fr. la Renne
d’Étampes); rinvenutosi nelle sabbie d’Étampes in
Francia.
Specie XXXIII. Capriolo di Montabusard; (fr. le Che-
vreuil de Montabuzard); rinvenuto appunto in quella
calcarea di acqua dolce di Montabuzard in Francia.
Specie XXXIV. Cervo, o forse Daino di Gibilterra,
e d’Antibo; (fr. le Cerf de la taille du Daim, de Gibral-
tar et d’Antibes); rinvenuto nelle brecce ossee, pro-
prie appunto d’amendue quelle località.
Specie XXXV. Cervo di Nizza, della statura dell’Alce;
(fr. le Cerf de la taille de l’Elan, de Nice); rinvenuto
in quella breccia ossea.
Specie XXXVI. Cervo di Nizza, della statura del-
l’ Elafo o Cervo comune; (fr. le Cerf de la taille du
[Seite 278] Cerf commun, de Nice); rinvenuto in quella breccia
ossea.
Specie XXXVII. Capriolo di Nizza; (fr. le Cerf de la
taille d’un Chevreuil, de Nice); rinvenuto con altri
ossami diversissimi in quella breccia ossea. – N. del T.
Una vera miniera di notizie tratte dagli scrittori Indiani, e
contribuenti a compiere possibilmente la Storia Naturale di
questa specie Asiatica d’Elefanti, hassi nella Prima Parte
della Indische Bibliothek di A.W. von Schlegel da pag. 129
a pag. 231.
A porgere un esempio palmare della verità d’una tale
proposizione, farò che qui ora mi basti il rammentare che io me-
desimo fino dall’ anno 1784, notomizzando l’occhio d’un Vi-
tello marino o d’una Foca vitulina (Phoca vitulina), fui a ba-
stanza fortunato di scoprirvi, pel primo ch’ io sappia, una
speciale conformazione, in forza della quale quegli animali
possono a loro pieno beneplacito, e a norma del bisogno, al-
lungare od accorciare l’asse de’ loro globi dell’ occhio, in mo-
do da veder poi ugualmente bene gli oggetti che paransi loro
in vista, tanto nell’ acqua, quanto nell’ aria, a malgrado della
diversissima densità relativa che ben si sa esser propria di
cadauno di questi due mezzi. – Vedasi in tale proposito il
mio Handbuch der vergl. Anatomie, alla pag. 401 della terza
Edizione. Tab. 6.
Vedasi a questo riguardo l’opuscolo di G.W. Stellers
intitolato. Beschreibung von sonderbaren Meerthieren. Halle.
1753, facente parte dell’ Opera Nov. Comment. Petropolitan.
Nè ci pesa il dichiarare che i denti qui mancano onni-
namente, da che quegli organi o quelle parti che il sig. Ba-
rone Home credette poter riguardare come i denti mascellari
o molari dell’ Ornitorrinco paradosso (Schnabelthier de’ Te-
deschi), non aventi nè la solita sostanza vitrea de’ denti, ne
la sostanza ossea; non aventi radice alcuna, e non aventi
alveoli che nella mandibola loro corrispondano, o ne’ quali
s’incassino, sono, piuttosto che altro, da ritenersi, vistone la
[Seite 302] struttura, come analoghi a quegli altri corpicciuoli di tal fatta
che rinvengonsi nella tonaca più interna del ventricolo de’ Galli
e delle Galline; nè mai potrannosi con qualche apparenza di
ragione considerare come denti effettivi d’un quadrupede a
sangue caldo, ove almeno non si voglia sovvertire al tutto la
significazione del comune vocabolo denti, e urtar di fronte con-
tro la Terminologia scientifica fin qui adottata, tanto nell’ Ana-
tomia, quanto nella Storia Naturale.
Vedasi in questo proposito nelle Philosophical Transactions
pel 1820, l’opuscolo di Sir Everardo Home, e l’annessavi ana-
loga tavola 25.
Vedasi a riguardo del qui citato Dugong la Memoria in-
titolata: Othere’s Reise inserita nell’ opera J. Spelmanni Vita
Alfredi magni Anglorum Regis, a pag. 205.
È oggimai riconosciuta affatto falsa l’opinione che i così
detti Lapides manati derivino da quest’ animale, mentre si
sa benissimo che d’ordinario questi altro non sono, se non
una porzione del meato uditivo esterno, o del timpano del-
l’ udito nella Balena (Balaena mysticetus).
Vedi in proposito de’ Cetacei, tanto l’opera intitolata:
Schneider’s vermischte Abhandlungen zur Aufklärung der
Zoologie etc. Berlin. 1784 in 8.°, da pag. 175. a pag. 304,
quanto l’altra intitolata: Lacèpéde Histoire naturelle des Céta-
cées. Paris. l’an 12, in 4.°.
Da che più non si presta oggimai fede alle anticamente
invalse dicerie sul preteso gigantesco Krake, circa al quale
veggasi più sotto quanto ne sporremo parlando dell’ Asterias
Caput Medusae.
Uno di questi Gibbar, o vogliam dirli Balene fornite di
pinna dorsale, o Pesci di Finlandia (Finnfische, come i pe-
scatori di Balene denominano in lingua tedesca tutte quante
le specie di questo Genere, quando sono munite di pinna dor-
sale o di natatoja sulla schiena, e tali appunto sono, trall’ al-
tre, la Balaena physalus, la Balaena boops, e più altre an-
cora), che m’accadde inopinatamente di vedere di fresco tratto
in sulla riva, si trovò essere lungo cinquanta due piedi, ed
aveva sul petto da sessanta quattro così fatti solchi, spessi ca-
dauno più che un pollice, e niente meno profondi.
Non crediamo che si possa far meglio, per la Classifi-
cazione generale de’ Cetacei, usando il dovuto riguardo
allo stato attuale delle cognizioni acquistatesi ultima-
mente in tutta la Zoologia, e a’ sommi progressi che
si sono in oggi fatti in questa Scienza e nelle sue ausilia-
rie, di quello che adottando la distribuzione che il si-
gnor Cuvier ne ha proposto nel suo Régne Animal,
nel quale, considerandoli come formanti una tribù sola,
li distingue come segue:
SEZIONE I. Cetacei erbivori, privi di sfiatatojo, por-
tanti mustacchi; denti che terminano piani; mammelle
pettorali, e natatoje anteriori afferranti (prehensiles).
GENERE I. Lamantino; (Manatus – Trichechus ma-
natus). Di questo genere, ora nuovo, noi non menzio-
niamo se non soltanto una specie, per cui Vedi nel te-
sto il Lamentino.
GENERE II. Dugong; (Halicore – Trichechus Du-
gong; – Dou-joung – Bun-ban – Bunbal de’ Ma-
lesi; – Pesce Donna – Sirena – la Fille marine –
Zee-koe). Genere nuovo, e non racchiudente se non
questa sola specie.
GENERE III. Steller; (Rytina). Altro genere no-
[Seite 314] vellamente instituito, che sembra non racchiudere an-
ch’ esso che una specie sola.
SEZIONE II. Cetacei propriamente detti, ossia mu-
niti di sfiatatojo, e colle mammelle all’ inguine; non por-
tanti baffi o mustacchi, e privi di denti, o quando ne
sono forniti, a denti conici.
GENERE I. Delfino; (Delphinus). Sebbene il nostro
testo non parli che di tre sole specie, questo Genere ne
ammette ora da diciotto; che accenneremo qui ripartite
in quattro diverse sezioni, come segue, giusta Des Mou-
lins:
SEZIONE I. Delfini aventi il grugno rostrato, o con-
formato quasi a foggia di becco.
Specie I. Le Dauphin vulgaire; (D. Delphis). Vedi per
questa specie il nostro Delfino propriamente detto nel
testo.
Specie II. Le Souffleur des Normans; (D. Tursio – Ne-
sarnak degli Islandesi – the Bottle-Nosewhale di
Hunter – l’Oudre d’alcuni). – Questa specie vien lun-
ga dieci piedi circa; ha da ventuno a ventitre denti coni-
ci, ma ottusamente troncati all’ estremità, da cadauna
parte d’ogni mandibola; ha il grugno largo, corto e de-
presso; va in picciole truppe, e si fa vedere talora al-
l’ imboccatura della Senna in Francia.
Specie III. Le Dauphin de Geoffroy; (D. frontatus).
– Comunque non per anche bene conosciuta, questa
specie, che dovrebb’ essere indigena del mare del Bra-
sile, porterebbe in ogni mandibola ventiquattro denti al-
meno per cadaun lato; avrebbe la fronte più inclinata
e il grugno più lungo e più compresso che le due specie
precedenti; verrebbe grande, secondo alcuni, sette piedi al-
l’ incirca, e secondo altri, fino a quindici; il colore ne
[Seite 315] sarebbe grigio sulla schiena, bianco tanto all’ abdomine,
quanto in giro attorno agli occhi, e con inoltre una
striscia bianca laterale, che stenderebbesi fin sul dorso
in una grande macchia dello stesso colore, ed avrebbe
le natatoje pettorali falcate.
Specie IV. Le Dauphin de Breda; (D. Bredanensis).
Ha questa specie il grugno verso la sua estremità più
compresso, e sul principio anche più largo, che il Del-
fino volgare, del quale ha eziandio più grossi i denti,
nel numero da ottantaquattro fino a novantadue, ripartiti
equabilmente nelle due parti d’ogni mandibola; la fronte
ne scende insensibilmente a confondersi nel grugno, e la
natatoja dorsale, di forma d’una metà di mezza luna, ne
è situata a metà circa della lunghezza totale del corpo.
L’individuo ne vien lungo da circa otto piedi.
Specie V. Le Dauphin couronné; (D. coronatus).
Quest’ altra specie, indigena dell’ isole di ghiaccio del ma-
re che sta all’ intorno dello Spitzberg, ha il grugno sottile,
affilatissimo; la mascella superiore, munita di quindici
denti per parte, n’è più corta dell’ inferiore, la quale
porta da ventiquattro denti per parte, tutti acutissimi; è
dessa nera affatto, a meno di due grandi cerchi gialli e
concentrici che tiene sulla fronte; la pinna dorsale fal-
cata n’è posta più presso alla coda che non alla testa;
la caudale poi ne è lunata. L’individuo ne perviene a
trenta ed anche a trentacinque piedi di lunghezza.
Specie VI. Le Dauphin du Gange; (D. Gangeticus:
– Platanista di Plinio?). Ha questo, l’affilato suo gru-
gno lateralmente compresso, e così lungo, che supe-
ra d’una metà la lunghezza di tutto il rimanente della
testa, e termina poi ingrossandosi; ha cortissima la pinna
dorsale; larghe, flabelliformi, e all’ estremità tronche, le
pettorali; ha circa trenta denti in cadauna delle quattro
[Seite 316] parti della bocca, lunghi, diritti, compressi ed acutissimi,
finchè ottundonglisi poi in forza dell’ età. Vien lungo da
sette ad otto piedi, e frequenta molto l’imboccatura del
Gange.
Specie VII. Le Dauphin douteux; (D. dubius). Specie
ammessa da Cuvier in sospeso, sopra ispezione d’al-
cuni teschj, analoghi per molti riguardi al Delfino co-
mune o volgare, ma più piccioli, a grugno più acuminato,
e non contanti mai più di cento cinquantadue denti in
complesso.
Specie VIII. Le Dauphin de Bory; (D. Boryi). Specie,
su cui non hannosi ancora notizie affatto positive, in-
digena de’ mari che stanno fra il Madagascar, le isole
di Francia e di Mascareigne, e la Nuova Olanda, grande
quanto il Delfino volgare, ma di color grigio misto di
scuro al disopra, e grigio chiaro di sotto, con macchie az-
zurrognole marcate a segno da sembrar, piuttosto che
altro, pezze applicategli sul corpo.
SEZIONE II. Cetacei veri, aventi ottusa la testa, o
Delfini.
Specie IX. Le Marsouin; (D. Phocaena). Vedi per
questa il nostro Porco di mare nel testo.
Specie X. Le Dauphin Gladiateur, o l’Épaulard; (D.
Orca). Vedi per questa nel testo la nostra Orca.
Specie XI. Le Dauphin gris; (D. griseus – Delphinus
Aries per altri). Questa specie ha ottusa la testa e ad
un tempo globosa, a un dipresso come l’ha il nostro
Porco di mare del testo; ma ha una natatoja dorsale
inarcata e terminante in punta, alta quattordici pollici
con quindici pollici di base, e le pettorali acute, alte
bene tre piedi; la mandibola superiore sembra mancarne
affatto di denti, e pochi suol averne alla inferiore; la
schiena e le pinne ne sono nere, coll’ abdomine bian-
chiccio, e non ha macchia alcuna sugli occhi. Fassi ve-
[Seite 317] dere nelle acque di Nizza di Provenza, ove se n’ebbero
individui lunghi nove piedi.
Specie XII. Le Dauphin globiceps; (D. globiceps –
passim Delphinus melas – D. deductor – D. feres?
– Bufalina dell’ Aldrovandi – le Cachalot Swinewhal
di Lacépéde – le Narwhal édenté di Camper – forse
l’Orca degli Antichi). Vien grande, come l’Orca da
noi descritta nel testo, fin oltre a venti piedi di lunghez-
za, ma ne ha più corta la pinna dorsale, e molto più
lunghe ed acuminate le pettorali; è tutto quanto nero,
con una fascia bianchiccia che dalla gola protraesi fino
all’ ano. Giovine, è sdentato; fatto adulto poi, ha tutt’ al
più dieci denti per ogni mandibola, ma caduchi tutti
coll’ età. Vive a torme nel Mar glaciale.
SEZIONE III. Delfini che non hanno natatoja dorsale,
o Delfinapteri.
Specie XIII. Le Dauphin blanc; (D. Leucas: Beluga dei
Russi: Weissfisch de’ Tedeschi: Hirtfisch degli Olan-
desi). Somiglia desso molto al precedente, ma n’è più
picciolo; ha tutt’ al più nove denti in serie, ma non mai
più di ventotto nelle due mandibole, dritti, compressi,
ottusi e caduchi; sdentato, fu in isbaglio preso per un Fi-
setere (Phiseter albicans); ha ovali le pinne pettorali,
e la caudale alcun poco frastagliata; il grugno va ri-
stringendosene insensibilmente.
Specie XIV. Le Dauphin de Péron; (D. Peronii – Del-
phinus Leucoramphus d’altri). Qui racchiudonsi le spe-
cie Dauphin Rhinocéros, D. Crucigére, e D. Albi-
gére, che infino ad ora non si videro, se non da lontano
nel mare, da’ navigatori.
La Specie XV poi e la XVI, contengono le due specie
di Delfini rinvenutesi fossili, quali sono le Dauphin de
Cortesi, e le Dauphin à longue symphise di Cuvier.
GENERE II. Le Narvhal; (Monodon). Vedi per questo
il nostro Genere Monodonte nel testo, cui spettano, oltre
all’ Unicorno di mare, alcune altre specie ancora.
GENERE III. L’Anarnak; (Anarnacus). Genere nuovo
di Lacépède, che non ne ammette se non la sola spe-
cie, ancora poco nota, A. Groenlandicus (Monodon spu-
rius d’alcuni). Ha picciole zanne curve alla mascella
superiore; è fornito di pinna dorsale; è nero, lunghetto
e terete.
GENERE IV. L’Hyperoodon; (Hyperoodon). Genere
nuovo di Lacépède, il quale non ne ammette che la sola
specie H. Butskopf, rara molto e confusa da taluno colla
Balaena rostrata del testo. È indigeno dell’Oceano At-
lantico più settentrionale; vien lungo trenta piedi cir-
ca; ha la natatoja dorsale; non ha precisamente denti,
ma sul palato tiene alcuni tuberculetti ossei, che si piglia-
rono per tali.
b) Cetacei veri, aventi la testa grande.
GENERE I. Le Cachalot; (Physeter – Catodon di La-
cépéde). Racchiudonsi ora in questo genere, che vedi
nel testo, le sette diverse specie: 1.° Physéter macroce-
phalus; 2.° Catodon macrocephalus: o P. gibbosus; 3.° P.
Catodon; 4.° P. Australasianus; 5.° P. Microps; 6.° P.
Tursio ossia il Mullar; 7.° P. sulcatus.
GENERE II. Balena; (Balaena). Questo Genere viene
poi ora ulteriormente diviso in
1) Balene propriamente dette, le quali non hanno
pinna dorsale.
Specie I. La Baleine franche; (B. Mysticetus). Vedi
il nostro Misticeto o la Balena vera nel testo.
Specie II. Le Nord-Caper glacial, o Boreal; (B.
Glacialis). Vedi la nostra Orca fra i Delfini nel testo.
Specie III. Le Nord-Caper Austral; (B. Australis).
[Seite 319] Questa specie supera in grandezza la stessa vera Ba-
lena; ha sempre la pelle tutta quanta di color nero; è
poligama, ed ha orizzontale il grande diametro dell’ oc-
chio, a differenza del Nord-Caper Boreale, che lo ha ob-
bliquo assai, e che riesce di gran lunga più picciolo di
mole che questo Australe, il quale circa alla metà di
giugno frequenta le acque del Capo di Buona Speranza,
e altre plaghe ancora più vicine al Polo antartico.
Specie IV. La Baleine Japonaise; (B. Japonica).
Questa specie deve avere tre rigonfiature tuberose, di-
sposte per lo lungo sul muso; ha grande assai la coda,
nera la schiena, e bianchissimo il ventre a lembi fra-
stagliati, e credesi, come la specie susseguente, frequen-
tar talora l’acque che bagnano il Nord del Giappone.
Specie V. La Baleine Lunulée; (B. lunulata). Que-
sta specie debbe portar setole dure, nere e pungenti
lungo amendue le mascelle; essere in fondo tutta quanta
di color verdastro, con molte macchie in forma di mezza
luna sparse sulla testa, sul corpo, e perfino sulle pinne
o natatoje. Dessa potrebbe fors’ anche essere un Delfino.
Specie VI. La Baleine Noueuse; (B. nodosa). Que-
sta specie dovrebbe avere costantemente, in fondo della
schiena e in vicinanza della coda, una gibbosità grande
a un dipresso quanto la testa d’un uomo, la quale
gli pende all’ indietro; ha bianche le natatoje impiantate
quasi a metà del suo corpo, e lunghe ben dieciotto pie-
di. Dudley l’ ha fatta indigena unicamente de’ mari in-
fra terra dell’ America settentrionale.
Specie VII. La Baleine a bosses; (B. gibbosa, gibbis
vel nodis sex di Dudley). Niente si sa di bene accer-
tato, nè circa alla precedente, nè circa a questa specie
che si dà come indigena delle stesse località, e che al-
cuni vogliono sia ricca d’olio quanto può mai esserlo
la Balena vera, mentre altri la dicono invece magrissima.
2) Balenopteri, o Balene aventi sul dorso una pinna,
o natatoja, non sostenuta da alcuna restia, o da al-
cuna maniera di carcame osseo.
Specie VIII. Le Baleinoptére à ventre lisse; (B. Phy-
salus; le Gibbar des Basques; Finnfisch degli Olan-
desi). È questo il più grande di tutti i Cetacei, po-
tendo pervenire fin’ oltre a cento piedi di lunghezza; è
più lungo, ma più sottile della Balena vera; la testa
ne forma un terzo circa della sua lunghezza totale; il
colore n’è bruno lucente sulla testa, e bianco sul ven-
tre; la pinna dorsale n’è di forma triangolare, a som-
mità incurvata, e corrisponde al di sopra dell’ ano; sof-
fia acqua con maggior impeto che non faccia la Balena
vera, della quale è ad un tempo più vigoroso e più
svelto. Abita esso ne’ mari boreali; la caccia o la pesca
ne riesce pericolosissima, e meno produttiva che quella
della Balena vera, a motivo della minore quantità d’olio
di Balena che può fornire.
3) Balenopteri a ventre sinuoso o pieguzzato:
Specie IX. La Jubarte des Basques; (B. Boops). Vedi
la nostra Balena rostrata nel testo.
Specie X. Le Rorqual; (B. Musculus – Musculus di
Plinio – Mysticetus d’Aristotile). In questa specie
l’individuo sembra conformato di due coni, le basi dei
quali riunisconsi precisamente a metà della schiena; il
muso ne è schiacciato; gli occhi ne sono situati supe-
riormente all’ angolo delle labbra; la bocca n’è mostruo-
samente grande; la pinna dorsale, che ne sorge fino dal
disotto dell’ ano, n’è come spaccata alcun poco, e con-
fina spesso colla caudale mercè d’un picciolo rialzo.
Fornisce un’ immensa quantità d’olio; nutresi soprattutto
d’Aringhe (Clupea harengus), di Sarde, Sardelle o
Sardine (Clupea sprattus), di Alose (Clupea alosa), e di
[Seite 321] Acciughe (Clupea encrasiculus), tenendo dietro alle quali
spingesi talvolta fino nel nostro Mare mediterraneo. Que-
sta specie ritiensi, non senza buoni fondamenti anatomici,
essenzialmente diversa dalla precedente, alla quale somi-
glia però sotto molti aspetti.
Specie XI. La Baleine à museau pointu Boréale; (B.
rostrata – la Baleine à bec di certuni). È questa indigena
dei mari più settentrionali, ed è la più picciola di tutte le
Balene, mentre non suole eccedere i trenta piedi di lunghez-
za; le due mandibole ne sono allungate in forma di punta,
ma l’inferiore ne riesce più lunga della superiore, e i barbi-
glioni ne sono di color bianchiccio; porta dessa sotto l’eso-
fago, e fra i due rami della mascella inferiore, una sorte
di vescica, o una tasca o bissacca immensa, larga per lo
meno quanto lo può essere tutto il corpo dell’ animale; la
pinna dorsale poi n’è situata al di sopra dell’ ano. Sem-
bra anche questa doversi riguardare come una specie
diversa dalle due precedenti, e dalla nostra Balena ro-
strata del testo, come credesi dover fare anche della
susseguente.
Specie XII. La Baleine à museau pointu Australe; (B.
rostrata Australis). L’individuo, che ne fu veduto
all’ isole Malouine, superava in lunghezza i cinquanta-
tre piedi; misura di gran lunga superiore a quella che
suol riscontrarsi nella specie precedente; i suoi più
lunghi barbiglioni aveano la forma trapezoidale, invece
che quelli più corti della Balena rostrata boreale sono
di figura triangolare; gli occhi ne sono, servata propor-
zione, molto più piccioli, mentre più grande ne riesce
la natatoja dorsale.
Specie XIII. Le Baleinoptére Poeskop; (B. Poeskop).
Questa specie, novellamente osservata nell’ acque che stan-
no presso al Capo di Buona Speranza, è rarissima, e debbe
[Seite 322] avere per carattere una costante rigonfiatura o gibbosità
vistosa molto sull’ occipite; la pinna dorsale è qui posta
appena alcun poco al di sopra delle pinne pettorali; po-
sizione unica a riguardo de’ Balenopteri; queste pinne
pettorali poi sono proporzionalmente più lunghe in que-
sto Cetaceo sveltissimo, e fondente ben poco olio, che
in quale altra Balena si voglia; è desso di color nero
superiormente, bianco per di sotto e marmorato, sopra
fondo di color di rosa. Pare assolutamente che questa
formi una specie nuova e distinta da tutte l’altre.
Specie XIV. Le Baleinoptére moucheté; (B. punctata).
Questa specie, della quale, come delle tre susseguen-
ti, altro non si sa, se non che i Giapponesi le disegna-
no ne’ loro dipinti, dovrebbe avere per caratteri speci-
fici, cinque o sei rigonfiature o gibbosità tuberculose, di-
sposte longitudinalmente sul muso; picciola molto la
natatoja dorsale, e di color nero con mosche bianche,
tanto la testa e tutto il corpo, quanto anche le natatoje
pettorali.
Specie XV. Le Baleinoptère noir; (B. nigra). Avrebbe
questa quattro rigonfiature tuberculose, poste longitu-
dinalmente o sul muso o sulla fronte; ristretta la ma-
scella superiore, con un margine rilevato per davanti, quasi
verticalmente verso gli occhi; dovrebb’ essere tutta quanta
di color nero, colle pinne o natatoje orlate di bianco,
come il sarebbono anche le due mandibole.
Specie XVI. Le Baleinoptére bleuâtre; (B. caerule-
scens). Quest’ altra avrebbe anch’ essa ristretta la ma-
scella superiore, con un ribordo che alzerebbesi quasi
verticalmente verso gli occhi, ed avrebbe in numero mag-
giore di dodici per parte, le sinuosità o ripiegature della
pelle della mandibola inferiore, tutte inclinate; picciola
la pinna dorsale e vicinissima alla caudale, e sarebbe
[Seite 323] in generale di colore grigio cerulescente od azzurro-
gnolo.
Specie XVII. Le Bàleinoptére tacheté; (B. maculata).
Qui la mascella inferiore sorpasserebbe in lunghezza
verso l’estremità la superiore, terminando poi rotondate
così l’una, come l’altra; la pinna dorsale sarebbe equi-
distante così dalle pettorali, come dalla caudale; e il
colore ne sarebbe nerastro, con macchie bianchissime di
forma rotonda, ineguali e disposte senza regolarità lungo
i lati dell’ animalo.
A queste diverse specie poi rimarrebbero d’aggiugnersi
ancora le Balene fossili. – N. del T.